Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni
Visualizzazione post con etichetta Moralismo del cazzo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Moralismo del cazzo. Mostra tutti i post

31/01/2017

Il lavoro vero fatica a passare in tv

Stasera (ieri, ndr) siamo andati in onda su Presa Diretta, un interessante servizio sullo stato del lavoro in Italia. All'Ex OPG sono venuti perché cercavano storie di lavoratori a nero, e quale posto migliore di Napoli? Noi abbiamo detto ok, però non facciamo la cosa pietistica che i poveri lavoratori si lamentano e pregano che qualcuno gli dia una mano, noi vogliamo parlare soprattutto della lotta, della campagna contro il lavoro nero che stiamo facendo, delle vittorie che stiamo ottenendo. La giornalista dice ci sto, e aggiunge che per quanto la pagano e per come deve lavorare forse anche lei si rivolgerà al nostro sportello. Era seria, non era una battuta.

Ovviamente alla fine la puntata va in onda senza l'intervista al compagno che spiega quali risultati, inediti in città, abbiamo già ottenuto. Questioni di tempo, ci dicono. Vabbè però almeno un'inquadratura al nostro manualetto la potevano fare. O dire che erano venuti dentro a un centro sociale. cioè fare uscire che, mentre i sindacati se ne fottono dei giovani a nero, c'è qualcuno che sta provando a organizzarli.

Poi si capisce perché: Iacona fa il resto del servizio in Svezia, dove per i lavoratori sarebbe una pacchia perché imprese, governo e sindacati si mettono d'accordo e il "valore del lavoro" è riconosciuto. Passa il tempo a fare improbabili paragoni fra l'Italia (60 milioni di persone, eredità storiche pesanti) e la Svezia (8 milioni di abitanti e tanta bambagia), ignora che le multinazionali svedesi saccheggiano e depredano in tutto il mondo e poi si lavano un po' la coscienza in casa propria. Ignora cioè che il welfare svedese è fondato sull'imperialismo e che i corsi di formazione che il sign. Ericsson paga per dare una possibilità ai suoi lavoratori licenziati sono finanziati con il pluslavoro dei lavoratori Ericsson italiani.

Ma ok, è la televisione, uno si dice. E Iacona mica è Lenin, lo sapevamo. E tutto sommato la parte di denuncia del servizio è fatta molto bene. Però la scelta politica di tagliare su Napoli mi pare evidente. Iil messaggio che la trasmissione vuole mandare infatti è: facciamo come in Svezia, o meglio, come Iacona pensa funzioni in Svezia: gli imprenditori devono essere meno ladroni, i sindacati più responsabili, il governo più buono. Soluzione del tutto moralistica, irrealizzabile, tipica dei piccolo-borghesi.

Il messaggio che invece volevamo mandare noi è: autorganizzati, lotta, imponi da subito le tue istanze agli organi proposti al controllo, sfrutta tutti i margini di azione nel quadro delle leggi borghesi, unisciti con i tuoi simili. Soluzione certo non facile, faticosa, ma storicamente vincente.

Comunque, se uno ora va sulla pagina di Presa Diretta trova il servizio con su scritto "Napoli capitale del lavoro nero". Noi avremmo voluto scritto sopra: "Napoli capitale del riscatto", perché crediamo che sia questa, in realtà, la vera notizia.

Fonte

24/09/2016

#GodLovesUganda: come la destra cristiana americana ottenne il controllo del governo ugandese


Volevo raccontarvi di un documentario che ho visto e mi ha lasciata davvero esterrefatta. Non perché non immaginassi le dinamiche ma perché a volte la realtà è talmente caricaturale da superare le stesse caricature di alcuni gretti personaggi. Si chiama God Loves Uganda, documentario indipendente presentato al Sundance Festival, che potete trovare anche in streaming (sottotitolato in italiano, per gentilezza di qualcuno che si è speso a tradurre), e parla della colonizzazione culturale e politica realizzata dalla destra cristiana in Uganda, quando era un territorio vergine, una giovane democrazia, il cui voto e le cui decisioni parlamentari potevano facilmente essere influenzate dall’esterno. La destra cristiana, in un’opera di massiccia evangelizzazione e con subdola richiesta di conversione, evangelizza con metodi classici. Sicuramente hanno appreso da altre chiese occidentali lo stile colonizzante e il furto di culture locali. Evangelizza allo scopo di applicare la legge biblica, si parla del vecchio testamento, che per alcuni fanatici diventa pretesto per chiedere l’assassinio di gay, la persecuzione di donne “adultere” o che fanno sesso fuori dal matrimonio, e di quelle che abortiscono.

Prima che arrivasse lì questa chiesa ben radicata in Texas, a Las Vegas, con missioni in tutto il mondo, l’Uganda aveva parroci che osservavano obiettivamente quella realtà e che aprivano all’ascolto di chiunque, inclusi i gay. La campagna a prevenzione dell’Aids, per esempio, era favorevole all’uso del preservativo, e infatti in quegli anni l’Uganda registrò un massiccio calo di contagi. Quando arrivò la destra cristiana imposero l’astinenza. Di nuovo dissero che l’Aids è il flagello, la punizione di Dio, e dunque era l’astinenza che avrebbe salvato tutti. Manco a dirlo, invece, il numero di ammalati è aumentato e la sessualità è diventata un inferno.

Questa chiesa si radica come per le multinazionali in epoche di shock economy. Si comporta allo stesso modo. Attende la distruzione culturale, il vuoto di poteri, in un determinato stato, e va lì a fondare scuole, ospedali, perché di soldi ne ricevono parecchi, a patto che impongano una rivoluzione “culturale” che in realtà è un regresso enorme. Predicano la parola di Cristo contro chi invece pratica la religione musulmana. I musulmani non hanno alcuna influenza e invece questa particolare chiesa si radica sempre di più e, con un fare fanatico che mi ricorda tanto i santoni di una chiesa narrata nella serie televisiva True Blood, spiega ai bambini, fin dai primissimi anni di scuola, come dovranno vivere, anzi, non vivere il sesso. Le lezioni a scuola sono basate sul lavaggio del cervello di queste persone, spesso provenienti da contesti poveri che ovviamente al nulla preferiscono quel qualcosa che arriva attraverso la chiesa.


Il moralismo tocca ogni vetta e la luce strana che vedi negli occhi degli intervistati pone seriamente il problema su quello di cui dovremmo avere realmente paura in futuro. In raduni omofobici, a messa, qualcuno illustra il perché bisogna evitare di considerare umani gli omosessuali. Vengono descritti come esseri immondi che mangiano la merda del partner e a parte la coprofagia evidentemente non conoscono null’altro. Parlano di mani che entrano nell’ano fino in fondo, e non capisco se è voluto o meno il fatto di confondere il fisting vaginale con quello, improbabile, anale. Fatto è che istigano odio e in base all’influenza che hanno ottenuto in quelle zone sono riuscite a diventare saldo punto di riferimento al punto tale che un prete e un vescovo che si erano schierati in difesa dei diritti lgbt sono stati scomunicati o cacciati. Il prete si era infiltrato in quel gruppo e quando si è svelato è dovuto fuggire in America, in zone protette, in cui non corre alcun pericolo.

Grave pericolo invece ha corso la comunità lgbt man mano che aumentava l’influenza di persone che in America non erano nessuno e in Uganda assumevano un’importanza vitale, in quanto bianchi e americani. La prima lettura di una legge omofobica proposta da un conservatore ugandese fu data nel 2009. Negli Stati Uniti, nel frattempo, precisamente in California, gli evangelizzatori diffusero la Chiamata (the call, con un video che è tutto un programma, un delirio assoluto), contro la proposta di legge sulle unioni omosessuali, approvata per un pelo. La legge ugandese invece fu approvata il 25 febbraio 2014 e prevede l’ergastolo per chiunque sia beccato a manifestare la propria omosessualità. A nulla è valso l’omicidio di uno dei leader del movimento lgbt, David Kato, al cui funerale assistono ragazzini che piangono terrorizzati per via della propria omosessualità. Un crimine d’odio che somiglia tanto a quello compiuto dal feroce assassino di un membro del congresso degli Stati Uniti che difendeva il diritto all’aborto.

