So you children of the world
Listen to what I say
If you want a better place to live in
Spread the word today
Show the world that love is still alive
You must be brave
Or you children of today
Are children of the grave, yeah!
Arrivati a pubblicare il terzo album in appena un anno e mezzo, i Black Sabbath completano idealmente con “Master Of Reality” la fondazione di un sound e di un immaginario che sarà di molti gruppi del rock più duro, heavy-metal in generale ma anche doom, stoner e sludge. L’ascolto in serie dei primi tre capitoli della loro discografia rivela una rapida evoluzione, in deciso allontanamento da alcuni elementi e modelli che sono ancora evidenti ispirazioni del primo album omonimo e, in misura minore, di “Paranoid” (entrambi 1970).
Si possono individuare alcuni passaggi fondamentali, se il lettore ci perdona una certa semplificazione narrativa. Per quanto riguarda il primo album, il brano “Black Sabbath” ha introdotto al mondo sulfureo l’hard-rock inglese, con immagini mefistofeliche e lugubri fendenti di chitarra, mentre la canzone d’amore luciferina “N.I.B” inizia a delineare un nuovo modello che irrobustisce il blues-rock con volumi imponenti. Il secondo album prosegue nella direzione di un rock più duro, esplosivo e pesante, come dimostrato da “Iron Man” e “War Pigs”, con la canzone “Paranoid” a rappresentare una sostanziale (ma importante e influente) eccezione, che miniaturizza un heavy-metal appena nato per ricondurre a un modello di canzone più essenziale.
Questo terzo “Master Of Reality” lavora principalmente in due direzioni: aggiunge nuovi inni di rock duro, prevalentemente sulla direttrice del sound più cupo e potente, mentre lavora ai margini del sound allargandolo ad altri elementi. Senza alcuna intenzione programmatica, che sembra fuori luogo attribuire a Ozzy Osbourne e soci, i primi tre album dei Black Sabbath rappresentano il manuale minimo, o se si vuole essere più pomposi il testo sacro, di tante band heavy degli anni Ottanta e Novanta.
Fattoni, oscurità e fango: il testo sacro di stoner, doom e sludge
Entrando più nello specifico, e lasciando al lettore curioso i già pubblicati approfondimenti miliari su “Black Sabbath” e “Paranoid”, “Master Of Reality” si presenta con otto brani in 34 minuti. I riff di chitarra elettrica distorta sono centrali, caratterizzati da un suono più grave legato a un'accordatura ribassata. C’è quello ossessivo dell’iniziale “Sweet Leaf”, aperta da colpi di tosse campionati di Iommi e sviluppata come una versione più lenta e aggressiva dei brani simili dell’esordio. È un brano per fattoni scritto da fattoni, e tanto basta a renderlo una pietra miliare dello stoner: elevata al cubo, quest’idea diventerà l’inno alla marijuana degli Sleep.
Subito dopo c’è un riff leggendario come quello di “Children Of The Grave”, un galoppo in palm muting che gioca sui power chords e sfocia in più lenti affondi sepolcrali già in pieno doom. Doveroso citare anche il passo medio di “Lord Of This World”, con la chitarra e il basso che saltuariamente fanno un passo nell’abisso, alla fine delle strofe. L'episodio melmoso di “Into The Void” è invece il momento probabilmente più saccheggiato dai gruppi stoner e sludge, con un riff che vede chitarra e batteria accoppiate a insistere sulle note basse prima di mutare in un trotto maestoso. Ad ogni ripetizione dell'alternarsi tra tempo medio e modeste accelerazioni, il sound sembra farsi più ottundente.
Questi brani incentrati sui riff hanno una grammatica abbastanza semplice, i più critici direbbero monotona, e sembrano orientati al sound più che alla composizione. È una ricerca di potenza sonora, che si rafforza con la ripetizione più che con la variazione o lo sviluppo eccentrico. Il riff dell’heavy-metal che i Black Sabbath hanno già perfezionato con “Iron Man” è tanto più forte quanto più si ripete uguale a se stesso, perché ogni volta aumenta lo stordimento, travolgendo l’ascoltatore anche grazie ai volumi generosi degli amplificatori. Le eventuali variazioni, comprese le succitate accelerazioni, fungono soprattutto come momentaneo allontanamento da un centro di gravità ben preciso: il riff di chitarra distorta, cupo e ossessivo, uguale a se stesso.
