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27/01/2022

Verso la de-escalation? Gli europei non spingono per la guerra alla Russia e neanche per le sanzioni

Usa e Nato hanno consegnato a Mosca le risposte alle richieste russe per allentare le tensioni sull’Ucraina ossia fermare l’espansione dell’Alleanza Atlantica a est e il posizionamento di armi offensive vicino ai confini russi. Dopo essere arrivati ad altissimi livelli di tensione, crisi e preoccupazione per la pace e la sicurezza in Europa, adesso sembrano aprirsi spiragli per una de-escalation.

Mentre non sono ancora noti i punti del documento Usa, nel documento della Nato, il segretario Stoltemberg ha indicato tre punti:

a) le relazioni Nato-Russia. I rapporti diplomatici tra Russia e Nato sono stati interrotti dal 2014, “il che rende più difficile il nostro dialogo. Quindi dovremmo ristabilire i nostri rispettivi uffici a Mosca e a Bruxelles”, ha spiegato Stoltemberg;

b) la sicurezza europea, compresa la situazione dentro e intorno all’Ucraina. “Siamo pronti ad ascoltare le preoccupazioni della Russia e a impegnarci in una vera conversazione su come sostenere e rafforzare i principi fondamentali della sicurezza europea a cui tutti abbiamo aderito, a partire dall’Atto finale di Helsinki. Ciò include il diritto di ogni nazione di scegliere le proprie disposizioni di sicurezza. La Russia dovrebbe anche ritirare le sue forze da Ucraina, Georgia e Moldova, dove sono schierate senza il consenso di questi Paesi, e tutte le parti dovrebbero impegnarsi in modo costruttivo negli sforzi per risolvere i conflitti, anche nel formato Normandia” (che però non prevede la presenza degli Usa, ndr);

c) riduzione del rischio, trasparenza e controllo degli armamenti. "La storia ha dimostrato che l’impegno su questi temi può fornire una vera sicurezza per tutti. Quindi abbiamo bisogno di misure pratiche che facciano davvero la differenza” ha affermato il Segretario della Nato.

Gli Stati Uniti dal canto loro continuano a starnazzare – smentiti sia dalla Russia che, addirittura, dal ministro della Difesa dell’Ucraina – che Mosca è pronto a usare la forza contro l’Ucraina “entro metà febbraio”. Il Segretario di Stato Usa Blinken ha ribadito che Washington è pronta a imporre sanzioni a Mosca e allo stesso Putin, sanzioni che avrebbero gravi conseguenze, se optasse per l’aggressione contro l’Ucraina.

Appare però sempre più evidente che aumentare le tensioni tra Ue e Russia, sia sul piano politico-militare che economico, danneggerebbe solo l’Europa – all’est e all’ovest – e avvantaggerebbe solo gli Stati Uniti nel loro tentativo di mantenere la supremazia globale, sia nella Nato che sull’Europa e nelle relazioni internazionali. Ma la tendenza ad un mondo multipolare sembra essere più forte delle resistenze strategiche e delle debolezze interne statunitensi.

Le sanzioni sono un boomerang per l’Unione Europea

È proprio lo strumento delle eventuali sanzioni che vede emergere crescenti divergenze tra Usa e Unione Europea.

La Reuter ricorda che la Germania ha esportato 25 miliardi di dollari di merci in Russia da gennaio a novembre dello scorso anno, seconda solo alla Cina e comodamente più dei 15 miliardi di dollari degli Stati Uniti. Altri non sono molto indietro. L’Italia appare riluttante a perdere i suoi 11 miliardi di dollari di esportazioni verso la Russia nello stesso periodo, quasi l’1% del suo PIL. La Francia ha esportazioni di analoga entità.

Inoltre la Russia è il principale fornitore di petrolio, gas naturale e carbone dell’UE. Ma mentre la Germania deriva fino a tre quarti delle sue importazioni di gas naturale extra Ue dalla Russia, il rapporto è meno della metà per la Francia e meno di un quarto per la Spagna, secondo i dati Eurostat. La Germania ha quindi un maggiore incentivo ad evitare un embargo sul gas russo.

La Russia è stata colpita da vari cicli di sanzioni nel corso degli anni, ciascuno con diversi gradi di successo. Un’altra delle misure all’esame sarebbe quella di isolare il paese dal sistema di transazioni finanziarie internazionali SWIFT, che è uno degli strumenti principali del sistema globale per il trasferimento di denaro.