La ricchezza dei preti di questa chiesa omofoba, misogina e islamofoba, è enorme. Vivono in case lussuose, perché c’è chi paga affinché evangelizzino il mondo, a partire dall’Uganda diventata un banco di prova per il voto e l’applicazione di leggi bibliche. Sono leggi ispirate alla parte più brutta della Bibbia, un po’ come se fosse una sharìa cristiana. Per questi evangelizzatori l’Uganda sarebbe un punto di partenza, un trampolino di lancio per fare terra bruciata attorno al mondo più “ricco”, mentre si insinua, anzi, colonizza le culture e le leggi di luoghi altrettanto fragili. Una delle teorie che vengono imposte, anche nelle scuole, dice che esisterebbe una lobby gay che si sarebbe impadronita delle Nazioni Unite, dei massimi governi statunitensi, incluso Obama, che il mondo intero sia governato da gay, pedofili, che vogliono distruggere tutto quanto e prendere il potere.

Ora mi chiedo: ma come fanno questi tizi ad avere così tanti soldi? Chi li finanzia? Quanto c’entrano con il regresso a destra avvenuto anche in Europa, come possiamo difenderci? Perché una cosa è certa: quel sentimento fanatico è arrivato anche da noi e da un bel po’ di tempo. Altro che Isis. E’ con questo fanatismo che abbiamo a che fare.

Fonte

20/09/2016

Tiziana Cantone, lapidata: non da “internet” ma da persone di merda

Su Tiziana Cantone, un commento di Patrizia.

*****

Sto leggendo i commenti sulla vicenda e non perderò tempo a indignarmi per quelli scritti da persone perfide e vigliacche che continuano a sputare merda su di lei. Mi soffermo ad analizzare il modo in cui i media stanno commentando l’accaduto. I titoli parlano di video hot, lei viene descritta come “colpevole” e come “vittima”, giusto per ricordarci che se fosse ancora in vita nessuno mai avrebbe ammesso lo scempio compiuto su di lei. Poi si attribuisce la responsabilità ai social, a internet, e non si capisce il fatto che se io perseguito e bullizzo una ragazza al telefono, per esempio, non è il telefono, non è il mezzo di comunicazione ad aver perseguitato e bullizzato, ma sono io.

C’entra l’analfabetismo funzionale, l’incapacità di gestire le comunicazioni con rispetto per la privacy di chiunque ed evitando di usare il web come un tempo si gestivano le chiacchiere, col passaparola, per rovinare la reputazione di qualcuno. Questa incapacità a mio avviso riguarda anche quelli che ora vorrebbero mettere alla forca i bulli che hanno massacrato Tiziana. Perché è il metodo di comunicazione che va cambiato, innanzitutto. Non si mette fine ad una gogna con un’altra gogna.

Ci sono, in ogni caso, troppe persone che hanno la responsabilità di quello che è successo e bisogna dirlo senza cercare alibi. Parlo del quindicenne idiota ma anche del 40enne sessista, dell’adolescente confusa o della donna incattivita. Non si tratta solo di una faccenda al maschile ma ho letto tanti commenti di donne che parlavano, con estrema convinzione, del fatto che Tiziana avesse pagato per quello che qualcuno dice sia stato “adulterio”. Pensavo fossimo in Italia e non in quei paesi in cui le donne vengono lapidate perché hanno osato fare sesso con un altro. Ma tra le tante bugie, le frasi cattive, le descrizioni fantasiose, di chi cerca ancora scuse per continuare a mortificare Tiziana anche dopo la sua morte, c’è una sola verità: in Italia una donna non è libera di fare sesso e se qualcuno, malauguratamente, ti espone e ti mette alla gogna sei ancora tu che paghi le conseguenze di una scelta fatta da uomini e donne.

Il divario di genere comincia dove si stabilisce una demarcazione tra il giudizio destinato a una donna, perché donna, e quello destinato a un uomo, perché uomo. L’uomo gode di prestigio, nel caso in cui si mostra un video in cui qualcuno gli pratica una fellatio. La donna, invece, continua ad essere giudicata sporca, perversa, troia. Lapidare una donna, virtualmente o per le strade, ovunque essa sia conosciuta, come è successo a Tiziana – perché protagonista di video che non avrebbe dovuto essere mai diffuso, perché è violazione della privacy, è grave diffamazione – linciarla per questo è violenza di genere. Dalle donne cosa ci si aspetta dunque? Castità, purezza, e non parlo solo di uomini o donne sessiste, ma anche di alcune femministe che, ricordo, in quel periodo commentarono la vicenda dicendo che lei fosse esibizionista e che non faceva bene alle donne il fatto che lei si fosse comportata così. Alla domanda “così come?” rispondevano con un balbettio in cui mischiavano pensieri contro la mercificazione delle donne, tirate d’orecchie moraliste per le giovani donne, esortazione a mantenere decoro, decenza, qualcuno la incolpo’ perfino di aver dato un cattivo esempio.

Era lei quella da mortificare e sono state poche quelle che l’hanno difesa, io tra quelle, e che per tutta risposta sono state mandate a quel paese anche da amici e parenti. In una nazione in cui persiste lo stigma della puttana contro ragazze che indossano anche solo degli shorts il vero problema non è internet ma la mentalità bigotta, moralista, misogina che condiziona le nostre vite. Io, da donna, rivendico allora il fatto di aver praticato fellatio, di aver fatto sesso con uomini che non conoscevo, non ho video a testimoniarlo ma vi assicuro che c’ero e non mi vergognerò mai per questo. Ho anche fatto sesso con più uomini, nello stesso periodo, uno alla volta, perché considero la monogamia una stronzata. Non impongo a nessuno di pensarla così ma nessuno può e deve impormi un altro stile di vita. Non esiste quindi la perdita di valori, il degrado, la sessualità vissuta senza fini riproduttivi, e il paradosso è che a dire queste cose sono poi le stesse persone che condannano i musulmani per il burkini.

Quello che esiste è la gretta mentalità di persone che usano il sessismo, lo slut shaming, come mezzo di oppressione per le donne, per farci stare al nostro posto, per ricordarci che i nostri corpi, e la nostra sessualità, appartengono a contesti in cui patriarchi e matriarche ci sorvegliano, ci controllano. Fintanto che noi tutte non rivendichiamo con forza il fatto di essere persone che amano il sesso e che ne hanno diritto tanto quanto gli uomini, senza per questo dover subire il bullismo e la persecuzione da parte di nessuno, credo che ci ritroveremo ancora a sentir parlare di brutti commenti dedicati alle donne che sono un po’ fuori dagli schemi. Capiterà di vedere lapidate modelle per un abito scollato, ragazzine in shorts, adolescenti dalla sessualità vivace, donne che vivono il sesso senza pudore, donne che usano il corpo per lavorare, pubblicizzare un prodotto, o se stesse, includendo le sex workers o le pornostar.

Infine l’ultima considerazione a proposito di commenti in cui si dice che se lei si è suicidata è perché sarebbe stata troppo debole. La debolezza vista come attenuante alla cattiveria altrui è un po’ come attribuire uno stupro a una donna spaventata che non ha saputo difendersi o che, dopo aver tentato di difendersi come poteva, ha ceduto e ha smesso di combattere. Alla donna stuprata viene imputata la “colpa” per l’abbigliamento, gli atteggiamenti, la forza o la mancanza della stessa. Alla donna lapidata viene attribuita la “colpa” di non aver resistito a lungo, fino a che il branco non fosse stato sazio dopo essersi nutrito del sangue, della paura, della resa, della sua vittima. Un po’ come quando un torturatore sadico che ama esercitare potere su una persona lamenta il fatto che essa sia morta troppo presto, prima che egli avesse finito con i suoi giochi.

La verità è che chiunque faccia commenti o pensieri ambigui contro Tiziana ha un’anima piccola, un’empatia inesistente, un maschilismo enorme e un analfabetismo emotivo e funzionale ancora più grande. E, la gente così, mi fa venire la nausea.

Ecco, spero di non essere stata troppo viscerale, perché vi assicuro che la prima cosa che avrei voluto scrivere è una serie di bestemmie. Ma penso che non servano, se non a sfogare la mia rabbia. Per rendere anche il web un posto migliore per altre ragazze, altre donne come Tiziana, serve ragionare insieme sul da farsi. Un piano di lotta culturale. Ne inventiamo uno?

ps: proprio ora leggo di una ragazza filmata dalle “amiche” mentre veniva stuprata. belle amiche, eh?