Il resto dell’album devia comunque da queste canzoni heavy, per motivi differenti. L’insolitamente luminosa “After Forever”, con un testo cristiano che stride con il resto dell’album e Tony Iommi impegnato anche al synth, è l’episodio più stravagante e fuori contesto. Gli altri tre brani sono invece funzionali allo svolgimento dell’album, ne completano ed espandono il linguaggio e, come in un gioco di luci e ombre, permettono di far risaltare ancora di più le canzoni centrare sui riff.
Prima e dopo “Children Of The Grave”, potente nel sound e minacciosa nei versi legati all’apocalisse nucleare, troviamo due strumentali impensabili nei primi due album: “Embryo” è una breve danza medievaleggiante per chitarre; “Orchid” una struggente fantasia per chitarra acustica, dai toni addirittura fantasy. Questa fusione di acustico e lirico con l’elettrico e il fragoroso sarà centrale per molti gruppi heavy-metal, dagli Iron Maiden agli Agalloch e oltre. Non sembra, quindi, una semplice diversione, ma un modo per bilanciare brani più fisici e ossessivi con interludi più lirici e misurati.
Manca all’appello solo, si fa per dire, "Solitude", erede ideale di “Planet Caravan”. È solo apparentemente la classica ballad inserita in un album metal, come diventerà frequente per molte band negli anni Ottanta (Scorpions, Motley Crue, Poison ecc.). Il suo riferimento è in realtà la psichedelia, pur virata al gotico e al decadente: impreziosita dal flauto e dal pianoforte suonato da Iommi, con Osbourne che per una volta misura il canto e opta per un approccio dove prevalgono le sfumature emotive, è in realtà resa onirica dall'insieme di delay e un riff di basso di Geezer Butler che svolge quasi interamente il lavoro ritmico, insieme ai campanelli suonati per l’occasione da Bill Ward. Il testo è attraversato da una dolente desolazione.
Una trilogia irripetibile e la competizione con i due capolavori precedenti
Nel gioco della classifiche, più o meno soggettive, “Master Of Reality” alle volte la spunta sui primi due album. Per chi è cresciuto con Kyuss e Orange Goblin, ma anche Melvins e persino parte del grunge, è facile individuare qui il punto d’origine di molte soluzioni. Dal racconto dei protagonisti sappiamo che fu il primo album composto e registrato con più tempo a disposizione, abbastanza da affinare i brani e tentare anche direzioni un po' diverse. Il ruolo di Tony Iommi è già diventato quello di protagonista, nonostante i contributi fondamentali degli altri tre. I suoi riff prendono spesso l’attenzione dell'ascoltatore, con il basso di Butler e la batteria di Ward che lavorano a supporto. Ozzy Osbourne, che era il ragazzo disperato dinanzi a Satana nel primo brano dell’esordio e il mostro di ferro di “Iron Man”, vede un po' ridursi il suo ruolo: escluso (ovviamente) dagli strumentali, messa in soffitta l’armonica e senza possibilità (o capacità?) di seguire l’evoluzione in direzione sludge, doom e stoner, rappresenta forse il meno allineato all’evoluzione della band. Per uno dei casi della storia del rock, però, il suo timbro un po' nasale, il suo cantato abbastanza vicino al parlato e il suo stile ansioso e alienato riescono a contrastare con il lugubre assalto degli altri tre, risaltando nell’arrangiamento mentre il resto s’impasta in un magma sonoro di grande potenza.
In patria “Master Of Reality” confermò il successo di pubblico arrivando al quinto posto in classifica, meglio dell’esordio e solo poco peggio del primo posto ottenuto da “Paranoid”. Negli Stati Uniti, l’ottavo posto in classifica rappresenta il miglior risultato commerciale ottenuto dagli album di studio della band. Le certificazioni delle copie vendute, nel tempo, confermano il grande entusiasmo statunitense: al disco d'oro in patria si contrappone un doppio platino oltre Oceano a testimoniare il superamento dei due milioni di copie vendute.
Nonostante sia il terzo di tre album rimasti nella storia della musica heavy, e uno dei tanti di una vasta discografia, al momento in cui viene scritto quest’articolo due canzoni di “Master Of Reality” sono tra le dieci più ascoltate della band su Spotify: “Children Of The Grave” (intorno ai 180 milioni di stream, al numero sei) e “Sweet Leaf” (circa 89 milioni di stream, al numero dieci).

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