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25/03/2015

Nigeria - Centinaia di bambini nelle mani di Boko Haram

di Sonia Grieco

Stanno lasciando una scia di sangue e orrore i miliziani di Boko Haram, in ritirata dalle località del nord-est della Nigeria, che l’esercito nigeriano, coadiuvato dai soldati inviati dal Ciad e dal Niger, ha riconquistato all’inizio del mese. Aumenta il timore di nuove violenze e attentati in vista della tornata elettorale di sabato prossimo.

Sono almeno 500 i bambini che mancano all’appello nella città di Damasak, centro commerciale dello stato settentrionale del Borno, patria della setta jihadista, 60 chilometri dal confine con il Niger. Abbandonando la città occupata alla fine dell’anno scorso, i miliziani capeggiati dall’imam-guerriero Abubakar Shekau hanno portato con sé centinaia di bambini sotto gli undici anni. È quanto riferiscono gli abitanti che negli ultimi mesi hanno vissuto sotto il dominio dei jihadisti alleatisi con lo Stato Islamico qualche settimana fa.

Il senatore del Borno, Maina Maaji Lawan, ha detto alla Bbc che quello di Damasak è un caso tipico. I bambini più piccoli “sono messi in scuole coraniche e i maschi tra i 16 e i 25 anni vengono arruolati e indottrinati per diventare un canale di rifornimento per le orribili missioni” di Boko Haram che si sta facendo conoscere per le atrocità verso la popolazione civile. È di pochi giorni fa la notizia del ritrovamento di una fossa comune proprio nella zona di Damasak: un centinaio i corpi rinvenuti.

Sono migliaia le vittime di questa insurrezione armata nel nord-est della Nigeria, iniziata nel 2009. I miliziani, oltre che per le razzie e gli assassini, sono saliti agli onori della cronaca per i continui rapimenti di donne, uomini e bambini. Sono centinaia le donne, anche bambine, sequestrate per diventare mogli, schiave o concubine dei jihadisti nigeriani. Negli ultimi giorni è stata diffusa la notizia di una strage di mogli-schiave a Bama, riconquistata dall’esercito la settimana scorsa, uccise dai mariti-miliziani prima di fuggire per evitare che cadessero nelle mani degli “infedeli”. L’impatto sulla popolazione civile è terribile, molte famiglie sono state divise e sono migliaia gli sfollati. Ma il bilancio di questo conflitto è ancora provvisorio e si continuano a scoprire fosse comuni e decine di cadaveri nei pozzi.

A marzo è iniziata l’offensiva congiunta, terrestre e aerea, patrocinata dall’Unione Africana, che vede impegnati 10mila uomini inviati da Ciad, Camerun, Niger, Nigeria e Benin. L’esercito nigeriano ha ripreso il controllo delle città di Yobe e Adamawa e ha respinto i miliziani dalla propria roccaforte, lo Stato del Borno, liberando anche la città di Bama. Successi militari che però non mettono al sicuro la popolazione locale, spesso finita nel mirino anche delle forze di sicurezza. Le violenze, gli abusi, le esecuzioni sommarie, le detenzioni arbitrarie perpetrate dai soldati nigeriani in passato, ancor prima dell’apparizione di Boko Haram, sono state denunciate da diverse organizzazioni internazionali, che hanno puntato il dito contro la corruzione nelle Forze armate e le politiche del presidente candidato Goodluck Jonathan.

Il capo di Stato uscente ha assicurato: “Non impiegheremo più di un mese” per sconfiggerli. Soltanto propaganda elettorale, tuonano i detrattori che ricordano le promesse non mantenute del presidente e l’inefficacia delle sue politiche contro i jihadisti. Questa accelerazione dell’offensiva a Nord sembra fornire a Jonathan materiale da campagna elettorale e consente all’esercito di installarsi in un’area dove il presidente ha scarso seguito. Nelle zone settentrionali del Paese, a maggioranza musulmana, molti non sono riusciti a ritirare la scheda elettorale e quindi non voteranno. Si parla di 19 milioni di persone che non potranno esercitare il diritto di voto su quasi 70 milioni di elettori. In queste aree povere e marginalizzate dal governo di Abuja, la popolazione si sente bistrattata rispetto alle regioni più ricche del Sud cristiano, bacino elettorale del cristiano Jonathan, esponente del Partito Democratico Popolare nigeriano, alla guida del paese dal 1999.

Le radici di questa insurrezione armata stanno proprio nell’arretratezza economica di un’ampia parte del territorio, trascurato dal governo centrale, se non addirittura discriminato. Non sono state messe in campo politiche economiche per il nord-est. Non sono stati creati sviluppo e lavoro per i giovani di quelle zone, costretti a scegliere tra la povertà e la promessa di un bottino di guerra offertagli da Boko Haram. In generale, la Nigeria, che è il maggiore produttore di petrolio del continente, non ha sviluppato politiche economiche che includano altri settori produttivi oltre a quello petrolifero, su cui vertono gli interessi delle multinazionali del greggio e di una classe politica corrotta.

Goodlauck Jonathan ha un temibile avversario, il musulmano Mohammadu Buhari  che ha il suo seguito al Nord, ma per gli analisti difficilmente riuscirà a sconfiggere il presidente. Nell’orizzonte nigeriano sembra stagliarsi un Jonathan bis. Intanto, la Nigeria si avvicina al voto (rinviato dal 24 febbraio al 28 marzo) con il timore di nuove stragi e attentati. Boko Haram sta subendo un duro colpo, ma resta la minaccia più temibile per il Paese.

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