Fonte

23/12/2015

Sulle donne che mi chiamano sgualdrina se indosso gli shorts

Lei scrive:

Ciao Eretica,

(…) ho 16 anni e mentre leggevo la tua pagina ho trovato questo. Sono rimasta male nel leggere commenti di donne che giudicavano le ragazze con i pantaloncini. Mi ha ricordato l’articolo di un uomo che ha chiamato “sgualdrine” le quattordicenni in shorts.

Poi ci sono stati gli articoli sulla sessualità delle adolescenti ai quali tu hai dato una magnifica risposta e mi ricordo del fatto che ci fu una campagna in cui tante ragazze si sono fotografate con gli shorts. Io li indosso, corti, anche sopra la fine dei glutei, perché mi piacciono e non ci vedo niente di male.

Mi sono sentita dire che vestita così me la cerco, che non devo vestirmi da puttana. Mi hanno detto che sono schiava dell’opinione dei ragazzi, e io non so se è vero o no, ancora non capisco tutto quanto ma non vedo niente di male nel cercare di piacere ai ragazzi. Nessuno rimprovera i ragazzi che cercano di piacere alle ragazze.

Non capisco poi perché se la prendono con le madri, come se il mio abbigliamento dipendesse da mia madre mentre mio padre non ne sa niente. Mia madre e mio padre non sono così retrogradi e mi hanno insegnato che se d’estate fa caldo non c’è niente di male a indossare gli shorts. Ho letto anche che qualcuno diceva che non è giusto per i bambini. Ma che gliene frega ai bambini dei miei vestiti? Forse sono gli adulti che si scandalizzano e non vogliono confessarlo perché sono moralisti.

Lo so che sono giovane ma non per questo devo sopportare il punto di vista di chi mi dice che devo stare attenta a come mi vesto perché altrimenti mi può succedere qualcosa di brutto. Dovrebbero dirmi che sono libera di vestirmi come voglio e che se mi succede qualcosa di brutto la colpa è di chi mi fa male e non mia. Io penso che anche quelle che si dicono dalla parte delle donne hanno le idee molto confuse.

Se tutto quello che sanno fare è giudicarmi e dirmi come devo vestire per non essere stuprata e per non essere chiamata sgualdrina mi chiedo a cosa hanno portato tante lotte. Che vi definite a fare femministe se continuate ad ammorbarci con limitazioni della nostra libertà? Si, mi piacciono gli shorts e non mi importa se mi chiamano “ragazza facile” o “sgualdrina” perché ho imparato che chi mi chiama così è uno stronzo e non posso di certo dipendere dal suo giudizio. E se questo lo capisco io che ho 16 anni perché non lo capiscono le donne che ne hanno molti più di me?

Grazie per lo spazio e complimenti per la pagina e per il blog.

T.

Fonte

17/12/2015

Berlusconiometro

Odiare Michele Serra è facile: lui viene pagato per scrivere un post di Facebook al giorno su di un giornale, e per di più (probabilmente a ragione) scrive libri per perculare noi, che i post di Facebook li scriviamo gratis su Facebook.
 
Criticare Michele Serra, quando scrive un post come questo (scusate, non mi riesce di chiamarlo editoriale), è altrettanto facile. Certo, Putin piace, come scrive Serra, a molti “appassionati di maniere forti”, ma questo avviene solo perché codesti supposti trogloditi, al pari del raffinatissimo intellettuale di Repubblica, sono culturalmente incapaci di raffigurarsi un sistema etico ed estetico diverso da quello in cui vivono, e si divertono gli uni ad incensare e gli altri a flagellare una immagine caricaturale prodotta dai limiti di entrambi.
 
Ma la cosa più facile di tutti è compatire Michele Serra, perché è chiaro che quest’uomo, alla fine del 2015, giudica ancora i protagonisti della politica internazionale sulla base di un parametro infallibile: come si ponevano nei confronti di Berlusconi?
 
4 anni dopo che Berlusconi è stato travolto come un vecchio cercatore di funghi lungo un sentiero boschivo dal branco di cinghiali dell’Unione Europea, calpestato dallo spread e lasciato mezzo morto nel sottobosco, riverso in una pozzanghera di fango e prataioli schiacciati, Michele Serra (e tanti cosiddetti “di sinistra” assieme a lui) si aggirano nei summit mondiali e misurano gli statisti con il berlusconiometro.
 
Berlusconi aveva fatto battutacce su di te? Hai vinto un buono per distruggere quattro paesi.
 
Berlusconi ti portava a pesca e vi provavate i colbacchi assieme? Mi spiace: possono ammazzare i tuoi compatrioti, possono abbattere i tuoi aerei, possono mitragliare i tuoi piloti mentre cercano di salvarsi, e tu devi stare muto. Muto.
 
Hai stretto la mano a un tizio che si scopava una troia di nome Ruby.

E Michele non te lo perdonerà. Mai.

09/12/2015

Magari fosse truffa. Qualche punto fermo sulla crisi del sistema bancario italiano

“ ... come se le proprietà i gradi, gli uffici non venissero guadagnati con la corruzione e l'onore immacolato fosse acquistato davvero col merito di chi lo indossa”. Shakespeare, Il mercante di Venezia.

Non ci vuole molto a capire che questo paese è stato rovinato da Tangentopoli. Ma in un preciso senso: l’impatto mediatico delle inchieste della magistratura milanese dell’epoca ha fatto credere che i problemi italiani fossero risolvibili insistendo sulla sfera morale. Da allora si sono susseguiti, e continuano a farlo, movimenti di moralizzazione della vita pubblica anche molto diversi tra loro. Legati più o meno dallo stesso mito: l’idea che la moralizzazione fattasi regime, e processi con tanto di condanna, avrebbe riportato il paese in equilibrio. E si parla di movimenti spesso legati tra loro, ovviamente, dalla stessa modalità di fallimento non di rado risoltasi in parodia (la Lega di Bossi tra gioielli e titoli della Tanzania; il Prc di Bertinotti, genere moralizzazione di sinistra, col leader imprigionato nei pigiama party dell’alta società; l’Idv di Di Pietro affondata in pochi giorni dopo l’inchiesta di una trasmissione televisiva). Per entrare nelle criticità reali della società italiana molto più di Marco Travaglio, la politica di questo paese avrebbe dovuto affrontare Marc Abèles. Autore che ci spiega le complesse modalità a rete della dissipazione delle risorse comuni come avvengono dagli stati africani alla governance europea (mentre i movimenti di moralizzazione sono fermi all’idea generica della “casta”, a quella che non spiega niente delle “mafie” o, peggio, alla categoria banale dei “corrotti con i complici”). Già perché il sovrapporsi di crisi sistemiche della società italiana, che ne vive diverse dalla caduta del muro di Berlino, genera complesse e aggressive reti di appropriazione di beni pubblici assai voraci, che si giocano la propria sopravvivenza, e capaci di infiltrarsi ampiamente nei movimenti legati ai processi di moralizzazione. I quali oscillano, confusamente, tra il mito dell’arresto salvifico, quello delle buone pratiche da giardino e il timore che la corruzione sia inarrestabile.

Eppure già nel 1992, con lo smantellamento del sistema di protezione del salario e della banda di oscillazione della lira, era evidente che l’assetto sistemico del paese, ormai lanciato nel mare della globalizzazione dopo la fine della guerra fredda, aveva tutte le caratteristiche per non tenere. Da allora i processi di deterioramento delle istituzioni a supporto, e a disciplinamento, della società (sfera giuridica, sanitaria, educativa, di protezione sociale, decentramento etc.) sono stati maggiormente rilevanti di quelli di modernizzazione. Anche, anzi, a maggior ragione (si guardi la stagnazione complessiva del Pil dal 2002 a oggi), nel momento in cui l’altro grande mito, quello della modernizzazione irreversibile per via europea, trova coronamento simbolico nell’entrata in vigore della moneta unica.

