Il più diffuso, nell’establishment occidentale (riflesso integralmente dalla schiera dei media mainstream) è la paura. Paura “militarizzata” chiamando in causa la guerra in Ucraina o le armi che – come in ogni parata militare in qualsiasi angolo del mondo – la Cina esibisce per l’occasione.
Ma la paura vera è quella di trovarsi alla fine del lungo ciclo storico in cui l’Occidente “anabolizzato” dal modo di produzione capitalistico ha tenuto il resto del Mondo sotto un tallone di ferro occasionalmente rivestito di velluto.
I vantaggi economici e tecnologici del capitalismo hanno ora molti altri protagonisti, irrobustiti fra l’altro dal non aver seguito l’ubriacatura neoliberista euro-atlantica degli ultimi 40 anni, avendo conservato tutti – chi in un modo, chi in un altro – un ruolo centrale per lo Stato.
Campione indiscusso di questa sorta di “keynesismo” capace di combinare programmazione, piani quinquennali, semi-libertà di impresa, politiche salariali che hanno fatto crescere le retribuzioni più velocemente del Pil, ecc., è sicuramente la Cina.
L’unico soggetto che al momento può permettersi di raccogliere non solo consensi diplomatici, ma anche accordi economici “paritari” (convenienti per entrambi i contraenti, non come “l’accordo sui dazi” unilaterali statunitensi accettato dall’Unione Europea), garantendo investimenti di lunga durata, cancellazione del debito per i più fragili (in Africa, soprattutto), ecc.. Il tutto senza muovere un solo soldato combattente fuori dai propri confini (l’unica base militare extraterritoriale è a Gibuti, ma non si mai fatta notare).
Strada facendo, la sedicente “comunità internazionale” – Stati Uniti e UE, più Canada, Giappone e Australia – sono passate dallo snobbare l’evento a presentarlo come minaccia (“una Nato alternativa”), nonostante che le questioni strettamente militari non abbiano avuto alcuna menzione durante il vertice.
Al di là dello “spirito di Tjanjin” – che è per l’appunto un clima relazionale disteso e collaborativo tra i protagonisti – i due punti centrali rilevanti sono stati l’accordo sino-russo-mongolo per il gasdotto “Siberia 2” e la creazione di una banca di sviluppo comune per garantire gli investimenti tra i paesi partner. Che, si accorgono solo ora i gazzettieri occidentali, rappresentano molto più del 50% della popolazione mondiale e quasi altrettanto come Pil (ove non si tenga conto dei mercati finanziari, gonfiati dalla speculazione e dai “prodotti derivati”).
È questa dimensione “maggioritaria” – se teniamo oltretutto presente che la SCO comprende parte dei Brics (Brasile e Sudafrica, oltre a diversi paesi arabi) – che conferisce a questo vertice il ruolo oggettivo di architetto di un diverso ordine mondiale.
La cosa paradossale – ma indicativa del degrado guerrafondaio dell’Occidente neoliberista – è che i princìpi indicati da Xi Jinping e fatti propri nelle conclusioni sono di fatto gli stessi che avevano sorretto l’ordine precedente, a cominciare dalla creazione delle Nazioni Unite:
“Aderire al principio dell’uguaglianza sovrana tra tutti i paesi.Non serve particolare acume per capire che questi princìpi sono stati cancellati, nei fatti, dagli innumerevoli “doppi standard” praticati dalla sedicente “comunità internazionale” liberista da oltre trenta anni a questa parte. L'“ordine internazionale fondato sulle regole” si è rivelato il regno dell’arbitrio dell’imperialismo Usa e dei suoi vassalli europei.
Rispettare lo Stato di diritto internazionale.
Praticare il multilateralismo.
Promuovere un approccio incentrato sulle persone.
Concentrarsi sull’adozione di azioni concrete.”
Il genocidio del palestinesi a Gaza e l’insulto finale di Trump (rifiutati i visti d'ingresso per i dirigenti dell’Anp che dovevano presenziare all’Assemblea generale dell’Onu) sono stati evidentemente la goccia finale che ha convinto il resto del Mondo a cercare rapidamente altre soluzioni. Non solo più vantaggiose, ma anche meno pericolose...
Anche lo SCO non è il paradiso in terra, se guardiamo ai vari leader e alle politiche praticate in patria. Stiamo semplicemente prendendo atto del fatto che al livello dei rapporti tra gli Stati c’è l’urgente necessità di praticare scelte politiche che non si traducano in guerra immediata (persino tra paesi che si sono sparati addosso anche di recente, come India e Pakistan).
Vedere questa necessità come una “minaccia” per l’Occidente e in primo luogo gli Stati Uniti (“state cospirando contro gli Usa”, ha farfugliato Trump) è per l’appunto il segnale rivelatore che un modo di gestire “l’ordine internazionale” è giunto al capolinea. Ma anche del fatto che non esistono, da questo lato del Pianeta, altri modi di concepire “l’egemonia” se non tramite la dominazione militare, la rapina economica e lo strangolamento dei popoli.
È andata avanti così per oltre cinque secoli. Ma per ogni cosa c’è una fine...
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