Ad addentrarsi nei meandri delle alternative che hanno davanti ora i
partiti presenti in Parlamento e il Presidente della repubblica, si
rischia di non dire nulla e uscirne con la testa confusa. E' quello che
fanno oggi tutti o quasi i giornali italiani.
E giustamente Grillo, affrontando ieri i giornalisti accampati
fuori casa, ha spiegato loro che “sbagliano le domande”, perché sono
abituati a ragionare come “i politici” di cui riportano dichiarazioni
sempre uguali.
È la “logica della sommatoria” – o delle
“alleanze” – sostitutiva della logica politica. In cui gli obiettivi
programmatici su cui ogni forza politica poggia la propria identità
pubblica vengono tranquillamente sacrificati sull'altare dell'algebra delle poltrone.
In cui il rapporto con la popolazione di un paese, le sue classi
sociali, gli interessi differenziati e drammaticamente sconvolti dalla
più grave crisi economica della storia, viene ridotto a pura questione
di marketing elettorale, a scadenze più o meno fisse. Una logica
totalizzante come una metastasi tumorale, rafforzata da un sistema
elettorale che preclude la possibilità di scelta e “affida” a pochi boss
il compito di decidere chi entrerà nelle istituzioni. E se non sei lì
dentro, non esisti.
Questo modo di far politica è morto ufficialmente nelle urne il 24 e 25 febbraio.
Un partito che non esiste, e la cui “direzione strategica” appare
quantomeno opaca - ha preso un quarto dei voti. Li ha presi puntando –
non importa se strumentalmente o meno – sulla voglia di partecipare in
prima persona, di sconvolgere i giochini di palazzo di un migliaio di
persone abituate a disporre del Paese. Ora non sarà semplice riportare
il gregge all'ovile. Come comunisti che non hanno partecipato a queste
elezioni ne siamo felici: è un bene che milioni di persone siano uscite dal recinto.
Naturalmente, “il Palazzo” deve cercare di riportarli dentro. Ma deve
prima preoccuparsi di cavar fuori un governo prima che le agenzie di
rating e “i mercati” facciano strame dei titoli di stato, creando
voragini ancora più ampie nei conti pubblici, tali che nessun
“sacrificio” potrebbe mai colmare (come in parte è già oggi con la
prospettiva del “fiscal compact”).
Le due cose sono però in
palese contraddizione. Per “recuperare consensi” dovrebbero venire
incontro alle loro ragioni. Per “tranquillizzare i mercati” devono
invece bastonare ulteriormente i ceti e le figure sociali che stanno
affogando.
E quindi fare un governo con questo Parlamento è
davvero complicato. Il fatto nuovo è che c'è una forza che è credibile
finché “non diventa complice”, anche se nemmeno Grillo ha escluso la
possibilità di qualche “scilipotino” tra le sue fila. E che – come nel
“modello Sicilia” – dà il proprio consenso soltanto ai provvedimenti
compatibili con il proprio “programma”. Un gioco sottile di
contrattazioni, valutazioni, discussioni dall'esito sempre
sdrucciolevole.
Il contrario delle “alleanze”, dove – appunto –
la spartizione delle poltrone fa premio sulle decisioni da prendere e
assicura contro qualche eventuale “mal di pancia”. Nella “sinistra”
bertinottiana abbiamo avuto decine di casi simili, non è vero?
Una situazione dove al Movimento 5 Stelle verrebbe concesso il
compito di dettare l'agenda politica (cosa si può fare, cosa no), in
molti casi in aperto contrasto con le indicazioni della Troika e
dell'Unione Europea. Troppo complicato, macchinoso, pericoloso.
Resta dunque la sola possibilità di un “governissimo” o, peggio ancora,
di un altro “governo tecnico”. Di breve durata e di altissimo costo
elettorale per chi dovrà sostenerlo. In un sistema politico ormai
tossicodipendente, a ogni nuovo problema si risponde con una dose
maggiore della stessa eroina che lo va distruggendo.
Ma l'Unione
Europea è obbligata a accettarlo com “male minore”. E Napolitano lo
porrà come unica soluzione immediata possibile, perché non può
sciogliere le camere e chiamare un nuovo voto (è agli sgoccioli del
“semestre bianco”). Il Parlamento dovrà insomma rimanere in carica
almento per il tempo necessario a fare “alcune cose” indispensabili
nella logica del “tranquillizzare i mercati”, agitando però
ulteriormente larghi settori sociali, e ad eleggere un nuovo presidente
della Repubblica. E anche qui: o concordando il nome con Grillo oppure
con Berlusconi (al 99% con il secondo).
Il Pd è già rassegnato a
questo ennesimo “gesto di responsabilità”, anche se Bersani non può
proprio dirlo (da “smacchiare il giaguaro” a farsene mangiare, è un
passaggio piuttosto hard). Berlusconi anche, e l'ha già fatto capire,
perché ha molti salvacondotti da chiedere (giudiziari e aziendali).
Monti era stato mandato lì per questo, oltre un anno fa, e altro non può
fare; anche se non sarà più lui il perno dell'operazione.
Lo
scenario a breve sembra dunque obbligato. Una “chiusura tossica” del
Palazzo in se stesso, un aumento dell'”incomunicabilità tra la politica e
i cittadini” e l'allargarsi del dissenso popolare esplicito. Siamo
pronti, da comunisti, a dare battaglia sul terreno sociale e politico? O
ci limiteremo – alcuni – a fare le pulci a chiunque ci provi e – altri –
ad immaginare impossibili “ritorni in Parlamento”?
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