Da queste criticità sistemiche non poteva rimanere immune il sistema bancario. Anzi, le mutazioni dell’ultimo quarto di secolo in Italia sono ben anticipate dalla riforma Amato del 1990. La quale, recependo benissimo la incipiente finanziarizzazione dell’economia globale incubatasi negli anni ’80 (in Europa con le direttive Ue del 1986 e del 1988 sulla liberalizzazione dei capitali fortemente nazionalizzati fino agli anni ‘70) scioglieva di fatto le banche come istituto di diritto pubblico, facendole diventare società per azioni. All’alba degli anni ’90, e al declino della prima repubblica, il potere reale italiano, non quello legato ai movimenti di opinione ma alla proprietà e alla circolazione di ricchezza, si dava quindi una struttura che ritroveremo più volte nel corso dei lustri successivi. Quella dove si intrecciano il potere della moneta, dove le banche (a volte con profitto altre affannosamente) come Spa si legano alle mutazioni del capitale nazionale e globale, e quella del potere di relazione, contenuto nelle fondazioni bancarie a controllo delle banche stesse, dove si relazionano ceto politico, manager ed ogni genere di potere in grado di mettersi a rete. Si capisce così che il potere reale italiano quando ha mollato, dagli inizi degli anni ’90, la rappresentanza sociale diretta (partiti, sindacali, società civile) lo ha fatto a ragion veduta. Consapevole di essersi comunque legato al più forte potere di governo – antico ma dai nuovi connotati – quello della moneta e dei suoi derivati. E per governare una società, di fatto, postindustriale basta stare al centro delle dinamiche di potere della moneta e della comunicazione. E il resto, avanzi pure, può dire e fare cosa preferisce. Fino a quando non viene una Le Pen che della comunicazione sa cosa fare ma questa, come sappiamo, è un’altra vicenda.

In questo quarto di secolo sono avvenute moltissime cose – non esiste più la banca centrale nazionale, ci sono stati numerosi accorpamenti bancari, ci sono investitori stranieri, si fanno molti meno soldi coi correntisti che in passato, i prodotti finanziari tossici si sono moltiplicati in modo incredibile, le evoluzioni tecnologiche, delle globalizzazione e dei processi di governance hanno inciso profondamente sul banking, il declino del pil ha ridotto i margini di manovra di tutti gli attori in scena, le banche centrali, oltre a stampare i soldi come mai nella storia umana, più che istituti di regolazione sono giocatori nei mercati ad alto rischio – ma lo schema di comportamento del potere reale italiano è sempre quello codificato dalla legge Amato del ’90. Vale a dire inseguire le ondate di liberalizzazione dei capitali da una parte tentando di adeguarsi a questa tendenza, dall’altra cercando di mantenere, o di adattarvi, tutto il potere di relazione della società italiana che conta o che presume di contare (giusto per sprovincializzare il problema: lo schema non è solo italiano. Lo possiamo trovare, grosso modo, anche nel mondo finanziario di un grande paese in stagnazione: il Giappone. Molto interessante in materia è il testo di Hirokazu Miyazaki, Arbitraging Japan. Dreams of Capitalism at the End of Finance). Certo, Giuliano Amato ha ampiamente riscosso i dividendi dovuti al copyright di questo schema: un paio di volte presidente del consiglio, poi ministro adesso, dopo aver mancato la presidenza della repubblica, membro della corte costituzionale. Tra l’altro Amato è anche autore della legge liberticida, votata e applaudita nel 2007 da tutte le sinistre arrapate di legittimazione securitaria, che ha svuotato gli stadi italiani. Amato, all’incrocio dei processi di governo della moneta della comunicazione, lo stadio fa parte di questi ultimi, come dire: la biografia di questo signore è una nota vivente per chi è interessato, oltre che a leggerla, a come funziona veramente il potere.

Andiamo quindi a leggere il “salvataggio” delle banche in crisi, di medie dimensioni, da parte del governo Renzi avendo in testa sia il sovrapporsi di crisi sistemiche nel paese che lo schema di adattamento, da parte del potere reale italiano, alle evoluzioni della finanza globale.

Qui bisogna stare attenti al fatto che lo schema della moralizzazione della politica non è in grado di spiegarci cosa sta accadendo alle banche italiane. La moralizzazione riduce il funzionamento dei dispositivi bancari a schemi antropomorfici: le banche “ingorde”, “corrotte” e “ladre” avrebbero provocato il danno magari riparabile con una corretta legislazione e con il richiamo all’efficienza di mercato. La vicenda Monte dei Paschi – nella quale comunque ingordigia, corruzione e ladrocinio non sono certo mancati – ci aiuta invece a capire come è saltato un modello di business bancario e quali effetti abbia avuto. Perché, come è accaduto per la storica banca senese, gli istituti di credito non riescono più a ricevere profitti dal territorio e, allo stesso tempo, non hanno margini per finanziare le imprese e le istituzioni. La doppia crisi, dell’economia territoriale e della scappatoia della bolla immobiliare, ha reso impossibile al Monte d'avere livelli di profitto e quindi di redistribuzione (qui semplifichiamo) come nel passato. Allo stesso tempo, una delle fonti storiche di approvvigionamento di profitti, i tassi di Bot e Btp è andata calando con il declino dei tassi di interesse. Non restava, come ha fatto MPS, che l’avventura con i titoli tossici. Avventura, come sappiamo, andata male. Se guardiamo al modello MPS si capisce cosa sia entrato in crisi nei modelli di business delle banche locali “salvate” dal sofferto (nella gestazione e nelle conseguenze) decreto del governo: la crisi dei profitti prodotti sui territori, assieme al lento sgonfiamento dei valori immobiliari, e quindi dei relativi servizi finanziari; la difficoltà ad approvvigionarsi sul mercato, un tempo dai profitti sicuri, delle obbligazioni di stato (siamo passati da oltre il 4% di interessi all’inizio della crisi Lehman a quasi zero); il rischio di dover correre qualche avventura di troppo nel mare tempestoso dei titoli tossici. Infatti, le quattro banche recentemente “salvate” mostravano tutte questi sintomi di malattia già riscontrati nella vicenda Monte dei Paschi.

E qui, secondo la visione dell’Europa tipica di tante subculture italiane della moralizzazione, si potrebbe anche pensare che si tratti di un problema tipicamente nazionale. Magari sintomo dell’arretratezza dell’Italia profonda nei confronti di una Europa tecnologica ed avanzata. Sono suggestioni che possono andare bene a chi ha votato Renzi, a chi crede che la Camusso sia una sindacalista e non un sauro, a chi pensa che Pisapia sia stato un sindaco e non un crocevia di interessi bancari (vedi il ritiro della causa civile del comune di Milano al processo sui titoli tossici Deutsche Bank) e immobiliari (vedi l’appiattimento al modello Renzi di governance prefettizia dell’accumulazione immobiliare inaugurato con Expo). Ma vediamo cosa accade nel mondo reale.

Se andiamo infatti a vedere la crisi delle Sparkassen, ma ancora di più quella delle Landesbanken tedesche (che hanno goduto di una legislazione più ambigua e a partire dal 2008 si sono scottate di brutto con la grande crisi dei subprime, si veda questo storico articolo di un esperto di politica monetaria della Hochschule di Brema) scopriamo infatti che, da tempo, anche il modello di business della banche locali tedesche è in crisi. Non solo, come si capisce dalla data della crisi delle Landesbanken, i tedeschi hanno provato da molti anni a risolvere la crisi del loro modello di business locale investendo in titoli tossici della finanza globale. Come dire, MPS, che si strozzò da solo con i titoli tossici della giapponese Nomura, non è stato un caso dovuto a corruzione e avidità tutte italiane. Ma la norma delle difficoltà del modello di business bancario d'oggi, che ci fa capire la crisi di un capitalismo che ha grosse difficoltà sia a fare soldi a mezzo produzione di merci, sia a fare soldi facendo girare moneta tra le banche e, persino, stampandola tramite le banche centrali. Poi il fatto che gli attuali tassi negativi dei bund tedeschi penalizzino le banche in Germania, come ha sottolineato più volte la stessa Handelsblatt, rendono questa crisi non ancora risolta (mettendo a rischio i potenti fondi pensione teutonici). Nonostante sia stata fatta molta strada, in termini di governance europea del fenomeno, dal 2008, non è affatto raro trovare analisti che sostengono che tutte le misure prese dall’eurozona da allora, in termini di politica del rigore, altro non sono che un gigantesco salvataggio del sistema bancario tedesco. Recentemente su Bloombergview un analista ha retrodato alla crisi del 1998, ancor più sconosciuta al grande pubblico, questo genere di tentativo di salvataggio del sistema tedesco. Il punto è che, così facendo, si perdono di vista sia le grosse crisi che attraversano il sistema bancario francese che il legame, di questo sistema, con il mondo bancario tedesco (tanto che il presidente della Bundesbank a suo tempo si è specializzato in rapporti economico-bancari tra Francia e Germania).

