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23/03/2015

Nigeria - Tra proclami elettorali e stragi di Boko Haram

Il presidente nigeriano Goodluck Jonathan

di Sonia Grieco

Sabato prossimo 70 milioni di nigeriani sono chiamati alle urne per le presidenziali. Un voto spostato dal 14 febbraio al 28 marzo per volontà del presidente uscente e candidato, Goodluck Jonathan, che ha imposto il rinvio per ragioni di sicurezza legate all’avanzata della setta di stampo jihadista Boko Haram. Le milizie guidate da Abubakar Shekau stanno mettendo a ferro e fuoco il nord-est del Paese, sconfinando in Camerun e Ciad, e all’inizio del mese hanno proclamato la propria fedeltà al sedicente Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi.

“Non impiegheremo più di un mese” per sconfiggerli, ha affermato Jonathan in un’intervista alla Bbc la scorsa settimana. Il presidente si sta giocando il secondo mandato sul contrasto a Boko Haram e ha forse pensato di poter risolvere la questione in queste sei settimane di rinvio, durante le quali è iniziata l’offensiva congiunta, terrestre e aerea, patrocinata dall’Unione Africana, che vede impegnati 10mila uomini inviati da Ciad, Camerun, Niger, Nigeria e Benin. Ma non è andata così, nonostante le importanti vittorie rivendicate dall’esercito nigeriano, che ha ripreso il controllo delle città di Yobe e Adamawa e ha respinto i miliziani dalla propria roccaforte, lo Stato del Borno, liberando anche la città di Bama.

L’annuncio di Jonathan è pura propaganda elettorale, si aggiunge ad altre promesse (come quella di riportare a casa le studentesse rapite quasi un anno fa) disattese e, inoltre, è stato seguito dalla terribile notizia della strage di spose-schiave massacrate dai loro stessi mariti-miliziani per non farle cadere in mano agli “infedeli”. Le donne erano state costrette a sposare gli uomini di Boko Haram e quando questi hanno saputo dell’imminente attacco dell’esercito nigeriano sono fuggiti verso Gwoza, ma prima, temendo di morire, hanno trucidato le mogli per evitare che si risposassero con “infedeli”. I corpi delle donne sono stati ritrovati dai militari in alcuni pozzi, dopo la riconquista, lunedì scorso, di Bama. Nei pozzi c’erano anche i cadaveri di uomini, forse persone che avevano opposto resistenza oppure ostaggi diventati ingombranti.

L’ottimismo di Goodluck Jonathan è piuttosto infondato, anche alla luce dell’inefficacia della strategia del governo di Abuja, che ha a lungo sottovalutato i jihadisti e non ha risolto i problemi di corruzione nelle Forze armate che si sono macchiate di crimini e abusi, e certo non hanno contribuito a guadagnarsi il sostegno delle comunità locali minacciate dai jihadisti. Le denunce delle organizzazioni umanitarie parlano di esecuzioni di massa di civili; di torture e violenze; di detenzioni illegali da parte dell’esercito e della polizia. In questo malcontento Boko Haram trova terreno fertile per continuare le sue scorrerie e minacciare la stabilità di un Paese segnato da profonde divisioni etniche e religiose - tra un Sud cristiano più ricco e un Nord musulmano più povero -, da una storia di golpe e di regimi militari, dalla corruzione, dalla povertà e dalle violenze. La Nigeria è al terzo posto della classifica della povertà della Banca Mondiale con il 7 per cento dei poveri del mondo, ma è anche una nazione ricca di risorse e il maggiore produttore di petrolio del continente africano.

Le radici di questa insurrezione armata stanno nell’arretratezza economica di un’ampia parte del territorio, trascurato dal governo centrale, se non addirittura discriminato. Non sono state messe in campo politiche economiche per il nord-est. Non sono stati creati sviluppo e lavoro per i giovani di quelle zone, costretti a scegliere tra la povertà e la promessa di un bottino di guerra offertagli da Boko Haram.

Le elezioni si terranno in questo clima di divisione, di malcontento e di paura, contrassegnato da annunci elettorali che difficilmente si tramuteranno in realtà. Su 70 milioni di nigeriani aventi diritto, circa 19, soprattutto delle zone settentrionali, non sono riusciti a ritirare la scheda elettorale e quindi non potranno votare. Questo gioca a vantaggio di Jonathan, cristiano, esponente del Partito Democratico Popolare nigeriano, alla guida del paese dal 1999, che non raccoglie consensi al Nord e tra musulmani. Il suo sfidante, Mohammadu Buhari, è un avversario temibile, ha la sua base elettorale al Nord, dove è diffuso il risentimento verso il governo centrale.

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