Le compagne e i compagni di Bologna e di Napoli mi hanno proposto di candidarmi nei loro collegi territoriali.
A settant’anni faccio una scelta a cui non avevo mai pensato negli oltre cinquantanni di mio impegno militante.
Chi mi ha convinto? Loro, le meravigliose compagne e i meravigliosi compagni di Je so’ pazzo, che hanno avuto l’intelligenza e la determinazione di promuovere un fatto politico che in Italia non era mai avvenuto: una autoconvocazione popolare e di classe per partecipare alle elezioni.
Con loro mi hanno convinto le compagne e i compagni di Eurostop, che in gran parte si sono buttati con entusiasmo e coraggio nell’impresa, concorrendo a definire un programma che non ha tutte le nostre proposte di rottura, ma che ne ha molte e soprattutto ne ha lo spirito. Rottura con UE e NATO, stop alle privatizzazioni e ai tagli alla spesa pubblica sociale. Basta guerre, bombe e spese militari. Nazionalizzazioni a partire dalle grandi banche e ripudio della servitù usuraia del debito.
Chi lo dice oltre a Potere al Popolo?
Mi hanno convinto le assemblee, tutte senza precedenti e diffuse ovunque. In particolare ricordo da ultime quelle enormi di Bologna e Napoli, cui ho avuto la fortuna di essere invitato. In tutte le assemblee è emerso un popolo sommerso e resistente, che fa attività e lotta sociale tutti i giorni, senza quei riflettori che l’informazione di regime dedica alle dame di San Vincenzo fasciste di Casapound. E quel popolo e quei giovani hanno accolto i, e si sono uniti a, militanti e organizzazioni comuniste e socialiste che hanno, finalmente, deciso di mettere le loro forze a disposizione di un progetto diverso dai soliti, noiosi e dannosi, cartelli delle sinistre più o meno radicali.
Certo che abbiamo nel cuore e nelle menti le idee ed i progetti maturati nella lunga marcia della sinistra di popolo e di classe contro il capitalismo. Ma come disse alla Camera Andrea Costa, quando alla fine dell’800 fu eletto primo deputato socialista dai braccianti di Imola: “Io con voi, destra e sinistra qui sedute, non c’entro nulla”.
E poi mi hanno convinto le lavoratrici ed i lavoratori che non si arrendono, che da Almaviva a Ilva a Alitalia a tanti altri luoghi lottano contro i licenziamenti concordati tra governo e multinazionali, spesso con il consenso di CgilCislUil. Chi rifiuta l’alternanza scuola-lavoro gratis. Chi denuncia e combatte lo sfruttamento e l’oppressione del lavoro, imposti da leggi e complicità vergognose. Chi vuol togliere ogni fiducia a chi ha fatto o permesso leggi infami come il Jobsact, la Fornero, la Buona Scuola. Chi riesce a ribellarsi alla schiavitù del lavoro è oggi una colonna portante di Potere al Popolo. L’avanguardia di quella ripresa diffusa della lotta di classe, che è uno degli obiettivi necessari per non lasciare la Costituzione nella carta straccia.
Mi ha convinto la mia amica e compagna Nicoletta Dosio, una vita con i NOTAV, che ha risposto colpo su colpo a tutte le angherie della repressione e che ad un certo punto mi ha detto: se si condivide un progetto così coraggioso come questo, bisogna metterci la faccia. E si è candidata in Valle.
Tante cose assieme mi hanno convinto e poi all’assemblea di Napoli ho visto la commozione con cui il capo politico della lista, Viola Carofalo, seguiva i tanti interventi appassionati e le presentazioni di Francesca Fornario. Ho pensato i capi politici delle altre liste e ho misurato tutta la diversità di Potere al Popolo. Ora però, come la stessa Viola ha concluso, basta piangere. Ora sotto con le firme e... Potere al Popolo.
Fonte
Presentazione
Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni
Visualizzazione post con etichetta Lista popolare. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Lista popolare. Mostra tutti i post
22/12/2017
Francesca Fornario: “perché ho deciso di votare per Potere al Popolo”
In tanti mi state scrivendo per domandarmi perché ho deciso di votare per Potere al Popolo. Rispondo qui alle domande più insistenti.
da poterealpopolo.org.