La crisi del banking italiano è quindi il riflesso, tutto legato ai territori, di una serie di fortissime criticità del mondo bancario continentale, del suo rapporto con la crisi della produzione di valore tramite produzione di merci e con quello della produzione di valore tramite creazione di denaro. Viene davvero da dire: magari la vicenda del fallimento di quattro banche italiane fosse una truffa. Non esisterebbero delle criticità, nei sistemi bancari europei, i cui riflessi reali sono tali da assestare colpi molto duri all’economia e allo stato sociale del continente.

Andando nello specifico del decreto di “salvataggio” delle quattro banche in crisi (tra cui la Banca dell’Etruria, il cui vicepresidente è il padre della ministro Boschi, il cui istituto era già stato beneficato da interventi legislativi la scorsa primavera) cominciamo dal fatto che ha suscitato maggior rumore: tanta gente è rimasta senza risparmi investiti in azioni e obbligazioni delle banche “salvate”. Ma perché non si è fatto ricorso al Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi (FITD)?

I motivi sono tanti tra cui uno molto importante. Il Fondo servirà, secondo le direttive della Banca centrale europea, alle prossime crisi italiane, quelle a partire dal primo gennaio 2016. E si tratterà di una modalità di “salvataggio” delle banche che rovescia l’approccio tenuto durante la grande crisi del 2008. Si passerà, a partire da gennaio, dal bail-out al bail-in. In poche parole ad un pieno rovesciamento di filosofia, causa anche l’impossibilità, da parte dell’eurozona e della Bce, dell’intervento pubblico europeo nei confronti delle banche. Infatti, fino sostanzialmente alla crisi cipriota del 2012, le banche che entravano in crisi, nelle varie emergenze da titoli tossici, venivano salvate con il bail-out. Ovvero lo stato nazionale, con l’aiuto della Bce, copriva il debito della banca entrata in crisi e il cittadino pagava sotto forma di politiche di austerità visto che questi soldi, messi dallo stato per salvare la banca, erano sottratti direttamente alla spesa pubblica. Con il corso degli anni, vista l’enormità della crisi delle banche europee, nell’eurozona si è fatta strada la consapevolezza che i bail-out non sono finanziabili come nel passato. Allora si è passati, anzi si passerà ufficialmente dal primo gennaio, al bail-in. Ovvero, per farla breve, una forma di “salvataggio”, in cui l’intervento pubblico è ridotto, e non può essere configurato come “aiuto di stato”, e nel quale diverse categorie di risparmiatori e di correntisti pagano direttamente. E cosa accade? Ovviamente che interi nuclei familiari, piccole imprese, dipendenti di queste imprese rischiano la sopravvivenza ad ogni serio bail-in. Così mentre con il bail-out si alimentava il lepenismo, poi tradotto in varie forme nelle tante culture nazionali, grazie alla contrazione dello stato sociale, con il bail-out lo si alimenta attaccando direttamente il risparmio. Sagace, come diceva Claudio Bisio in una nota pubblicità. Ma sono cose che accadono quando si lascia fare agli spiriti animali del mercato della moneta. Animali che finiscono per sbattere la testa, e con loro intere società, con i limiti del capitalismo contemporaneo. Il “salvataggio” delle banche, ma non dei risparmiatori come è stato fatto capire senza problemi da esponenti del Pd e del governo Renzi, genera poi una crisi molto seria nel tessuto della società italiana. Quella del rapporto fiduciario tra banca e risparmiatore, visto che molti di quelli che hanno perso i soldi erano stati direttamente “consigliati” dalla loro banca. E, in una società impaurita dalla crisi, non c’è niente di peggio di una crisi di fiducia non tanto nella politica istituzionale, a quella non ci crede più nessuno, ma in quella della microfisica dei rapporti legata all’unica istituzione in cui tutti veramente credono: la moneta.

Ma come sono messe oggi le banche italiane? Si guardino un paio di infografiche giusto per entrare nella differenza tra (ehm) narrazione renziana dell’Italia che riparte e mondo reale. Il primo, ringraziando linkerblog, è dedicato al credito concesso ai residenti, toh nel periodo in cui, secondo i tg, la ripresa dell’Italia renziana e liberista si faceva sempre più rampante.

L’Italia, come si vede, nel periodo della super-ripresa renziana ha visto contrarre del 5% il credito concesso a residenti. Non a caso, dopo quello che abbiamo scritto, questa contrazione è avvenuta anche in Germania. Certo, in Germania le scorte per consumare ci sono. In Italia, lo si capisce in un attimo, questa infografica è indice di un paese in regressione economica. Come ci testimonia infatti, sempre da linkerblog, il calo, nello stesso periodo, della liquidazione delle fatture da parte della banche.

Queste due infografiche ci fanno capire, meglio di tante analisi, come le politiche della Bce di Draghi a) ufficialmente servano per fornire liquidità alle banche italiane per l’economia ma, di fatto (come avvenuto in Giappone) non impediscano il fenomeno b) ovvero servire, nel migliore e niente affatto certo dei casi, a stabilizzare i propri bilanci ma non a prestare capitali a imprese, famiglie, consumatori.

E non è finita qui. E’ tutto capire il futuro del sistema italiano del credito. Specie se entrerà a regime il mercato unico dei capitali per le infrastrutture magari sottraendo terreno alle banche nazionali. Terreno, quello del finanziamento alle infrastrutture e del grande credito già incalzato dal sistema bancario ombra. Sistema che è seriamente in crescita secondo rilevazioni della stessa Bce. Mentre dall’altro lato, quello della microfisica del credito al consumatore, il ruolo delle banche europee comincia ad essere minacciato dal fenomeno del lending on line e della peer-to-peer finance (si veda qui). Per non parlare della crescita di piattaforme di prestito tramite Amazon, Square, Apple, Google. Oggi, in Italia, tutto abbastanza embrionale. Ma non c’è fenomeno della rete che poi non abbia invaso il nostro paese. E le conseguenze sull’economia, e per la politica, di tutto questo sono davvero tanto strategiche quanto da analizzare. Il credito troppo grande (lo shadow-banking) e troppo piccolo (il modello peer-to-peer finance) sta sgretolando la trasmissione di ricchezza così come è stata strutturata nell’ultimo quarto di secolo nel nostro paese. Al netto del fatto, non secondario, che la crisi delle banche europee, come abbiamo visto, manifesta le proprie caratteristiche anche in Italia.

Come si comprende, con la vicenda dell’evaporazione dei risparmi nel recente decreto salvabanche non si osserva tanto la vicenda di quattro banche e del loro provinciale management. Quanto l’effetto locale di una crisi complessiva delle banche europee che tocca la forte criticità nel supporto di produzione e consumo. Renzi, come al solito, è impagabile. Ha anche dichiarato che sta studiando una riforma del sistema bancario cooperativo “modello Crédit Agricole”.

Non è purtroppo dato sapere quale roba potente avesse fumato chi ha suggerito la battuta a Renzi che ha pure parlato del Crédit come “modello solido”. Perché il Crédit Agricole, ha fallito proprio quest’anno la riforma della propria governance, ed appena nel 2014 era considerato la banca tossica più pericolosa d’Europa e controllava un altro grande ordigno di titoli tossici: il portoghese Banco do Espirito Santo. Insomma, è in grave crisi sapendo di esserlo.

Marjiuana potente a parte, sono dichiarazioni, evidentemente, fatte per favorire qualche amico rialzista tra cui magari il babbo della ministro Boschi (senza che nessuno ravvisi il più elementare conflitto di interessi). E il tutto dopo aver fatto guadagnare qualche amico ribassista, incidentalmente iscritto al Pd, che ha guadagnato dalla crisi dei titoli Mps.

Ecco quindi l’interpretazione renziana del modello Amato: l’adeguamento alle mutazioni dei mercati finanziari passa per una restrizione del ceto (politico, bancario, di relazioni sociali), in grado di approfittare di tutto questo. Mentre un quarto di secolo fa la base sociale del passaggio della banche a Spa era ampia – si trattava del risparmio inteso come base materiale di consenso delle ristrutturazioni anni ’90 – oggi la restrizione di questa base appare palese. E persino quella del suo vertice.

