Non è facile prevedere nel dettaglio come finirà la partita Quirinale-Palazzo Chigi. Quello che è certo è che, comunque vada, finirà male.
La domanda è: com’è possibile aver eletto un Parlamento così molle e incompetente, completamente nelle mani di segretari di partito, che agiscono come capi manipolo? In altri termini: che ne è della libertà di voto?
Le donne e gli uomini che dovrebbero gestire la Repubblica parlamentare, organo sovrano, sono stati reclutati tra carrieristi di partito, avvocati con la fregola della notorietà, lobbysti fai-da-te, delegati di poteri estranei ai compiti di stato e di governo.
Questa è la classe dirigente della democrazia italiana. La parola d’ordine è sempre: preservare e accrescere la propria rendita di posizione.
È un Parlamento di piccoli e medi borghesi, che hanno tolto di mezzo la stragrande maggioranza dei cittadini del paese, che interpellano, suggestionano e ingannano solo in caso di elezioni.
La classe lavoratrice, le masse popolari, la moltitudine dei salariati precari non trova rappresentanza politica, è diventata una semplice tecnicalità per la distribuzione di bonus, in cambio di consenso.
La lotta di classe s’è da tempo rovesciata, il lavoro è umiliato e offeso, mentre ai capitalisti non interessano neanche più le regole del mercato. I “nostri” capitalisti lucrano sull’inefficienza del welfare, prendono sovvenzioni statali e regionali, non pagano le tasse, corrompono, tirano sugli stipendi e sui salari, lesinano sui diritti mai sui dividendi.
Come reagisce la moltitudine dei salariati? Loro non vanno più neanche al voto, come dimostrano le risibili percentuali di affluenza alle urne in ogni tornata elettorale da ormai troppi anni a questa parte. È disimpegno politico? Bisognerebbe sgombrare il campo da disquisizioni sociologiche tipiche dei salotti televisivi.
In verità, l’astensione è il costante ripetersi della sentenza di condanna senza appello dei partiti, certifica che la rabbia e il risentimento covano, mentre, pur fra stenti e patimenti, l’opposizione sociale continua a manifestare la propria presenza nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle metropoli.
È una voce flebile, spesso gli uni non sentono gli altri, il discorso politico è intermittente e non sempre chiaro, ma non è stato azzittito.
Se, dunque, vi state chiedendo perché la democrazia italiana è così tragicomica, inadeguata, avvilente, la risposta è proprio nei fatti: quando la graduale e implacabile esclusione della maggioranza dei cittadini diventa la cifra della realtà politica, il sistema diventa un fatto privato tra corporazioni e interessi di potere.
Era già successo esattamente un secolo fa.
La classe operaia diventò carsica per un ventennio, poi con impeto riprese il suo posto nella storia e fu la spinta propulsiva della democrazia nata dalla Resistenza, la Carta costituzionale, la divisione dei poteri, il Parlamento, i diritti civili e politici.
Che è tutto quello che oggi appare opaco e frustrato, gestito da uomini politici intellettualmente anemici, mossi da ideali rachitici, come la penosa sceneggiata dell’elezione del nuovo capo dello Stato sta a rappresentare, mentre in Italia si muore di Covid, di lavoro, di patriarcato; mentre si ammassano truppe ai confini dell’Ucraina; mentre la tempesta energetica sta provocando inflazione, penuria di materie prime, rincari pesanti, che vanificano gli ingenti prestiti per la ripresa economica post-pandemica.
Il fatto è che il mantra per cui bisogna “fare di tutto per la ripresa economica” è propizio solo ai fatturati, non certo alla qualità della vita della stragrande maggioranza, che anzi la ripresa la subiscono, proprio come subiscono sempre le crisi.
"Il fatto che i poveri rimangono poveri e i ricchi diventino più ricchi è una cosa che – per citare una canzone di Leonard Cohen – tutti sanno e, inoltre ‘that’s how it goes’, ‘è così che vanno le cose’".
"Ma se tutti lo sanno, allora perché ‘tutti’ non fanno qualcosa per rimediare?”, si chiede David Harvey, che continua: “la domanda interessante per me è: ‘Cosa sanno realmente tutti della nostra congiuntura attuale?’".
Ecco allora che c’è da sapere: che la politica italiana non è distante dalla stragrande maggioranza delle donne e degli uomini, è semplicemente contro di loro.
È tempo che questa consapevolezza irrompa nel dibattito pubblico e sposti i rapporti di forza, individui una nuova pratica sociale, tracci nuove prospettive politiche di uguaglianza, ridistribuzione, giustizia sociale.
La vediamo in questi giorni la gravità del danno arrecato alla democrazia. Ancora una volta tocca storicamente alla classe lavoratrice, alle masse e alle moltitudini dei salariati precari riprendersi lo spazio politico che gli è stato negato, per farsi carico della democrazia per tutti.
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