Miliziani jihadisti siriani attaccano gli
osservatori dell’Onu nel Golan occupato da Israele e rapiscono 21 caschi
blu filippini. Intanto Londra manda ‘armi non letali’ agli oppositori
di Assad.
Se gli autori dell’attacco contro la postazione dell'ONU e del rapimento fossero stati i soldati siriani fedeli al governo di Bashar al Assad non si sentirebbe parlare d’altro. Ma a rapire i 21 soldati filippini di stanza in Golan – territorio siriano occupato illegalmente da Israele – sono stati i ribelli siriani delle fazioni jihadiste, quelli sostenuti e foraggiati da varie nazioni occidentali e potenze regionali. E quindi i media hanno pensato bene di non alzare troppo polverone sulla vicenda. Per non disturbare il tentativo da parte delle bande armate dell’opposizione di internazionalizzare la guerra civile così da poter costringere – o permettere, meglio detto – quell’intervento militare straniero diretto che fino ad ora è stato invocato più volte dalle milizie jihadiste senza successo.
Anche la nazionalità dei militari rapiti dai ribelli – che chiedono che l’esercito siriano si ritiri dal villaggio di Jamla – non sollecita più di tanto i media occidentali.
Da parte sua il governo delle Filippine chiede a gran voce la liberazione immediata dei 21 connazionali della missione Undof dell'Onu sequestrati ieri dai ribelli islamisti siriani ai piedi delle Alture del Golan.
Manila fa sapere che sono in corso negoziati con i sequestratori appartenenti alle "Brigate dei Martiri di Yarmouk", un gruppo armato che in passato ha compiuto esecuzioni sommarie sulle quali sta indagando l’associazione per i diritti umani Human Rights Watch. Se le loro richieste non verranno esaudite, avvertono i miliziani, i soldati rapiti verranno trattati come "prigionieri".
Il sequestro dei 21 osservatori dell'Onu è avvenuto nel giorno in cui il governo di Londra ha annunciato l'invio di automezzi blindati e non meglio specificate “armi non letali” (?) ai ribelli e la Lega araba ha dato libertà ai paesi membri di fornire armi a chi combatte contro Assad. Un modo per far arrivare alle milizie islamiste, passando per le petromonarchie del Golfo, quelle armi che ufficialmente i governi occidentali dicono di non voler inviare a gruppi in odore di Al Qaeda.
Se gli autori dell’attacco contro la postazione dell'ONU e del rapimento fossero stati i soldati siriani fedeli al governo di Bashar al Assad non si sentirebbe parlare d’altro. Ma a rapire i 21 soldati filippini di stanza in Golan – territorio siriano occupato illegalmente da Israele – sono stati i ribelli siriani delle fazioni jihadiste, quelli sostenuti e foraggiati da varie nazioni occidentali e potenze regionali. E quindi i media hanno pensato bene di non alzare troppo polverone sulla vicenda. Per non disturbare il tentativo da parte delle bande armate dell’opposizione di internazionalizzare la guerra civile così da poter costringere – o permettere, meglio detto – quell’intervento militare straniero diretto che fino ad ora è stato invocato più volte dalle milizie jihadiste senza successo.
Anche la nazionalità dei militari rapiti dai ribelli – che chiedono che l’esercito siriano si ritiri dal villaggio di Jamla – non sollecita più di tanto i media occidentali.
Da parte sua il governo delle Filippine chiede a gran voce la liberazione immediata dei 21 connazionali della missione Undof dell'Onu sequestrati ieri dai ribelli islamisti siriani ai piedi delle Alture del Golan.
Manila fa sapere che sono in corso negoziati con i sequestratori appartenenti alle "Brigate dei Martiri di Yarmouk", un gruppo armato che in passato ha compiuto esecuzioni sommarie sulle quali sta indagando l’associazione per i diritti umani Human Rights Watch. Se le loro richieste non verranno esaudite, avvertono i miliziani, i soldati rapiti verranno trattati come "prigionieri".
Il sequestro dei 21 osservatori dell'Onu è avvenuto nel giorno in cui il governo di Londra ha annunciato l'invio di automezzi blindati e non meglio specificate “armi non letali” (?) ai ribelli e la Lega araba ha dato libertà ai paesi membri di fornire armi a chi combatte contro Assad. Un modo per far arrivare alle milizie islamiste, passando per le petromonarchie del Golfo, quelle armi che ufficialmente i governi occidentali dicono di non voler inviare a gruppi in odore di Al Qaeda.
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