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26/03/2015

Non disturbate il manovratore!

"Se consentiamo di stabilire un nesso tra avviso di garanzia e dimissioni stai dando per buono il principio per cui qualsiasi giudice può, non emettere una sentenza che sarebbe anche comprensibile, ma iniziare un'indagine e decidere sul potere esecutivo".
Qui vi è tutta la sintesi del renziano pensiero. La democrazia liberale borghese ha sancito in maniera netta e precisa, tra l’altro, due principi. La divisione fra potere giudiziario e quello esecutivo. E qui Renzi anche se indirettamente, ma in maniera precisa, sancisce invece la fine di questi principi dicendo che i giudici non possono procedere nelle indagini se nel mirino vi sia qualche rappresentante del potere esecutivo, altrimenti intralcerebbero l’esercizio del Governo.

La responsabilità quindi viene fatta ricadere su chi legittimamente e costituzionalmente esercita un suo potere e non su chi, anche se in via ipotetica e tutta da dimostrare, è oggetto di indagine. Ribaltando il concetto, invece, questo rischio e pericolo dovrebbe spronare il Presidente del Consiglio che sceglie e individua i componenti del suo Governo a fare attenzione su chi far ricadere le sue scelte, che dovrebbero essere quindi oculate e attente, perché il rischio di errore ricadrebbe tutto sul governo e non su chi compie il suo lavoro.

Altro passaggio che porta al capovolgimento delle basi del principio democratico liberal-borghese è il concetto di responsabilità. E a maggior ragione quando questa responsabilità è a carico di chi gestisce un potere politico e quindi immagine e rappresentante del popolo. Sarebbe troppo facile ricordare un principio cardine in tutte le democrazie cosi dette anglosassoni o del mondo occidentale. La moglie di Cesare deve non solo essere, ma anche apparire immacolata. Più o meno testualmente. Qui si ribadisce che non il Cesare (detentore del potere politico), ma una a lui vicino deve apparire immacolata. Ora uno che è oggetto di indagine si può dire che appaia immacolato? Certamente no.

Ma facendo riferimento al caso Lupi.

Un politico che ha tra i suoi massimi dirigenti e quindi suoi collaboratori (e non importa se ereditati e confermati o scelti da lui. Alla fine è la medesima cosa), è o non è responsabile politico delle malefatte da questi compiuti e quindi dell’immagine screditata che alla fine ricade su tutto il suo dicastero, sul Governo e sul popolo tutto?

E questo indipendentemente se le azioni sono state commesse da lui medesimo. Quando Lupi si presenta nelle interviste con voce e volto rattristati, stupito perché si ritiene innocente per le colpe che gli vengono rivolte (Rolex e viaggio della moglie) credo che sia sincero, non mente e non finge perché non è nelle sue corde, nel suo DNA, nella sua cultura il concetto di responsabilità oggettiva e di responsabilità politica.

Avere responsabilità politica per lui (e nel credo di tutto il ceto politico e dirigenziale di questo paese) consiste solo in ciò che lui compie direttamente e personalmente. Se l’ufficio che dirige, è inefficiente, o non funziona bene, non svolge i compiti assegnati, per la cultura espressa dall’ex ministro Lupi e per questo ceto politico, la responsabilità non è sua in primis, ma solo del colpevole fattuale tutto da individuare e se anche istituisce una commissione d’indagine e questa alla fine si conclude con un nulla di fatto tutto ritorna nella normalità. Il reato o l’inefficienza è un dato di fatto ma tutto rimane così com’è. Nessuno è colpevole, neppure morale.

Ed infine una considerazione più in generale.

Il politico intraprende questa strada (come tra l’altro tutti dicono, fra i politici) per passione, per amore del Paese. Non per mestiere. Bene, se alla parole seguissero i fatti; se qualcuno di essi incappato per disgrazia nelle indagini della magistratura per i fatti a lui imputati o per responsabilità oggettiva e politica facesse un passo indietro non solo non sarebbe una disgrazia. Ritornerebbe a fare il suo lavoro nella società civile e amen. Si è cimentato, ha commesso una mancanza in immagine, ma niente che pregiudicherebbe la sua vita, la sua attività.

Qui invece, ed effettivamente, diventa una tragedia, perché non è la passione che li spinge a intraprendere questa strada e non come parentesi di vita. La carriera politica diventa un mestiere, una pratica per tenersi in vita, per campare e per tutta la vita e se questa viene messa in discussione per i politici è una tragedia effettivamente. Al pari di quando un operaio perde il posto di lavoro (a parte le dimensioni della tragedia).

Ed è questo che dovrebbe scandalizzarci! Non che il politico ha rubato (che nel nostro paese è diventato oltre ogni misura, siamo al 69° posto in classifica fra i paesi più corrotti nel mondo, il primo in Europa. E non solo per colpa dei politici), ma che si è perso il concetto di responsabilità oggettiva.

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