Tagliare fuori la Russia da questa rete è qualcosa che avrebbe gravi conseguenze, rendendo molto difficile per chiunque all’interno del paese fare qualsiasi tipo di transazione finanziaria con il mondo occidentale ed a livello globale. Ma togliere dalla Russia lo SWIFT creerebbe problemi anche all’Europa. Per le aziende tedesche, e non solo, sarebbe un boomerang. Ad esempio, una società che acquista gas naturale russo non sarebbe in grado di pagare utilizzando il solito codice SWIFT. Inoltre sul gasdotto Nord Stream 2, ci sono divisioni ad ogni livello dell’UE, incluso dentro al governo di coalizione tedesco.

E sono proprio Germania e Italia a finire nel mirino dei falchi atlantisti. Il giornale tedesco Handesblatt dà voce all’irritazione dell’asse angloamericano verso Berlino. “L’amministrazione Biden ha fatto delle buone relazioni con Berlino una priorità”, dice John Herbst, l’ex ambasciatore americano in Ucraina che ora dirige l’Eurasia Center del think tank Atlantic Council. “Ma né Merkel né Scholz hanno dato a Biden qualcosa in cambio”. A Londra il presidente della commissione affari esteri Tom Tugendhat ha invitato il ministro degli esteri Liz Truss a parlare con la Germania sulla fornitura di armi a Kiev.

Secondo il Frankfurther Allgemeine, il ministro tedesco Habeck, che è anche responsabile della protezione del clima, ha apparentemente trovato molti membri dello staff del ministero che sono molto affezionati alla Russia e vedono la politica del gas da questa prospettiva. In casa, si parla di una “connessione con Mosca” e di un “filo del gas” che risale al mandato del ministro della SPD Sigmar Gabriel tra il 2013 e il 2017.

Infine sulle forniture di armi all’Ucraina tramite i paesi baltici, è il Wall Street Journal a denunciare che “almeno nel caso dell’Estonia, questo piano potrebbe fallire perché la Germania sta impedendo all’alleato della NATO di attuarlo”.

A differenza di Stati Uniti, Gran Bretagna, Polonia e altri alleati, il governo tedesco ha rifiutato di fornire armi all’Ucraina. “La nostra posizione restrittiva è ben nota e ha le sue radici nella storia”, ha detto lunedì a Kiev il ministro degli Esteri Annalena Baerbock (Verdi).

Le armi provengono dalle scorte dell’ex Esercito Nazionale del Popolo della DDR, passate in possesso della Bundeswehr con la caduta del Muro. L’Estonia vuole equipaggiare l’Ucraina con 42 pezzi di artiglieria D-30 – armi che sono state vendute dalla Germania alla Finlandia negli anni ’90 e dalla Finlandia all’Estonia nel 2009. Pertanto, il governo tedesco deve approvare la donazione.

Ma anche l’Italia è finita nel mirino a causa della videoconferenza di ieri tra Putin e il gotha di grandi gruppi industriali-finanziari italiani.

La conferenza si è tenuta lo stesso – con la sola eccezione dell’Eni che si è ritirata – nonostante il governo Draghi avesse esortato gli organizzatori a cancellare l’evento e chiesto alle aziende partecipate dallo Stato di non prendervi parte.

In questo caso si è assistito ad una levata di scudi trasversale – ma significativa del servilismo filoatlantico – tra Pd, M5S e Forza Italia contro le aziende italiane. In una dichiarazione comune, tre parlamentari del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle e Forza Italia, membri del Copasir, hanno unito le forze nel criticare le imprese italiane. “Pur comprendendo la necessità delle nostre aziende di mantenere buone relazioni commerciali con le imprese russe, crediamo che questa necessità, soprattutto in un momento di grande tensione come questo, non possa minare l’affidabilità transatlantica dell’Italia”, hanno detto i deputati Enrico Borghi, Federica Dieni ed Elio Vito, che sono membri del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

Putin nella videoconferenza ha salutato l’Italia come uno dei principali partner economici della Russia, evidenziando che il valore del commercio tra i due paesi è cresciuto del 53,8% nei primi 11 mesi del 2021. Anche il volume di gas spedito in Italia dall’azienda statale russa del gas PAO Gazprom è aumentato e, ha affermato, Putin ad un prezzo più basso e vantaggioso di quello sul mercato internazionale.

Ma non sono soli i businessmen tedeschi e italiani a preoccuparsi delle conseguenze in occidente delle sanzioni contro la Russia. Il Wall Street Journal riferisce che a Washington, l’American Petroleum Institute, il gruppo di pressione dell’industria petrolifera, “ha detto che riconosce il ruolo delle sanzioni come strumento di politica estera”, ma ha chiesto ai politici di “indirizzare qualsiasi nuova sanzione sulla Russia con attenzione in modo da non danneggiare la competitività delle aziende statunitensi”.

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