Certo nella vicenda del salvataggio alle banche, truffe ed episodi di colore ci sono. Ma chiunque abbia qualsiasi velleità di governo deve mettere in primo piano una politica monetaria alternativa con l’avvertenza, naturalmente, che rischia di saltare in una notte come Varoufakis. L’Europa non tollera, come abbiamo visto, dissociazioni dal modello dominante. Per quanto disastroso sia.

Certo i movimenti della moralizzazione dovrebbero mutare, trasformandosi in politici, passando da una strutturazione liquida, legata agli umori dell’opinione pubblica, a una con un diretto legame con la struttura sociale del paese. Imparando dal passato e senza importare la maggior parte dei difetti dei vecchi partiti. Per adesso queste ultime frasi appena scritte sono qualcosa a metà tra la scatenata fantascienza e la petizione di principio. Certo qualcosa accadrà, giusto il Censis può pensare che, come fa da decenni tutte le volte che non sa cosa dire, la società italiana è addormentata. Bisogna vedere però, questo si, con quali umori si risveglia. Intanto il potere reale, non quello immaginato in articoli e testi che vivono in un mondo fatto di incerte fantasie, muta, evolve e cerca nuovi dispositivi di stabilizzazione. A spese nostre, mai dimenticarlo.

Per Senza Soste, nique la police

8 dicembre 2015


Fonte

30/09/2015

Cacciata dall’occupazione perché promiscua

Quando ho occupato, assieme ad alcuni ragazzi, la casa dove abitavamo insieme, non pensavo di trovare lì persone che mi avrebbero giudicata. Attorno ai compagni si realizzano molte aspettative. Sono tutti buoni, dalla parte giusta, meravigliosi, antifascisti, antirazzisti, antisessisti. Non ho avuto alcun problema ad essere l’unica donna tra gli uomini. È vero che i primi tempi mi sono data molto da fare nella cura della casa. Mi sentivo in obbligo, come se qualcuno mi avesse fatto il lavaggio del cervello e io non riuscissi a liberarmi del ruolo di cura che ti consegnano alla nascita se tu sei femmina.

Pulivo, cucinavo, mentre loro parlavano di rivoluzioni e lotte contro il sistema. A volte è facile spostare le lotte altrove senza però mettere in discussione nulla di quello che accade vicino a te. Uno di loro faceva il “capetto” e tutti pendevano dalle sue labbra, e a me era permesso intervenire a meno che per i tanti impegni dentro o fuori casa non potessi partecipare. In realtà preferivo pensare all’orto. Facevo la spesa risparmiando. Cercavo di sedare inimicizie e atteggiamenti competitivi. A poco a poco per me fu naturale dormire prima con uno e poi con l’altro. In vari periodi della nostra convivenza ho fatto sesso con ognuno di loro. Piaceva a me e piaceva a tutti. Saldava la nostra convivenza e salvo un caso in cui uno di loro manifestò gelosia nei miei confronti andò tutto a meraviglia. Fu così almeno fino all’arrivo di Manuela.

Più giovane di me, disse che aveva bisogno di stare lontana da contesti che non la stimolavano intellettualmente, così decidemmo che sarebbe potuta restare. C’è stato un breve periodo in cui lei tentava di ingraziarsi me per avere ruolo in quel gruppo. Poi andò a letto con uno degli occupanti e tutto cambiò. Lei partecipava a tutte le assemblee vicina al suo compagno. Interveniva spesso e la sua voce veniva ascoltata seriamente. Nel frattempo io continuavo ad accettare le lusinghe dei compagni che mi baciavano e abbracciavano perché ero una magnifica cuoca, il perno dell’occupazione, senza di me non ci sarebbe stato quello spazio e quindi continuavo a cucinare, pulire, e nel mio tempo libero studiavo molto.

Un giorno uno di loro, molto ubriaco, mi abbracciò e andammo a letto insieme. Il sesso fu godibile. Mi fece molto ridere il modo in cui mi parlava. Poi sussurrò all’orecchio che la tipa che avevamo accettato di includere nel nostro gruppo diceva in giro che il fatto che io andassi a letto con tutti diventava una distrazione. Toglieva armonia al gruppo. E mi disprezzava molto, contrariamente a quello che pensava dei compagni la cui promiscuità non era minimamente messa in discussione. In realtà era lei che aveva assunto un atteggiamento molto competitivo e che mi dava sostanzialmente della zoccola perché era forse gelosa del suo partner, con il quale avevo fatto sesso anch’io, o perché semplicemente voleva diventare intima, ancora più parte del gruppo di quanto fossi io.

Non diedi peso alla cosa, pensai che l’ubriaco straparlava e continuai la mia vita divisa tra mille impegni e la militanza di gruppo. Un giorno il “capetto” disse che era necessario che io fossi presente alla riunione serale. Avevano qualcosa da dirmi, così andai. Erano lì schierati, come se volessero fucilarmi da un momento all’altro. Nessuno sedette accanto a me e fu lei, l’altra, ad aprire l’assemblea con un intervento che poneva l’accento sull’importanza dell’azione militante del gruppo e sul fatto che sarebbe stato davvero terribile se qualunque cosa avesse il potere di ledere quell’equilibrio.

Continuò il capetto che mi fece una vera e propria paternale. Non accennò al fatto che aveva più volte goduto sessualmente della mia compagnia. Disse che forse sarebbe stato il caso di allontanarmi perché la mia presenza destabilizzava un po’ tutti. Chiesi chi fossero quelli destabilizzati della mia presenza, a parte l’altra donna lì presente, e nessuno seppe dirmi senza abbassare gli occhi per non incontrare il mio sguardo. Volevano che io me ne andassi in quanto “zoccola”, senza alcun dubbio. Di mezzo c’era un atteggiamento sessista e paternalista e anche la solita mania di controllo e di accentramento di certe donne che non sanno far di meglio che cercare una nemica per distruggerla. Agli occhi degli altri. Agli occhi del mondo intero.

Dissi che meritavo di restare perché quel posto l’avevo costruito con le mie stesse mani. Avevo sgobbato per farlo diventare molto più abitabile e poi non avevo alcun luogo in cui andare. La tizia allora disse che sarebbero stati certamente comprensivi. Per gentile concessione potevo restare ma non troppo a lungo. Mi davano il tempo – che carini – di cercare un altro posto in cui stare. Avevano grande rispetto per me ma a quanto pare non facevo gioco di squadra. Forse intendevano che non ero disponibile a seguire la loro morale in fatto di sesso ma non mi pare che qualcuno di loro sia mai stato messo in discussione, e, come al solito, è una donna quella che deve fuggire via con una lettera scarlatta attaccata al corpo.

Avevo già intenzione di andare all’estero, perché l’Italia non mi offriva molte possibilità. Perciò decisi di anticipare la mia partenza e dopo aver spedito le mie cose, con pacchi destinati alla casa di un mio amico, salutai tutti e presi il primo volo disponibile. Di loro non ho poi saputo granché. Ogni tanto leggo sul loro blog interventi della tizia che pensa di essere il padreterno. Credo che abbiano deciso di ospitare anche un’altra persona, un’amica della tizia, cacciata però poco tempo dopo con chissà quali pretesti. Io me la godo, qui dove sto, e voglio solo ricordare questi fatti, accaduti un po’ di tempo fa, perché è giusto dire che se non si fa la rivoluzione nel proprio privato, nell’intimità, non c’è rivoluzione che tu possa fare fuori.

Ho scoperto, a mie spese, che le dinamiche di un gruppo, per quanto “compagno”, sono esattamente le stesse che in qualunque altro posto. E, per finire, affermo che continua a piacermi fare sesso con molti uomini. Così sono io. Se tu e tu e tu non lo tollerate allora immagino che voi siete compagn* tanto quanto può esserlo un fascista qualunque. Non sono io quella sbagliata. E non mi convincerete del contrario.

Fonte

26/11/2014

Turchia: poteri speciali alla polizia e stretta repressiva sulla “morale”

In un nuovo giro di vite che ha già causato aspre polemiche e critiche, il governo turco ha annunciato che intende dare alle forze dell'ordine maggiori poteri.