Ti candidi? No.
Odi D’Alema (O Bersani, Renzi, ecc)? No. Ma io non faccio testo, non odio nemmeno il tizio che mi ha fregato la bici, che è il mio unico mezzo di locomozione. E non perché ho letto Vonnegut – un po’ anche sì, temo – o perché sono più buona di chi invece odia D’Alema ma solo perché sono stata più fortunata di lui: non sono mai stata licenziata – mi sono licenziata spesso – ho sempre fatto un lavoro che mi piaceva e mi lasciava tanto tempo libero, ho ereditato una casa. Non ho le ragioni per odiare che hanno i parenti dei migranti morti in mare o dei civili morti sotto le bombe della Nato, delle donne e degli uomini licenziati per ingiustificato motivo e che però – grazie a una delle molte legge ingiuste approvate da D’Alema e dagli altri – non hanno diritto al reintegro, degli ammalati che non possono permettersi la sanità privata e muoiono in attesa di quella pubblica, dei milioni di poveri e sfruttati traditi dai governi di centrosinistra e da quelli di larghe intese e da quelli di centrodestra, che però da quelli se lo aspettavano).
Penso che D’Alema, Renzi, Bersani siano responsabili di questa povertà, di questa ingiustizia, di questo sfruttamento, di questa violazione dei diritti umani, di questo odio (la cosa che meno perdono loro: aver costretto le persone a odiare) avendo votato e voluto i provvedimenti che hanno prodotto tali conseguenze e per questo li considero avversari politici. Potrei mai votare per quelli che considero avversari politici? Naturalmente no, mi stupisce lo stupore di chi si sorprende della mia decisione e del fatto che siamo in tanti a pensarla così.
Ma non saresti felice se Bersani – e Bassolino, Speranza ecc. ecc. – cambiassero idea?! CERTO!! Se ammettessero di essersi sbagliati sarei felicissima, e li accoglierei a braccia aperte, e li inviterei a distribuire volantini e raccogliere firme ai banchetti ma non li candiderei: perché molti elettori li odiano, molti altri non si fidano più, e quell’odio e quella sfiducia hanno ragioni comprensibili e legittime. Se invece cambiano idea ma non ammettono di aver sbagliato non li metterei nemmeno a raccogliere le firme perché farebbero scappare la gente dai banchetti e sarebbe controproducente:
– Ehi, ma tu non sei quello che mi ha allungato l’età pensionabile?!
– Indubbiamente c’è stata una sottovalutazione degli effetti della crisi finanziaria globale sul prodotto interno lordo...
– Ma tu hai votato a favore del pareggio di bilancio in Costituzione!
– C’era l’allarme Spread che ci imponeva di...
- Ma tu hai cancellato l’articolo 18!
- Si poteva fare meglio, ma un intervento sull’eccessiva rigidità delle clausole che...
- Ma vaffanculo, sai dove te lo infilo questo volantino di merda?
Ma non era meglio... NO!
Se penso a quanti compagni preparati e generosi ho visto in questi anni spendersi in partiti che non li convincevano fino in fondo o affatto, e farlo con la speranza di cambiarli, di modificare i rapporti di forza, di costringere i segretari a cambiare la linea, di spostare il dibattito politico sui temi che ci stanno a cuore di avanzare una proposta di legge per combattere lo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente, per garantire a tutti gli stessi diritti sociali e civili. Se penso a quante di queste proposte di legge siano state presentate (poche) e approvate (due o tre in vent’anni: provvedimenti simbolici, la maggior parte monchi), concludo che quelle energie sarebbe stato più utile e più entusiasmante spenderle in un partito più convinto di quelle ragioni, meno ostile, più accogliente.
