La costruzione ad hoc della crisi ucraina prosegue incessante. Indifferenti al lavoro di mediazione della Francia, presidente di turno della UE, ed ai colloqui in corso tra i Paesi coinvolti sin dal 2014 nel reset dell’area, gli USA alzano la tensione oltre i livelli di guardia. Un atteggiamento provocatorio denunciato persino dal Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha invitato l’Occidente a smetterla di alzare la tensione sulla pelle dell’Ucraina.
Gli Stati Uniti temono che dai colloqui del Gruppo di contatto emerga uno stop all’escalation e anche la verità dei fatti, ovvero che la Russia non ha mai pensato di invadere l’Ucraina e che la stessa Kiev ne sia perfettamente conscia, come ha tentato di dire sin dall’inizio. L’intera narrazione di questa crisi, del resto, viaggia su un rovesciamento completo della realtà: si racconta una inesistente invasione dell’Ucraina, mentre è vero il contrario: Mosca mobilita il suo esercito in chiave difensiva di fronte all’ammassamento di militari, rampe missilistiche, navi, aerei da combattimento e droni della NATO alle porte di casa, fino a tutto il Mar Nero.
Nella narrazione occidentale c’è un assurdo concettuale prima che politico, secondo cui Washington può muovere soldati e armi per migliaia e migliaia di chilometri e schierarli alla porta della Russia, la quale però non può invece muovere armi e soldati nel suo territorio. La prima mossa da offensiva diventa difensiva e la seconda, da risposta, si trasforma in aggressione. La Nato può muovere dove vuole, la Russia nemmeno dentro casa.
Una riaffermazione arrogante della “eccezionalità” statunitense di fronte al Diritto Internazionale, al rispetto degli accordi ed alla eredità storica dei Trattati. Una narrazione menzognera alimentata dai media europei e statunitensi e denunciata dallo stesso ex Capo di Stato Maggiore della Marina Tedesca, l’Ammiraglio Kay-Achim Schönbach, che è stato costretto alle dimissioni per aver detto che "Putin chiede soltanto un po’ di rispetto e probabilmente se lo merita”.
L’innesco della crisi è l’intenzione del governo statunitense di incorporare l’Ucraina nella Nato, minacciando direttamente la sicurezza russa. Chiaro che Mosca non resti a guardare: ove il governo nazista ucraino decidesse di aderire alla Nato ed ospitare soldati e armamenti nucleari dell’Alleanza Atlantica, ne deriverebbe una minaccia immediata e di assoluta gravità alla sicurezza della Russia, che si troverebbe costretta ad intervenire militarmente per scongiurarla. Ma, fino ad ora, chi porta i suoi militari fuori dalle proprie frontiere è Washington e non Mosca.
Putin ha tutto il diritto di tenere in allerta il suo dispositivo militare. Il biglietto da visita con il quale le ultime due amministrazioni USA si sono presentate alla Russia parla chiaro: annullamento degli accordi balistici a medio raggio, azzeramento degli accordi per la protezione dei cieli, ritiro del trattato di pace con l’Iran e aumento della presenza della Nato ai confini della Russia, guerra in Siria, intenti di colpi di stato in Bielorussia e Kazakhistan, tentativi di ingerenze nella politica interna russa e finti avvelenamenti a improbabili dissidenti che servono a innescare le sanzioni. E poi altre sanzioni economiche e commerciali verso Mosca e Teheran, la definizione di “assassino” del presidente russo Putin.
Il gas, le armi, il comando
La crisi Ucraina, che può in qualunque momento trasformarsi in una guerra vera e propria, è stata generata dalla volontà statunitense di portare un vero e proprio assedio militare alla frontiera russa e di convincere gli europei a scatenare una guerra finanziaria e commerciale con il fine di piegare l’economia russa e sostenere quella statunitense.
Washington mostra i muscoli verso Russia e Cina e usa la Nato come strumento di politica estera statunitense, riaffermando la propria leadership politica nei confronti dell’Occidente. Sul piano dell’analisi bellica prova la reazione russa a difesa della sua sicurezza nazionale. Misurare tempi, modalità ed efficacia di azione/reazione in una crisi dai possibili esiti militari, è vitale per gli strateghi del Pentagono. Ma non è detto che le risposte siano esaustive, sarebbe ingenuo sperare che Putin stia agendo a carte scoperte.
C’è poi da verificare la solidità del “pacchetto difensivo” rappresentato dai paesi dell’Est, un tempo parte dell’Unione Sovietica o alleati della stessa. Qui le notizie non sono eccellenti per gli USA: sia l’Ungheria che la Croazia si oppongono allo scontro con Mosca sull’Ucraina ed hanno già assicurato la loro uscita dall’alleanza atlantica in caso di conflitto. Non sono due paesi minori: slavi e magiari rappresentano una componente importante nello scacchiere dell’Est e la possibilità che altri li seguano nel disimpegno è concreta. Nel caso avvenisse, la provocazione statunitense alla Russia si trasformerebbe in un colossale boomerang che metterebbe in crisi le politiche di espansione ad Est che dal 1989 Washington ha intrapreso mentre assicurava il contrario.
