E' intitolato "Pesce del deserto" il documento diffuso in rete, in cui lo Stato islamico illustra la sua strategia militare e i suoi obiettivi di estendersi e radicarsi in 8 diversi Stati arabi. Insomma, gli uomini del Califfo Abu Bakr al Baghdadi mettono nero su bianco i loro prossimi obiettivi oltre Siria e Iraq e sono: Arabia Saudita, Egitto, Yemen, Libia, Algeria e la parte occidentale dell'Iran, indicata come provincia di Khorasan.
Nel documento, che sta facendo il giro del web, vengono illustrati, uno di fianco all'altro, i simboli delle 24 "Welaiat" (termine usato ai tempi dell'impero ottomano per indicare le sue province) del Califfato nero. Si tratta di 16 provincie tra Siria e Iraq, controllate attualmente dall'Is che però deve fare i conti con un certo arretramento in certi territori causato dall’offensiva dei curdi nel nord della Siria e dell’esercito iracheno e delle milizie sciite nel nord dell’Iraq. Nella mappa si indicano altre province considerate “estere" e nel mirino dell'espansione dei jihadisti: "Al Haramein" (i due luoghi sacri dell'Islam la Mecca e Medina in Arabia Saudita), lo Yemen e l'Algeria indicate come province, la penisola egiziana del Sinai, oltre a Khorasan e alle province di Brega, Fazzan e Tripoli in Libia.
Il "pesce del deserto" o "delle sabbie", in lingua araba indica lo scinco (Scincus), un rettile in grado di "nuotare" all'interno di dune e agglomerati sabbiosi. E negli ultimi tempi nelle sue operazioni, l'Is ha in qualche modo seguito proprio la strategia di questo animale: colpire a sorpresa, oppure ritirarsi rapidamente quando viene attaccato per poi riapparire in un luogo inaspettato da parte del nemico. La stessa tattica usata anche per raggiungere nuove zone lontane da quelle sotto il suo controllo, come è successo di recente nello Yemen e in Tunisia.
Del resto l'Organizzazione, già dalla proclamazione lo scorso giugno dello Stato islamico, ha adottato lo slogan "Baqiyah e Mutamedidah" ("Rimane e si estende"): rimanere o resistere in Siria e Iraq dove ha già fondato il suo Califfato ed estendersi - come ha affermato lo scorso novembre Abu Bakr al Baghdadi nel discorso pronunciato a Mosul nel Nord dell'Iraq - ad altri Paesi come appunto Egitto, Yemen, Libia e Algeria.
Una strategia annunciata 4 mesi fa e che ha trovato puntuali conferme anche nei giorni scorsi. Venerdì scorso infatti l'Is ha rivendicato il duplice attacco a due moschee frequentate dalla comunità sciita e dalle milizie sciite Houthi a Sana'a, capitale dello Yemen, che è costato la vita ad oltre 150 persone. Un attacco compiuto due giorni prima di un’altra rivendicazione da parte del gruppo: l'attacco al museo del Bardo di Tunisi che ha ucciso 23 persone tra le quali 4 turisti italiani. Entrambi gli attacchi vorrebbero dimostrare la capacità degli uomini affiliati all’organizzazione guidata da al Baghdadi di dare sempre seguito alle proprie minacce.
Intanto dagli Stati Uniti arriva la notizia che alcuni colossi tecnologici hanno offerto il loro sostegno ad alcuni leader e intellettuali musulmani negli Stati Uniti per combattere lo Stato Islamico su un campo nel quale il gruppo jihadista sta continuando ad aumentare la propria penetrazione: i social media, usati come mezzo per reclutare nuovi combattenti e per diffondere il proprio messaggio soprattutto tra le giovani generazioni. Questo mentre negli ultimi 18 mesi, le autorità federali statunitensi hanno accusato almeno 30 persone di aver cercato di unirsi o di aver sostenuto l'Is. E ancora indagini su possibili collegamenti tra lo Stato Islamico e cittadini americani sono aperte in 50 stati.
All'inizio dell'anno ad esempio oltre 70 persone (tra leader delle comunità islamiche Usa e esperti di nuovi media) si sono incontrati per un meeting ospitato da YouTube in cui sono stati mostrati alcuni video di propaganda dei miliziani. La mossa arriva - come racconta il Wall Street Journal - mentre proprio i leader musulmani stanno cercando di prevenire la conversione all'estremismo predicato dall'Is di centinaia di giovani delle loro comunità.
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