È una sorpresa solo per chi crede alle favole dell’ordoliberismo, ripetute da oltre venti anni su tutti i media come “verità scientifica”: la Germania, campione del bilancio in ordine, dei bassi salari e dei mini-job, tutta “orientata all’esportazione” e perciò modello di firerimento della politica monetaria della Bce nonché delle “raccomandazioni imperative” dell’Unione Europea... è rientrata in crisi.
Momentaneamente, certo, perché nel quarto trimestre del 2021 il prodotto interno lordo tedesco è diminuito dello 0,7% rispetto al terzo trimestre del 2021, in base al dato destagionalizzati dell’ufficio statistico Destatis. Peggio del -0,3% atteso dagli economisti.
Ma anche la “ripresa” era stata molto momentanea: in pratica solo nel trimestre corrispondente all’estate. Di solito quello meno brillante, data la chiusura per ferie di parecchie attività, non compensata da afflussi turistici particolari.
Per l’istituto di statistica è tutta colpa della pandemia, che ha imposto nuove restrizioni (e qualche lockdown, mirato però soltanto ai non vaccinati, che in Germania sono davvero tanti, ancora).
A guidare l’arretramento sono stati in particolare i consumi privati, diminuiti rispetto al trimestre precedente, insieme agli investimenti in costruzioni, nonostante sia aumentata la spesa pubblica per consumi.
Il dato sui consumi conferma che il “gelo salariale” non aiuta più. Il basso costo del lavoro (superiore comunque a quello italiano di parecchi punti) era stato per decenni il punto di forza della “competitività” delle merci tedesche sui mercati mondiali.
Ma proprio la pandemia – e l’aver voluto a tutti i costi mantenere i brevetti sui vaccini, impedendo che il resto del mondo fosse adeguatamente protetto dal Covid – continua a produrre strozzature nelle catene di approvvigionamento, nei processi produttivi, ritardi nelle consegne, ecc.
I vantaggi della globalizzazione – zero magazzino, tutto just-in-time – si rovesciano in problemi, frizioni, disfunzioni. E se la domanda estera cala – quando si sommano quelle diverse “strozzature” – non c’è neanche una domanda interna che possa compensare.
La crescita del pil nell’intero 2021 si è così fermata al 2,8%.
Per il momento si tratta di un problema principalmente tedesco, visto che l’economia francese nel 2021 è invece cresciuta a ritmi record da oltre 50 anni. Il pil è aumentato del 7%, ai massimi dal 1969 (coprendo quasi per intero il - 8% del 2020).
Anche nel solo quarto trimestre (quello in contrazione, in Germania) l’economia francese è cresciuta dello 0,7%. Rispetto al quarto trimestre 2019, pre-pandemia, il prodotto francese è più alto dello 0,9%.
Idem per la Spagna, il cui prodotto interno lordo è cresciuto del 2% su base trimestrale nel quarto trimestre del 2021, oltre le stime degli economisti (+1,4%). Nell’intero 2021 il prodotto interno lordo della Spagna è aumentato del 7,2%.
Dell’Italia si sapeva già. Per il 2021 la crescita arriva al 6,5%, più del 6% indicato a settembre.
Dunque la spiegazione della caduta tedesca con la sola pandemia non regge alla prova dei fatti, ed anche i corrispondenti del Corriere da Berlino sono ora costretti ad ammettere che il “modello tedesco” sta battendo la testa per le ragioni strutturali evidenziate sopra.
Ma la differenza con i dati di Italia, Francia e Spagna non deve sollevare illusioni. Tutti questi paesi, in misura e in comparti diversi, sono strettamente connessi alle filiere produttive – e dunque al tipo di modello di timing tedesco – dunque la frenata di Berlino è destinata a trasmettersi in tempi brevi su ognuno di loro.
È un problema di sistema, non di singoli. Pensare di fare profitti privilegiando la competitività delle esportazioni è stata una “furbata” ordoliberista che ha fatto il suo tempo. Ora è finita.
Qualcuno lo spieghi al “governo dei migliori”, che si stava muovendo proprio in direzione di rendere l’economia italiana più simile e “vicina” (leggi: contoterzista) a quella tedesca.
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