È noto a tutti gli analisti di politiche della Difesa come Washington preveda un conflitto nucleare tattico circoscritto con Russia e Cina tra gli scenari plausibili. Non si tratta solo di un’ipotesi di scuola, ma di una opzione politica a breve termine da consumarsi sia per puntellare una presidenza ai minimi storici, sia per riporre le esigenze di dominio politico sull’Europa che vacillano da tempo.
Business as usual
L’aspetto prevalente è però economico. La crisi esiste per l’interesse finanziario e strategico USA, l’Ucraina è un attore ininfluente destinato al ruolo di capro espiatorio delle mosse statunitensi. È una crisi concepita per interrompere i legami tra Russia ed Europa, particolarmente riferibili alla fornitura del gas russo al Vecchio Continente, che renderebbe svantaggioso, oltre che insufficiente, l’acquisto di quello statunitense. La Casa Bianca vuole che la Germania blocchi la messa in opera del gasdotto North Stream 2 e auspica si possa scatenare un conflitto che consentirebbe a Washington di bloccare la Russia sul circuito bancario internazionale, così da poter raggiungere l’apoteosi delle sue sanzioni, determinando il più grande vantaggio commerciale agli USA di tutta la loro storia. Che questo possa essere pagato con sangue ucraino e russo poco interessa agli USA, anzi. Più la guerra avanza più l’armamento USA si vende, più si distrugge e più le imprese USA potranno candidarsi a ricostruire: il business sulla pelle degli altri non ha limiti.
I conti di Washington non sono però semplici. Per Berlino il North-Stream 2 vale 25 miliardi di dollari all’anno ed è chiaro che continuare a finanziare l’economia statunitense affondando quella europea non può rappresentare un cammino viabile, meno che mai se s’innesca pure in una crisi militare dagli esiti pericolosissimi per l’Europa. La stessa minaccia di blocco bancario a Mosca avrebbe ripercussioni pesantissime sulle banche UE esposte con la Russia, mentre ne uscirebbero indenni le banche USA, che potrebbero così rafforzarsi nei confronti di quelle europee. Per questo nemmeno Parigi e Roma vedono di buon occhio questa gigantesca provocazione che rischia di mettere l’Europa finanziariamente in crisi e di lasciarla al gelo, al solo scopo di sostenere gli interessi commerciali statunitensi.
Gli obiettivi statunitensi
Quella USA però non è solo una volgare azione di pirateria commerciale: contestualmente si ribadisce il comando unipolare l’intenzione di ridurre il crescente peso russo nel sistema internazionale limitandolo alla sfera regionale.
Il retroterra di quanto avviene è la consapevolezza statunitense della fine di un’epoca, dove Washington era l’unica padrona del mondo, a cui imponeva le sue ricette destinate ad arricchire gli USA impoverendo il resto del pianeta, considerato a Washington e Langley solo un’area vitale per la sicurezza nazionale statunitense e destinato soprattutto a garantire la sopravvivenza del proprio modello.
In sintesi, la spremitura delle risorse planetarie per finanziare la fallimentare economia statunitense, giunta al record storico di inflazione e viva ancora solo grazie alla produzione di dollari senza nessun controllo ed al dominio militare sul pianeta, che li difende anche dal dover rientrare dal colossale debito estero, visto che la leadership tecnologica e finanziaria è un ricordo sbiadito. La destabilizzazione planetaria è la vera sostanza della politica estera statunitense, dato che il ruolo di gendarme mondiale è l’unico terreno possibile per chi tende a conservare almeno la leadership militare.
Per gli USA, insomma, la guerra non è una opzione bensì un indirizzo inevitabile. Ad ammortizzare il gap tra il 24% della produzione mondiale con il 60% del consumo per una popolazione che è solo il 4,1% del pianeta, ci sono le 686 basi militari USA e le centinaia di migliaia di soldati allocati in 149 paesi, il 75% del pianeta. E poi le sanzioni commerciali, i blocchi economici, le pressioni finanziarie e le minacce militari. A questo serve l’allargamento della NATO ovunque: a ribadire il dominio statunitense sul globo e ad evitare che altre economie ed altri progetti trovino spazio, possano assumere spessore egemonico internazionale e mettano gli USA di fronte al multipolarismo, autentica fobia per l’impero decadente.
Quella che si sta giocando su Kiev è una partita a scacchi giocata da un Occidente obbligato a correre al capezzale dell’impero statunitense, che non vuole e non può accettare l’idea della fine del comando unico unipolare perché ciò comporterebbe la fine del suo modello imperiale e la sua riduzione a rango di superpotenza ma non più globale, con tutto ciò che questo comporta sul piano del saccheggio continuato di risorse internazionali da finalizzare al mantenimento interno del suo modello.
Tocca all’Europa, che in questa crisi rischia di rimetterci soldi e morti, alzare la voce, imporre il dialogo ed isolare la Casa Bianca. La crisi ucraina, prima e sopra ogni altra considerazione, dimostra quanto già apparve chiaro dalla caduta del campo socialista nel 1989. Per il governo planetario, gli Stati Uniti, se mai lo sono stati nella loro storia, non sono più una risorsa. Sono il problema.
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