Il ministero degli esteri ha ultimato lunedì la redazione del "pacchetto di riforma della sicurezza interna" e l'ha inviato alla presidenza della Grande assemblea nazionale della Turchia (Tbmm), il parlamento turco, perché ne calendarizzi la discussione. Il primo firmatario del provvedimento è il premier Ahmet Davutoglu che a ottobre aveva annunciato norme straordinarie per prevenire manifestazioni violente dopo l’uccisione di circa 50 manifestanti, da parte della polizia ma anche di gruppi islamisti radicali o nazionalisti di estrema destra nel corso delle proteste popolari organizzate dai partiti curdi e dall’estrema sinistra turca contro il sostegno di Ankara ai jihadisti dello Stato Islamico che assediano Kobane (nel Kurdistan siriano).

Secondo le norme contenute nella nuova proposta di legge in discussione in parlamento, infatti, aumenterà il periodo di detenzione preventiva consentito, la pistola d'ordinanza potrà essere usata in un numero maggiore di casi e le intercettazioni telefoniche degli indagati saranno più facili. Sulla base del provvedimento governativo la polizia potrà ascoltare le conversazioni telefoniche di un sospetto per ben 48 ore senza dover chiedere l'autorizzazione di un giudice. Gli agenti inoltre potranno trattenere in stato di fermo fino a 24 ore chiunque venga arrestato durante una "manifestazione non autorizzata", estendibili a 48 nel caso di "manifestazioni violente".
Inasprimento delle pene – da tre mesi a tre anni di reclusione – anche nei confronti di chi canterà slogan o esporrà bandiere o simboli di organizzazioni dichiarate illegali, come ad esempio il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) o alcuni gruppi marxisti turchi. Inoltre gli agenti potranno sparare a manifestanti che lanciano molotov contro la polizia "fino a quando l'attacco sarà neutralizzato". Si tratta di comportamenti e pene in gran parte già applicate dalle forze di sicurezza e dalla magistratura di Ankara nei confronti dei dissidenti politici, dei militanti curdi e dei manifestanti scesi in piazza in questi anni contro il governo, ma che ora verranno di fatto legalizzati e sanciti da una vera e propria controriforma repressiva scattata dopo la vittoria elettorale dei liberalislamisti dell’Akp prima alle elezioni amministrative e poi alle presidenziali.

Come se non bastasse, le nuove norme che saranno presto approvate dal parlamento – dove l’Akp dispone di un’ampia maggioranza che mette il governo a riparo da eventuali brutte sorprese – introducono anche un nuovo requisito per ottenere la cittadinanza turca, quello di rispettare la "moralità generale". Una donna straniera che deciderà di sposare un cittadino turco dovrà dimostrare di essersi comportata in conformità con alcune norme morali sancite per legge altrimenti potrebbe vedersi rifiutare la concessione della cittadinanza. Nel testo presentato dall’esecutivo, ha informato il quotidiano Hurriyet, si fa riferimento all’espressione “genel ahlak”, in italiano traducibile come “moralità generale”, in riferimento ad una serie di norme di fatto religiose che prescindono da eventuali carichi pendenti con la giustizia del proprio paese normalmente valutati per la concessione del passaporto. Una svolta moralista e pesantemente restrittiva di fatto annunciata dal presidente Erdogan quando, pochi giorni fa, nel corso di un Summit dedicato a donne e giustizia, l’ex premier ha detto chiaramente che l’eguaglianza tra i due sessi “non è naturale” e che le donne devono stare al loro posto.

Fonte

14/03/2014

Per le ragazze sporche (#LessonOne: masturbati con sentimento!)

Il pezzo della Borromeo sulle adolescenti mi procura un gran fastidio a pelle. Lo devo dire: è moralista. Ed è anche strapieno di stereotipi o comunque ne rafforza un bel po’. Passa l’idea di sedicenni che fanno a gara per trovare un pene e conseguire lo sverginamento come status sociale. Ci piazza dentro anche il pregiudizio secondo cui queste ragazze userebbero la pillola del giorno dopo come soluzione per riparare alle loro leggerezze, aggiunge un po’ di parole sporche che fanno inorridire, se accostate all’adolescente che ha da apparire linda e pudica, e il gioco è fatto. Quello che ne viene fuori, per dirla come direbbe mia figlia, è il tratteggio di una identità mediaticamente spendibile per farci megapuntatone a Porta a Porta. E ha ragione, perché stuzzica pruriti, è anche morboso, e non capisco come e perché un servizio del genere possa essere considerato un buon mezzo per indagare la vita delle adolescenti.

Ci sono alcuni punti che io vorrei rilevare: il diritto alla sessualità consapevole delle ragazze che non viene mai citato, il diritto ad ottenere informazioni certe sulla contraccezione che manca e parlo dell’assenza, spesso, di strutture di riferimento per accedere alla contraccezione. Il racconto che viene fuori dall’articolo non so perciò a quale realtà davvero si riferisce. Cioè: dove stanno tutti questi fantomatici luoghi in cui non esisterebbe ombra di obiezione di coscienza e che mollano un contraccettivo d’emergenza a una ragazza senza, come minimo, imputarle un po’ di decadimento di valori morali?

La ragazza spregiudicata che fa pompini, seghe, ovvero partecipa attivamente ad una vita sessuale tra adolescenti, non mi sconvolge neanche un po’. E’ la maniera di raccontare queste cose che mi sembra giudicante e allora mi viene in mente la sollecitazione, sempre più frequente, che arriva anche da certe donne moraliste, di portare a scuola non l’educazione sessuale ma quella sentimentale, perché è tutto un rieducare soprattutto le fanciulle a coprirsi per salvaguardare la loro dignità e a dare valore al sentimento invece che all’acquisizione di consapevolezza che serve per vivere meglio la sessualità. Nel senso che certe adulte hanno difficoltà a parlarti di sesso e se proprio devono farlo ti diranno di masturbarti con sentimento.

Mi viene in mente anche che entrare nell’intimità di una ragazza basandosi sulla testimonianza di una o due fanciulle, un po’ come farebbe Lucignolo su Mediaset o qualunque altro programma in cerca di sensazionalismo sui disagi dei gggiovani, non è neppure un’inchiesta. E non è per mettere in dubbio quello che dicono ma semplicemente perché la generalizzazione certamente non aiuta. Cosa vogliamo dire? Che queste ragazzine sono un po’ tanto zoccole e che quello che fanno rappresenta appieno il degrado dei valori? La mossa successiva quale sarà? Dire che non hanno una figura autoritaria che le rimette a posto? Che hanno bisogno del papà machista? Che gli serve fare educazione domestica e pensare che domani dovranno essere madri?

E tutto questo ruotare attorno alla faccenda della verginità? Che ce ne frega quando le ragazze perdono la verginità? E’ quello il punto? Che la perdono per gioco, per scommessa, non per amore, o chi lo sa? E abbiamo noi da suggerire quale dovrebbe essere il modo giusto? Quello di conservarsi pure fino al grande amore? Ma poi, anche sull’uso di certi termini, sulle ragazze “indemoniate”, ovvero quelle che la danno facile e che inibirebbero i ragazzini, ma vi sembrano concetti universalizzabili? Io non lo so quant* tra voi ricordano i 16 anni ma di sicuro se a quell’età vuoi scopare non ti metti con un fanciullino che ha meno consapevolezza di te. Li cerchi un po’ più grandi, comunque un minimo consapevoli, e anche questo potrebbe essere uno stereotipo perché comunque non si sa. Di sicuro non ti metti a stuprare la psiche dei ragazzetti che vengono descritti come se fossero Woody Allen con il terrore in corpo all’avvicinamento di una tetta.

In Sicilia, giusto per fare un esempio, non molto tempo fa tre ragazzini di 14 anni, all’incirca, hanno stuprato, picchiato e ucciso una bambina di 13 anni. Ci sono quelli che ti pigliano per il culo, usano una fotografia fatta nell’intimità e poi ti ricattano per ottenere sesso non consensuale le volte dopo. Ci sono quelli che partecipano ad un rapporto consensuale e poi però è lei che deve cambiare scuola invece a loro nulla o quasi viene detto. Chissà come e perché alla fine, insomma, la morale non libera la sessualità, la ricerca del piacere, il gioco erotico, ma ti pone due sole alternative per cui l’adolescente se non è vittima è sempre colpevole. Allora raccontare la sessualità delle ragazze come se fosse, nel 2014, ancora roba del demonio non aiuta. Non aiuta affatto nella individuazione delle complessità.

