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25/03/2015

Il trasporto aereo low cost è logoro, e ora cade

La prima tragedia nei voli low cost, evidenziano molti media dopo lo schianto dell'Airbus 320 della GermanWings. E fa più impressione se si pensa che si tratta di una “sottomarca” della Lufthansa, la più importante delle compagnie di bandiera dell'Unione Europea, considerata tra le più serie anche nella gestione della sicurezza sui propri mezzi.

In attesa delle analisi della scatola nera, peraltro danneggiata nello schianto, è difficile fare ipotesi tecnicamente valide sulle ragioni dell'incidente. Anche i piloti più esperti consultati in queste ore da tutti i media si tengono sulle generali, evidenziando al massimo l'età non proprio verde dell'aereo (24 anni). Ma è notizia di ieri sera che il personale di volo di GermanWings si rifiuta di volare, costringendo così la compagnia a cancellare oltre 30 voli per “incompletezza degli equipaggi”. Evidentemente piloti e assistenti di volo hanno messo in fila una serie di “segnali” raccolti nel corso del tempo (avarie più o meno serie, incidenti evitati, disfunzioni varie) e considerano lo schianto di ieri come il punto di arrivo di una situazione ormai ingestibile.

L'assenza di incidenti tragici era uno dei vanti delle compagnie low cost, anche se difficilmente qualcuno provava a spiegarne le ragioni. Eppure gli aerei di tutte queste compagnie volano più frequentemente della media, fino al caso limite di Ryanair che non lascia mai più di venti minuti un velivolo fermo (con le hostess a fare le pulizie di corsa, dopo che l'altoparlante ha invitato i passeggeri a eliminare il più possibile i rifiuti prodotti).

Naturalmente anche le società low cost sono obbligate a fermare gli aeromobili per i controlli di serie, dopo un tot di ore di volo (diverse a seconda dei modelli e dell'anzianità). Ma quando sono in servizio è molto difficile che ci siano controlli e manutenzione approfonditi, a meno di avarie gravi.

È un modello di organizzazione del lavoro, insomma, che minimizza i tempi di sosta sia per il personale sia per i mezzi, che inevitabilmente porta a sottostimare i piccoli segnali di stress umano e meccanico.

Ciò nonostante per venti anni – da quando le compagnie low cost hanno fatto la loro comparsa sul mercato del trasporto aereo – non c'erano stati incidenti di questa gravità. La ragione è in fondo semplice: hanno tutte iniziato, nel continente europeo, con aerei nuovi di fabbrica. Che soltanto ora cominciano a mostrare i segni dell'usura.

Lufthansa, in questi mesi, ha dovuto affrontare diversi problemi seri nella sua flotta. Lo scorso 5 novembre 2014, un altro Airbus della compagnia “madre”, un A321 in volo tra Bilbao e Monaco di Baviera, è stato vicino a un grave incidente per il funzionamento difettoso di alcuni sensori. Ma i sensori sono anche un elemento centrale nel calcolo delle variabili di un sistema di guida sempre più computerizzato. Se, come può accadere più facilmente nei mesi invernali, i sensori vengono ricoperti dal ghiaccio, ecco che i valori chiave risultano sballati, impegnando l'aereo in manovre automatiche altrettanto sballate che solo la perizia e la tempestività dei piloti possono a volte correggere.

E infatti l'inchiesta condotta dal giornale tedesco Der Spiegel ha ricostruito il mancato incidente di novembre, individuando proprio nel ghiaccio sui sensori il responsabile della rapida perdita di quota (mille metri al minuto, con la cloche dei piloti bloccata) dell'A321. Per riprendere il controllo del velivolo i piloti hanno dovuto spegnere il computer di bordo e volare “a vista”.

Quell'episodio ha convinto Lufthansa a cambiare i sensori su tutti gli 80 velivoli della famiglia A320. Ciò nonostante, l'aereo caduto ieri ha perso quota esattamente con la stessa velocità (900 metri al minuto) e senza che i piloti riuscissero a lanciare neanche il normale mayday.

Ora vengono fuori altri – numerosi – episodi in cui i portelloni hanno presentato problemi, carrelli che non rientravano, ecc. Tutti segnali di usura dei mezzi e dei materiali che però non hanno portato a fermare i velivoli interessati. Non è difficile capire perché, nella logica dell'economia low cost...

Il problema è il contagio, però. La concorrenza low cost si ripercuote inevitabilmente anche sulle compagnie più grandi, che devono-vogliono comprimere i costi per mantenere-aumentare i tassi di profitto. Che sia addirittura Lufthansa a mostrare la corda è più che una dimostrazione. Le low cost hanno infatti raggiunto una quota di mercato del 32%, abbastanza da convincere tutti a imitarle.

Ma non è semplice. Il modello di business inventato a suo tempo da Ryanair si basa infatti non soltanto sulla contrazione dei salari per i dipendenti, ma sul "cofinanziamento" pubblico-privato. Ovvero sui consorzi locali disposti a finanziare la compgnia low cost perché usi l'aeroporto da sviluppare. Orio al Serio, in Italia, e il consorzio bergamasco che lo sostiene, ne sono l'esempio più chiaro.

Ma è difficile che le grandi compagnie di bandiera, quelle che si sono spartite il mercato oltre venti anni fa decretando – governo italiano consenziente – la scomparsa di Alitalia come vettore globale, possano seguire lo stesso modello. A loro, dunque, non resta che la semplice contrazione dei costi. Con tutti i rischi che ciò comporta per la sicurezza.

Come diceva quel tale economista, "non esistono pasti gratis". Tanto meno quando ci si stacca da terra...

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