Capisco chi si ostina a fare quel lavoro di convincimento nel Pd o nel Movimento Cinque stelle, grandi partiti che hanno al loro interno posizioni plurali: è lo sforzo ammirevole che fa, ad esempio, Manconi nel Pd: pur essendo in palese disaccordo con la gran parte delle scelte del segretario, combatte la sua battaglia per i diritti di alcune categorie di diseredati che altrimenti non avrebbero visibilità e rappresentanza, come le vittime delle carceri italiane o gli stranieri senza cittadinanza. “Per rappresentare gli interessi di gente che non vota, ha senso sfruttare l’opportunità di entrare nelle istituzioni che ti garantisce un grande partito”, è il ragionamento che fa Manconi. Ma non capisco perché fare questo immane sforzo in un piccolo soggetto che ha – come quello grande – al suo interno posizioni antitetiche e configgenti, leader che hanno difeso gli interessi delle banche, delle multinazionali, dei palazzinari e militanti che invece difendono quelli dei lavoratori e dei disoccupati e dei senza casa. Che senso ha? Non è meglio dare vita a un altro piccolo soggetto più coerente? Più convinto e di conseguenza più convincente? Mia opinione personale, eh: stima immutata per quelli che in buona fede continuano a sperare di egemonizzare con le loro idee – le nostre – i partiti ostili. Io non ce la farei perché non riesco a fare le cose senza entusiasmo. Le cose che contano, dico, tipo le lotte e le storie d’amore: senza entusiasmo riesco a malapena a buttare la spazzatura e stendere i panni, che infatti nemmeno stiro.
E se non superano il quorum? In parlamento, succede quello che sarebbe successo se non si fosse fatta la lista di Potere al popolo. Fuori dal parlamento, se non si fosse fatta la lista, in tanti non avrebbero votato. Ma soprattutto, non si sarebbero trovati, conosciuti, riconosciuti, non avrebbero avviato un percorso che andrà avanti dopo il voto e che saprà coinvolgere tanti altri nelle lotte e nelle pratiche degli uni in soccorso degli altri: tanti altri che oggi non si battono e non si spendono perché non sanno dove e al fianco di chi e come si fa. Come il compagno che votava Forza Italia e poi, frequentando Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo , lavorando allo sportello migranti, al doposcuola per i bambini del quartiere Sanità, ha conosciuto e compreso la solidarietà di classe e la lotta di classe alla quale prima nemmeno sapeva di appartenere: quanti altri centri sociali accolgono chi vota Forza Italia? Quanti compagni hanno la forza e la pazienza di ascoltare le loro ragioni, le loro storie di vita? Quanti riconoscono in chi vota Forza Italia una vittima del sistema prima che un nemico politico? Se non ci si mette insieme, nemici e vittime del sistema, l’ingiustizia patita sfocia nel rancore di chi ha gli strumenti per capire e nell’indifferenza e frustrazione di chi quegli strumenti non li ha. Se invece ci si viene incontro, se si cerca e si trova il linguaggio per comunicare, allora l’ingiustizia patita produce la lotta gioiosa che ogni giorno anima le stanze dell’Ex Opg.
Suggerisco a chi non conosce cosa fanno e come nelle celle dell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli e nell’intera città di regalarsi una gita lì e comprendere cos’è la tenerezza della quale parlava Che Guevara: “La durezza di questi tempi non ci deve far perdere la tenerezza dei nostri cuori”. Rendere quante più persone partecipi di questa tenerezza, di questa lotta, quante più persone possibili capaci di provarla, alimentarla, combattere insieme, è un obiettivo infinitamente più urgente di piazzare un compagno in parlamento superando il quorum. O di piazzarne, due, dieci, la maggioranza: una maggioranza finalmente in grado di redistribuire le ricchezze e riempire la pancia ai poveri. Noi non ci accontentiamo di redistribuire la ricchezza, noi vogliamo redistribuire il benessere come quello che c’è all’Ex Opg – Je so Pazzo: un posto, un modo, un tempo dove si sta bene. Non basta riempire le pance, bisogna cambiare le teste, le teste di tutti noi.
Concludo con un appunto personale, quello che faccio a me stessa ogni giorno prima di scrivere, piccoli cenni per parlare agli sfruttati e conquistarli alla lotta: Che posizione hai sul lavoro e il reddito? Sto al bancone dei surgelati, guadagno 1000 euro al mese e non ce la faccio più perché c’ho la bronchite cronica. Vorrei starmene a casa ma non posso perché se sto a casa non mi rinnovano il contratto e perdo il permesso di soggiorno. Allora sei negriano? No, sono pakistano.
