L’Europa è stata molto generosa con sé
stessa, autoassolvendosi del suo passato coloniale: concessa
l’indipendenza agli ex colonizzati, ha ritenuto che ogni problema fosse
risolto e che una parentesi di storia si fosse chiusa senza strascico.
Ma è così?
Per circa un ventennio, dagli anni venti
ai quaranta, nelle facoltà di medicina francesi si insegnava che gli
algerini hanno una conformazione neurologica particolare, che li rende
fisiologicamente criminali, aggressivi, violenti. Delinquono perché sono
delinquenti di natura e non possono far altro. Nel linguaggio coloniale
francese ogni parola che indicava un algerino corrispondeva ad un
insulto come “bicot” (capretto) sinonimo di nordafricano. Nelle scuole
di primo e secondo grado delle colonie, i libri di testo – tutti di
autori europei – parlavano della naturale superiorità razziale dei
bianchi che le genti di colore, malgrè soi, dovevano sforzarsi di
imitare. Sino a circa mezzo secolo fa, medici, antropologi, biologi,
psicologi ecc davano per scontata l’inferiorità naturale delle
popolazioni di colore.
Tutto questo gli europei lo hanno rimosso. Gli islamici no. La fine del colonialismo è di circa 60 anni fa, ma mezzo secolo, sul piano della storia, è un tempo trascurabile.
D’altro canto, se ogni fede religiosa è
soprattutto un’antropologia, dobbiamo chiederci quale sia stato il
sedimento storico profondo della vittoria militare di una cultura
monoteista (quella cristiana) su un’altra cultura monoteista (quella
islamica): Jan Assmann sostiene che il seme della guerra di religione è
proprio nel monoteismo. E’ un fatto che le religioni monoteiste siano
quelle che hanno prodotto più frequentemente guerre di religione e che
il conflitto più lungo (di fatto dall’VIII secolo in poi) è proprio
quello che ha contrapposto a più riprese le due grandi religioni
monoteiste.
Potiers, le crociate, la cacciata dei
Mori di Spagna, Lepanto, Vienna, ecc. non sono ombre dissolte del
passato, vivono nel perdurante senso di ostilità che è sepolto nel
profondo della psicologia dei popoli arabi ed europei. E’ sintomatico
che gli islamici siano gli immigrati che raccolgono più ostilità fra gli
europei.
Ed è nella cornice di questo conflitto
millenario che trova posto la vicenda del colonialismo europeo nel Medio
Oriente e Nord Africa.
C’è un aspetto di quella vicenda, che non ha ricevuto la necessaria attenzione da parte della maggioranza degli storici: il colonialismo, prima e più ancora che di territorio fu invasione della mente.
Su questo resta insuperata l’opera di Franz Fanon che ancora oggi può
dirci molto sulla sostanza psicologica del conflitto in atto.
