Seguiamo con molto moderato interesse il caos intorno all’ormai prossima elezione del nuovo presidente della Repubblica. Pur sapendo, e avendo scritto più volte, che la partita verte intorno a un solo problema: questo paese è di fatto governato da “istituzioni sovranazionali”, sia politiche (Nato, Unione Europea) che finanziarie (“i mercati” e grandi gruppi multinazionali).
Queste “istituzioni” pretendono che al vertice del potere politico nazionale ci sia un “garante” dei patti sottoscritti (i trattati europei, fondamentalmente; la “fedeltà alla Nato” non è infatti in discussione per nessuna delle fazioni che si stanno accapigliando).
C’è infatti da assicurare che il “percorso” delineato dal Recovery Fund da qui al 2026 – e pienamente accolto nel PNRR del governo in carica – venga seguito senza deviazioni rilevanti o comunque tali da mettere in pericolo gli equilibri continentali.
Per quanto politicamente smandrappata, infatti, l’Italia resta la terza economia UE e un suo “sbarellamento” avrebbe conseguenze molto pericolose per tutta la costruzione continentale, proprio nella fase in cui questa cerca di darsi un assetto assai più “operativo” su tutti i piani (dal protagonismo geostrategico alla costruzione di un “esercito europeo”, dall’intervento neocoloniale in Africa alla “competizione” sui mercati internazionali).
Mario Draghi costituisce da tempo la migliore assicurazione per questi interessi. Un rappresentante della borghesia multinazionale europea che già sa “cosa si deve fare” per corrispondere alle attese internazionali, molto più pronto e reattivo di qualsiasi politicante di seconda fila, che avrebbe bisogno di uno stuolo di “consiglieri” che lo assistono nei passaggi tecnicamente e politicamente più impervi, “telefonate” chiarificatrici, richiami all’ordine, ecc.
Di fatto, insomma, qualsiasi tentativo della miserrima classe politica nazionale – in buona parte espressione di interessi decisamente “micro” rispetto alle dimensioni e alla proiezione di quelli dominanti nel continente – dovrà piegarsi alla potenza superiore dei “poteri europei”. Pena una nuova stagione di spread impazzito, tranche di prestiti che non arrivano o che vengono erogati solo dopo aver indurito le “condizionalità” già previste dal Recovery Fund (528, di cui solo 51 esaudite fin qui dal governo Draghi).
Nonostante questa certezza, i rappresentanti della “borghesia italiana” hanno provato – e stanno ancora provando – a mettere un proprio uomo al Quirinale, in modo da “mediare” meglio tra i propri interessi di corto respiro e quelli “strategici”. Il nome del Caimano è stato in ballo soltanto per questa ragione “ostativa”, non certo per raggiungere davvero un risultato che sarebbe stato sicuramente tragico (spread, ecc).
Il suo ritiro dalla “competizione”, con la clausola del “Draghi resti a Palazzo Chigi”, è insomma l’ultimo tentativo di infilare al Quirinale qualche figura minore che sappia tenere conto di quegli interessi “locali” (nel senso di “nazionali”, o addirittura locali) nella prevista ristrutturazione delle filiere economiche e produttive.
Strategicamente, è una “resistenza reazionaria” senza prospettive. Ma proprio l’assenza di visione, che le è tipica, costringe la borghesia italica ad aggrapparsi a illusioni vane. Non sanno e non possono far altro.
Questo e solo questo “complica” l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Mandare Draghi al Colle rassicura i mercati e spaventa i minus habens abituati a pasticciare con fondi pubblici, appalti e subappalti, finanziamenti a fondo perduto ed evasione fiscale, ecc.
Cederanno, alla fine. Basterà vedere come si muoveranno, da martedì (dopo la prima votazione), le Borse, le quotazioni dei titoli di stato, lo spread, ecc. Come nel 2011, quando il Cavaliere capì l’antifona e, anche allora, si fece da parte.
Il massimo risultato di questa “cedevole resistenza” sarà un Draghi un po’ meno trionfante. Niente elezione plebiscitaria al primo turno, che ne avrebbe fatto un monarca, ma una nomina a maggioranza semplice, al quarto o quinto turno. Giusto per far capire che “si deve trattare” anche con loro, e non solo prenderli a pesci in faccia com’è abituato a fare in consiglio dei ministri (chiedere a Franceschini...).
Il resto è fuffa. Buona per confondere gli ingenui che ancora credono che sia la “borghesia nazionale” a scegliere i vertici delle istituzioni e le politiche economiche da realizzare. Siamo da tempo in un altro mondo, dove il “peso politico” si pesa davvero: in centinaia di miliardi, non in opinioni.
Le classi popolari attendono, estranee, “astensioniste” per mancanza di una alternativa credibile. Qui c’è da lavorare. Siamo alla confluenza tra tre crisi gigantesche, tutte “sistemiche” (economica, sanitaria, ambientale). Non servono “slogan efficaci”, serve una visione all’altezza.
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