A pochi giorni da quando, al meeting di Comunione e Liberazione, Giorgia Meloni si è fregiata degli straordinari risultati economici del suo governo (già più volte ridimensionati, sia su questo giornale che da vari analisti), l’Istat pubblica una serie di dati che permettono di fare il punto della situazione alla fine dell’estate.
La situazione, al solito, mostra in realtà un’Italia che fatica, su vari ambiti. Innanzitutto, un nodo che su questo giornale abbiamo evidenziato più volte: anche se l’inflazione si riduce o, ad ogni modo, rimane stabilmente sotto la soglia del 2%, considerata come il livello ottimale, le componenti di questo dato indicano un peso maggiore dell’aumento dei prezzi che più incidono nei settori popolari.
Infatti, le stime per agosto 2025 segnalano un’inflazione che continua a contrarsi, passando dall’1,7% su base annua di luglio all’1,6% del mese appena concluso. I prezzi dei beni energetici, che hanno infiammato i costi negli scorsi anni, scendono ancora, segnando un -4,4% rispetto al -3,4% di luglio.
Tuttavia, il costo del ‘carrello della spesa’ – alimenti, prodotti per la cura della casa e della persona – aumenta: +3,5% rispetto al +3,2% di luglio. Per i beni alimentari si è passati da 3,7% a 4,0%, con i prezzi dei prodotti non lavorati che sono saliti dal 5,1% al 5,6% di agosto, e quelli lavorati al 3,0% dal 2,8%.
In generale, i beni definiti ‘ad alta frequenza d’acquisto’ sono saliti da 2,3% a 2,4%. Sono cresciuti anche i prezzi dei servizi per trasporti (2,1%) e per la cura della persona (0,3%). L’inflazione di fondo, che esclude le componenti più volatili del paniere considerato, passa dal 2% al 2,1%, al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, e accelera anche quella al netto dei soli beni energetici.
Nel frattempo, l’istituto di statistica ha anche calcolato che, nel secondo trimestre del 2025, il PIL registra una diminuzione dello 0,1% in termini congiunturali, rispetto ai tre mesi precedenti, e una crescita dello 0,4% in termini tendenziali, cioè rispetto al secondo trimestre del 2024. La crescita acquisita per il 2025 si conferma su di un misero mezzo punto percentuale di PIL.
La flessione del PIL è dovuta a un contributo negativo della domanda estera e nullo, tra le altre cose, dei consumi delle famiglie e della spesa delle amministrazioni pubbliche. Dunque, questo è il risultato della politica di austerità (escluse le spese militari, ovvio) di Roma e Bruxelles, neanche l’estate e i consumi ‘vacanzieri’ hanno potuto metterci una pezza.
Infatti, è lo stesso Istat ad informarci che agosto, in genere il mese di ‘ottimismo’ dovuto alle ferie, ha in realtà segnalato la riduzione della fiducia dei consumatori dal 97,2 al 96,2. E se l’indice generale per le imprese rimane stabile, industria e commercio danno segnali di debolezza e preoccupazione per il futuro.
Dazi, tensioni geopolitiche, un’inflazione che continua a mordere sulle fasce sociali che vivono del proprio lavoro (l’Unione Nazionale dei Consumatori ha calcolato in oltre 400 euro il peso del rincaro del carrello della spesa per quest’anno) mostrano che il governo Meloni va verso il suo terzo compleanno con un paese in cui l’unica cosa che cresce è la tendenza alla guerra.
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