Il colonizzato, tenuto in costanti
condizioni di inferiorità, fu costretto al permanente confronto con il
bianco. Persino nell’intimità sessuale il comportamento era determinato
da questo confronto: “..Nel rapporto col bianco la donna di colore
conquista finalmente l’accesso al venerato mondo dei dominatori: l’uomo
di colore nel rapporto sessuale con una donna bianca si vendica del
padrone coloniale e dimostra la sua parità, il suo essere uomo. In
fondo, però, questo atteggiamento dimostra solo una cosa: i valori del
colonizzatore vengono riconfermati dal senso dall’importanza che il
colonizzato attribuisce alla situazione eccezionale: il pregiudizio
razzista ne riceve una nuova ratifica”
Questo continuo confronto con il bianco
in condizioni di inferiorità, determina la nevrosi collettiva diffusa
fra i colonizzati, che hanno sia manifestazioni psicosomatiche (ulcere,
disturbi del linguaggio, coliche nefritiche, ipersonnie, tremiti
idiopatici, irrigidimento muscolare), sia comportamentali come i sensi
di insicurezza, la pronunciata aggressività che sfocia nei tassi
insolitamente alti di attività criminali nell’Algeria degli anni in cui
Fanon opera. Ma, tale violenza non si indirizzava nei confronti del
“padrone bianco” (troppo lontano e potente) ma contro gli altri
colonizzati: “Nella situazione coloniale… gli indigeni hanno
tendenza a farsi reciprocamente da schermo. Ciascuno nasconde all’altro
il nemico nazionale. E quando, spossato dopo una dura giornata di sedici
ore, il colonizzato si lascia cadere su una stuoia e un bambino
attraverso il tramezzo di tela piange e gli impedisce di dormire, come
per caso, è un piccolo algerino. Quando va a domandare un po’ di semola
ed un po’ d’olio dal droghiere cui deve già alcune centinaia di franchi e
si vede rifiutare questo favore, un immenso odio e una gran voglia di
ammazzare lo sommergono, e il droghiere è un algerino…”
Queste sofferenze neurologiche e psicologiche
non si sono dissolte con l’indipendenza, hanno lasciato ferite profonde
(e non solo in Algeria). Di mezzo, però, c’è stata la guerra di
indipendenza che ha mutato molte cose: gli algerini hanno imparato a
rivolgere la loro aggressività verso l’invasore e non più fra di loro (è
sintomatico che, a partire dalla rivolta di Algeri, nel 1954, i tassi
di criminalità locali crollarono di colpo e si mantennero bassi dopo
l’indipendenza). Ed a combattere il nemico esterno impararono – pur se
con scarsa fortuna – anche egiziani, giordani, siriani, libanesi,
iraqueni nelle guerre con Israele. Poi vennero le guerre inter islamiche
(Iran-Iraq, Arabia Saudita-Yemen ecc.). L’aggressività non era più
rivolta verso l’interno di ciascun paese ma sempre più verso l’esterno,
assumendo i panni sia di guerre regolari che di guerriglie (Algeria,
Yemen, Palestina, Afghanistan, Iraq).
E’ degno di nota che la netta
maggioranza dei conflitti attualmente in corso vedano impegnato almeno
un paese o un’etnia islamica. Questo ha dato ai maomettani un senso di
accerchiamento, che si è combinato con le troppe sconfitte subite in
questo secolo, dopo la disfatta dell’Impero Ottomano che dissolveva
l’ultimo califfato.
La modernizzazione ha avuto un urto drammatico sul mondo islamico
che è quello che stenta più di ogni altro a trovare un suo equilibrio,
sia esterno sia interno, tanto dell’area quanto ai singoli stati.
E’ di qui che parte l’insorgenza
islamista in una progressione sempre più fitta di avvenimenti: 1928 (non
molto dopo la dissoluzione dell’impero Ottomano), nascita dei fratelli
musulmani, 1949 morte di Al Banna assassinato, 1952 la rivolta di
Alessandria di Egitto, 1966 morte in carcere di Al Qutb, 1967 guerra dei
sei giorni, 1979 rivoluzione fondamentalista in Iran ed insurrezione
fondamentalista a Le Mecca, 1979-89 invasione sovietica in Afghanistan,
quindi nascita di Al Quaeda…
Come si noterà, il fenomeno ha radici
lontane nel tempo (1928) ma è “esploso” in particolare a partire dagli
anni novanta, in parallelo alla marcia trionfale della globalizzazione. E
pare evidente che si tratti di una rivolta contro la modernità imposta
dalla globalizzazione, vissuta come una nuova “invasione della mente”.
Lo jihadismo è il frutto più vistoso ed imprevisto della globalizzazione
che ha un suo nascosto contenuto conflittuale. Lo jihadismo è il
principale fattore di shock. L’eccidio di Parigi lo manifesta con
particolare evidenza: una sorta di ripetizione del messaggio dell’11
settembre.
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