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02/03/2013

Un'altra dose di eroina, please

Ad addentrarsi nei meandri delle alternative che hanno davanti ora i partiti presenti in Parlamento e il Presidente della repubblica, si rischia di non dire nulla e uscirne con la testa confusa. E' quello che fanno oggi tutti o quasi i giornali italiani. E giustamente Grillo, affrontando ieri i giornalisti accampati fuori casa, ha spiegato loro che “sbagliano le domande”, perché sono abituati a ragionare come “i politici” di cui riportano dichiarazioni sempre uguali.

È la “logica della sommatoria” – o delle “alleanze” – sostitutiva della logica politica. In cui gli obiettivi programmatici su cui ogni forza politica poggia la propria identità pubblica vengono tranquillamente sacrificati sull'altare dell'algebra delle poltrone. In cui il rapporto con la popolazione di un paese, le sue classi sociali, gli interessi differenziati e drammaticamente sconvolti dalla più grave crisi economica della storia, viene ridotto a pura questione di marketing elettorale, a scadenze più o meno fisse. Una logica totalizzante come una metastasi tumorale, rafforzata da un sistema elettorale che preclude la possibilità di scelta e “affida” a pochi boss il compito di decidere chi entrerà nelle istituzioni. E se non sei lì dentro, non esisti.

Questo modo di far politica è morto ufficialmente nelle urne il 24 e 25 febbraio.

Un partito che non esiste, e la cui “direzione strategica” appare quantomeno opaca - ha preso un quarto dei voti. Li ha presi puntando – non importa se strumentalmente o meno – sulla voglia di partecipare in prima persona, di sconvolgere i giochini di palazzo di un migliaio di persone abituate a disporre del Paese. Ora non sarà semplice riportare il gregge all'ovile. Come comunisti che non hanno partecipato a queste elezioni ne siamo felici: è un bene che milioni di persone siano uscite dal recinto.

Naturalmente, “il Palazzo” deve cercare di riportarli dentro. Ma deve prima preoccuparsi di cavar fuori un governo prima che le agenzie di rating e “i mercati” facciano strame dei titoli di stato, creando voragini ancora più ampie nei conti pubblici, tali che nessun “sacrificio” potrebbe mai colmare (come in parte è già oggi con la prospettiva del “fiscal compact”).

Le due cose sono però in palese contraddizione. Per “recuperare consensi” dovrebbero venire incontro alle loro ragioni. Per “tranquillizzare i mercati” devono invece bastonare ulteriormente i ceti e le figure sociali che stanno affogando.

E quindi fare un governo con questo Parlamento è davvero complicato. Il fatto nuovo è che c'è una forza che è credibile finché “non diventa complice”, anche se nemmeno Grillo ha escluso la possibilità di qualche “scilipotino” tra le sue fila. E che – come nel “modello Sicilia” – dà il proprio consenso soltanto ai provvedimenti compatibili con il proprio “programma”. Un gioco sottile di contrattazioni, valutazioni, discussioni dall'esito sempre sdrucciolevole.

Il contrario delle “alleanze”, dove – appunto – la spartizione delle poltrone fa premio sulle decisioni da prendere e assicura contro qualche eventuale “mal di pancia”. Nella “sinistra” bertinottiana abbiamo avuto decine di casi simili, non è vero?

Una situazione dove al Movimento 5 Stelle verrebbe concesso il compito di dettare l'agenda politica (cosa si può fare, cosa no), in molti casi in aperto contrasto con le indicazioni della Troika e dell'Unione Europea. Troppo complicato, macchinoso, pericoloso.

Resta dunque la sola possibilità di un “governissimo” o, peggio ancora, di un altro “governo tecnico”. Di breve durata e di altissimo costo elettorale per chi dovrà sostenerlo. In un sistema politico ormai tossicodipendente, a ogni nuovo problema si risponde con una dose maggiore della stessa eroina che lo va distruggendo.

Ma l'Unione Europea è obbligata a accettarlo com “male minore”. E Napolitano lo porrà come unica soluzione immediata possibile, perché non può sciogliere le camere e chiamare un nuovo voto (è agli sgoccioli del “semestre bianco”). Il Parlamento dovrà insomma rimanere in carica almento per il tempo necessario a fare “alcune cose” indispensabili nella logica del “tranquillizzare i mercati”, agitando però ulteriormente larghi settori sociali, e ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica. E anche qui: o concordando il nome con Grillo oppure con Berlusconi (al 99% con il secondo).

Il Pd è già rassegnato a questo ennesimo “gesto di responsabilità”, anche se Bersani non può proprio dirlo (da “smacchiare il giaguaro” a farsene mangiare, è un passaggio piuttosto hard). Berlusconi anche, e l'ha già fatto capire, perché ha molti salvacondotti da chiedere (giudiziari e aziendali). Monti era stato mandato lì per questo, oltre un anno fa, e altro non può fare; anche se non sarà più lui il perno dell'operazione.

Lo scenario a breve sembra dunque obbligato. Una “chiusura tossica” del Palazzo in se stesso, un aumento dell'”incomunicabilità tra la politica e i cittadini” e l'allargarsi del dissenso popolare esplicito. Siamo pronti, da comunisti, a dare battaglia sul terreno sociale e politico? O ci limiteremo – alcuni – a fare le pulci a chiunque ci provi e – altri – ad immaginare impossibili “ritorni in Parlamento”?

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