Il mondo perso delle adolescenti bacate e dalle cosce aperte comunque in questi ultimi tempi ce lo stanno descrivendo in tutte le salse. Le babyzoccole, le babysverginate, che poi a 16 anni non so quanto sei baby, e lo sguardo è paternalista, con un moralismo atroce calato dall’alto che implica e spinge verso soluzioni autoritarie.

Queste ragazze, insomma, sono sbagliate e andrebbero aggiustate. Next Stop sarà la spiegazione su come farlo.

Che dite: gliela raccontiamo noi la sessualità delle adolescenti? Ditemi, se volete: abbattoimuri@grrlz.net .

Fonte

27/03/2013

L'etica tedesca e lo spirito dell'euro

Una lettura - davvero molto interessante - della "crisi di Cipro" e del ruolo della Germania. Nonché degli imbrogli e delle incomprensioni generati dal "buttare in etica" una campagna elettorale...

Quando le elezioni politiche tedesche si saranno finalmente svolte in settembre finirà la piùlunga campagna elettorale del dopoguerra, che dura da non meno di tre anni.
Tra i molti mali che questa lunghissima campagna avrà scatenato bisognerà contare, forse al primo posto, il ritorno massiccio della morale in politica. Pareva che la riunificazione tedesca, tanto caparbiamente voluta e preparata in silenzio da uomini poco interessati alla ribalta, come il ministro degli esteri Genscher e persino il Cancelliere Kohl, fosse da citarsi come il trionfo della realpolitik, basata su una apparenza di motivazioni ideologiche e nei fatti ben ancorata agli interessi elettorali di Kohl e alla necessità di espansione dell’industria tedesca.

Al contrario, il costo enorme dell’annessione dei sette laender orientali, sebbene sopportato anche dai paesi dell’Unione Europea, che acconsentirono che l’operazione di annessione fosse finanziata come se si trattasse dell’entrata nella Ue di uno stato sovrano, fu accettato in  silenzio dagli altri stati membri. Ma la gran parte della ricostruzione della Germania Est per portarla agli standard dell’altra Germania, distruggendone allo stesso tempo l’industria con un tasso di cambio proibitivo, l’hanno dovuta finanziare i cittadini della Germania Ovest con le loro tasse.

La mancanza di trasparenza della gigantesca operazione ha ispirato nei tedeschi dei laender occidentali il desiderio di non farsi imporre, in futuro, altri simili salassi, un rigetto di quella che hanno percepito come una carità obbligatoria, che credono sia costata loro molto cara. Da allora si sono mostrati fortemente restii a finanziare altri salvataggi, ancor meno trasparenti e  comprensibili, coi loro soldi, senza neppure l’alibi dell’aiuto a fratelli separati e oppressi per decenni.

Proprio allora invece è iniziata la fase di turbolenza del sistema economico e finanziario internazionale, ed è stato necessario che la Germania, paese centro dell’Europa, mentre espugnava tutti i mercati europei con una politica di neo mercantilismo aperto,  comprendesse, come fecero gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, che ad essa si richiedeva di fare una politica di espansionismo proiettata verso l’esterno, guardando ai propri interessi di lungo periodo. Essa doveva avere come caratteristica principale la capacità di finanziare la domanda dei paesi periferici dell’Europa.

Ma è proprio quel che una buona parte dei tedeschi si rifiuta di fare, aizzata da partiti politici che invitano i cittadini a non vedere la trave nei propri occhi ma a concentrarsi sulle traveggole degli occhi dei vicini. Parlamento, giornali popolari e altri mezzi di comunicazione, per non parlare della ineffabile corte costituzionale di Karlsruhe, si sono dati a un’orgia di moralismo nei confronti dei debitori dei tedeschi.

Motivi ai quali appigliarsi ce ne sono, a iosa. Basta guardare ai costi della politica in Italia e agli episodi assai numerosi di illegalità e immoralità pubblica dell’Europa periferica. Agli sprechi di opere pubbliche costosissime e inutili, alla incapacità di portare le proprie industrie a livelli più elevati di ricerca e innovazione.

Quel che manda letteralmente in bestia i cittadini tedeschi, inoltre, è il ritorno dell’immagine della dominazione nazista che la celebrazione della virtù germanica, tradotta in severità nei confronti dei debitori, ha suscitato nei paesi debitori. Ogni dimostrazione popolare contro  l’austerità si trasforma così in esibizione di quell’armamentario lugubre, che richiama un passato che i tedeschi credevano essersi messi alle spalle e che invece è tornato a dannarli nell’Europa periferica.

Essi non sembrano ricordare quando i debitori, nel secondo dopoguerra, erano loro e il creditore lo zio Sam, che andava infestando del proprio imperialismo il mondo intero, suscitando le pubbliche rivolte dei giovani di Berlino e del resto della Germania. Il tempo delle bandiere a stelle e strisce bruciate è tramontato e le bandiere da bruciare a Atene, Roma o Madrid sono — ahimè — quelle della Repubblica Federale.

“Dopo tutto quel che vi stiamo dando”, ormai apertamente dicono i tedeschi sui loro giornali, “ci trattate così”. D’altronde, la riconoscenza e la carità cristiana non fanno parte della dottrina di Lutero. Non erano state parte nemmeno dell’atteggiamento del neo creditore americano dopo  la prima guerra mondiale, quando Coolidge si rifiutò di cancellare i debiti inglesi, (“ma il denaro lo avevano preso a prestito, no?”), inducendo una reazione a catena che, dalle dichiarazioni morali passò al nazionalismo intraeuropeo, giungendo alla catastrofe della crisi  internazionale, dell’ascesa di un folle al timone di uno dei più sviluppati paesi del mondo, e alla catastrofe della seconda guerra mondiale.

Ora che le Tesi di Lutero sembrano tornare di moda, i tedeschi fanno marciare il nostro continente verso la disunione e l’abisso. L’ultimo episodio insegna di nuovo. Quel che a Cipro  bisognava fare in silenzio e velocemente, e preferibilmente prima che l’esplosione si verificasse, la campagna elettorale tedesca ha voluto che si discutesse come se a quel punto ci fosse, per l’Europa, una vera scelta alternativa rispetto al salvataggio delle banche cipriote.

Quasi nessun interesse hanno destato in Germania le rivelazioni dello Spiegel, che le banche russe erano sì le prime creditrici delle banche dell’isola dove nacque Venere, ma che subito dopo, anche se a debita distanza, venivano i sette miliardi di euro di depositi accumulati dalle banche tedesche in quelle cipriote.

A complicare ancora le cose viene poi una inedita dimensione di revival della guerra fredda. La supposta debolezza della Russia, e la aggressività dei suoi finanzieri e oligarchi, ha suscitato una sorta di rivolta morale dei cittadini tedeschi, aizzati dai propri media e dalla bassa cucina elettorale dei maggiori partiti. L’idea di far pagare lo scotto ai russi, tassando i depositi di grande dimensione nelle banche cipriote, punendo l’illegalità e magari anche il riciclaggio di denaro criminale, è quindi balenata alle menti tedesche, travestita da necessità di esigere dai ciprioti (solo adesso) il rispetto della legalità comunitaria.

Ma questa battaglia altamente morale in superficie, che trascura il ruolo delle banche tedesche nella vicenda e la sua vera essenza, di volgare realpolitik, è un giocare col fuoco, perché risveglia il dormiente nazionalismo russo, rinfocola quello tedesco, antirusso, assai più e assai prima che antisovietico, e dà agli astuti anche se deboli governanti ciprioti spazio per imbastire pericolose quanto velleitarie operazioni di arbitraggio nei confronti dell’Europa.

Ognuno sembra vedere solo la propria politica interna e tende a usare i rapporti con le altre nazioni come se non si trattasse di una corda sottile, che può facilmente spezzarsi e dare inizio, in Europa, a una nuova epoca grifagna di sacri egoismi, travestita di panni altamente morali. È triste vedere di nuovo gli uomini politici usare termini ipocriti, che non si erano più sentiti da decenni. Ai giovani, che non possono ricordare come andò a finire la prima volta, si propongono idee stantie, il cui puzzo di muffa dovrebbe rendere prudenti gli apprendisti stregoni che credono di usarle a loro vantaggio, in contese elettorali e di potere mal travestite da battaglie ideali.

da Repubblica

Fonte