di Sonia Grieco
Stanno lasciando una scia
di sangue e orrore i miliziani di Boko Haram, in ritirata dalle località
del nord-est della Nigeria, che l’esercito nigeriano, coadiuvato dai
soldati inviati dal Ciad e dal Niger, ha riconquistato all’inizio del
mese. Aumenta il timore di nuove violenze e attentati in vista della
tornata elettorale di sabato prossimo.
Sono almeno 500 i bambini che mancano all’appello nella città di Damasak, centro commerciale dello stato settentrionale del Borno, patria della setta jihadista, 60 chilometri dal confine con il Niger. Abbandonando
la città occupata alla fine dell’anno scorso, i miliziani capeggiati
dall’imam-guerriero Abubakar Shekau hanno portato con sé centinaia di
bambini sotto gli undici anni. È quanto riferiscono gli
abitanti che negli ultimi mesi hanno vissuto sotto il dominio dei
jihadisti alleatisi con lo Stato Islamico qualche settimana fa.
Il senatore del Borno, Maina Maaji Lawan, ha detto alla Bbc che quello di Damasak è un caso tipico.
I bambini più piccoli “sono messi in scuole coraniche e i maschi tra i
16 e i 25 anni vengono arruolati e indottrinati per diventare un canale
di rifornimento per le orribili missioni” di Boko Haram che si
sta facendo conoscere per le atrocità verso la popolazione civile. È di
pochi giorni fa la notizia del ritrovamento di una fossa comune proprio
nella zona di Damasak: un centinaio i corpi rinvenuti.
Sono migliaia le vittime di questa insurrezione armata nel nord-est
della Nigeria, iniziata nel 2009. I miliziani, oltre che per le razzie e
gli assassini, sono saliti agli onori della cronaca per i continui
rapimenti di donne, uomini e bambini. Sono centinaia le donne, anche bambine, sequestrate per diventare mogli, schiave o concubine dei jihadisti nigeriani.
Negli ultimi giorni è stata diffusa la notizia di una strage di
mogli-schiave a Bama, riconquistata dall’esercito la settimana scorsa,
uccise dai mariti-miliziani prima di fuggire per evitare che cadessero
nelle mani degli “infedeli”. L’impatto sulla popolazione civile è
terribile, molte famiglie sono state divise e sono migliaia gli
sfollati. Ma il bilancio di questo conflitto è ancora provvisorio e si
continuano a scoprire fosse comuni e decine di cadaveri nei pozzi.
A marzo è iniziata l’offensiva congiunta, terrestre e aerea,
patrocinata dall’Unione Africana, che vede impegnati 10mila uomini
inviati da Ciad, Camerun, Niger, Nigeria e Benin. L’esercito
nigeriano ha ripreso il controllo delle città di Yobe e Adamawa e ha
respinto i miliziani dalla propria roccaforte, lo Stato del Borno,
liberando anche la città di Bama. Successi militari che però non mettono
al sicuro la popolazione locale, spesso finita nel mirino anche delle
forze di sicurezza. Le violenze, gli abusi, le esecuzioni
sommarie, le detenzioni arbitrarie perpetrate dai soldati nigeriani in
passato, ancor prima dell’apparizione di Boko Haram, sono state
denunciate da diverse organizzazioni internazionali, che hanno puntato
il dito contro la corruzione nelle Forze armate e le politiche del
presidente candidato Goodluck Jonathan.
Il capo di Stato uscente ha assicurato: “Non impiegheremo più di un
mese” per sconfiggerli. Soltanto propaganda elettorale, tuonano i
detrattori che ricordano le promesse non mantenute del presidente e
l’inefficacia delle sue politiche contro i jihadisti. Questa
accelerazione dell’offensiva a Nord sembra fornire a Jonathan materiale
da campagna elettorale e consente all’esercito di installarsi in un’area
dove il presidente ha scarso seguito. Nelle zone
settentrionali del Paese, a maggioranza musulmana, molti non sono
riusciti a ritirare la scheda elettorale e quindi non voteranno. Si parla di 19 milioni di persone che non potranno esercitare il diritto di voto su quasi 70 milioni di elettori.
In queste aree povere e marginalizzate dal governo di Abuja, la
popolazione si sente bistrattata rispetto alle regioni più ricche del
Sud cristiano, bacino elettorale del cristiano Jonathan, esponente del Partito Democratico Popolare nigeriano, alla guida del paese dal 1999.
Le radici di questa insurrezione armata stanno proprio
nell’arretratezza economica di un’ampia parte del territorio, trascurato
dal governo centrale, se non addirittura discriminato. Non
sono state messe in campo politiche economiche per il nord-est. Non sono
stati creati sviluppo e lavoro per i giovani di quelle zone, costretti a
scegliere tra la povertà e la promessa di un bottino di guerra
offertagli da Boko Haram. In generale, la Nigeria, che è il maggiore
produttore di petrolio del continente, non ha sviluppato politiche
economiche che includano altri settori produttivi oltre a quello
petrolifero, su cui vertono gli interessi delle multinazionali del
greggio e di una classe politica corrotta.
Goodlauck Jonathan ha un temibile avversario, il musulmano Mohammadu Buhari che
ha il suo seguito al Nord, ma per gli analisti difficilmente riuscirà a
sconfiggere il presidente. Nell’orizzonte nigeriano sembra stagliarsi
un Jonathan bis. Intanto, la Nigeria si avvicina al voto (rinviato dal 24 febbraio al 28 marzo)
con il timore di nuove stragi e attentati. Boko Haram sta subendo un
duro colpo, ma resta la minaccia più temibile per il Paese.
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