Sforziamoci di studiare, di analizzare, di dibattere il giusto tra noi, ma sforziamoci anche di parlare la lingua che eravamo in grado di capire prima di aver studiato. Non so se sempre ci riesco ma sempre ci provo, è il mio modo per esprimere la gratitudine di aver avuto il tempo, il modo, la fortuna di studiare.
Buona lotta a tutti!
Fonte
da poterealpopolo.org.
Ti candidi? No.
Odi D’Alema (O Bersani, Renzi, ecc)? No. Ma io non faccio testo, non odio nemmeno il tizio che mi ha fregato la bici, che è il mio unico mezzo di locomozione. E non perché ho letto Vonnegut – un po’ anche sì, temo – o perché sono più buona di chi invece odia D’Alema ma solo perché sono stata più fortunata di lui: non sono mai stata licenziata – mi sono licenziata spesso – ho sempre fatto un lavoro che mi piaceva e mi lasciava tanto tempo libero, ho ereditato una casa. Non ho le ragioni per odiare che hanno i parenti dei migranti morti in mare o dei civili morti sotto le bombe della Nato, delle donne e degli uomini licenziati per ingiustificato motivo e che però – grazie a una delle molte legge ingiuste approvate da D’Alema e dagli altri – non hanno diritto al reintegro, degli ammalati che non possono permettersi la sanità privata e muoiono in attesa di quella pubblica, dei milioni di poveri e sfruttati traditi dai governi di centrosinistra e da quelli di larghe intese e da quelli di centrodestra, che però da quelli se lo aspettavano).
Penso che D’Alema, Renzi, Bersani siano responsabili di questa povertà, di questa ingiustizia, di questo sfruttamento, di questa violazione dei diritti umani, di questo odio (la cosa che meno perdono loro: aver costretto le persone a odiare) avendo votato e voluto i provvedimenti che hanno prodotto tali conseguenze e per questo li considero avversari politici. Potrei mai votare per quelli che considero avversari politici? Naturalmente no, mi stupisce lo stupore di chi si sorprende della mia decisione e del fatto che siamo in tanti a pensarla così.
Ma non saresti felice se Bersani – e Bassolino, Speranza ecc. ecc. – cambiassero idea?! CERTO!! Se ammettessero di essersi sbagliati sarei felicissima, e li accoglierei a braccia aperte, e li inviterei a distribuire volantini e raccogliere firme ai banchetti ma non li candiderei: perché molti elettori li odiano, molti altri non si fidano più, e quell’odio e quella sfiducia hanno ragioni comprensibili e legittime. Se invece cambiano idea ma non ammettono di aver sbagliato non li metterei nemmeno a raccogliere le firme perché farebbero scappare la gente dai banchetti e sarebbe controproducente:
– Ehi, ma tu non sei quello che mi ha allungato l’età pensionabile?!
– Indubbiamente c’è stata una sottovalutazione degli effetti della crisi finanziaria globale sul prodotto interno lordo...
– Ma tu hai votato a favore del pareggio di bilancio in Costituzione!
– C’era l’allarme Spread che ci imponeva di...
- Ma tu hai cancellato l’articolo 18!
- Si poteva fare meglio, ma un intervento sull’eccessiva rigidità delle clausole che...
- Ma vaffanculo, sai dove te lo infilo questo volantino di merda?
Ma non era meglio... NO!
Se penso a quanti compagni preparati e generosi ho visto in questi anni spendersi in partiti che non li convincevano fino in fondo o affatto, e farlo con la speranza di cambiarli, di modificare i rapporti di forza, di costringere i segretari a cambiare la linea, di spostare il dibattito politico sui temi che ci stanno a cuore di avanzare una proposta di legge per combattere lo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente, per garantire a tutti gli stessi diritti sociali e civili. Se penso a quante di queste proposte di legge siano state presentate (poche) e approvate (due o tre in vent’anni: provvedimenti simbolici, la maggior parte monchi), concludo che quelle energie sarebbe stato più utile e più entusiasmante spenderle in un partito più convinto di quelle ragioni, meno ostile, più accogliente.
Capisco chi si ostina a fare quel lavoro di convincimento nel Pd o nel Movimento Cinque stelle, grandi partiti che hanno al loro interno posizioni plurali: è lo sforzo ammirevole che fa, ad esempio, Manconi nel Pd: pur essendo in palese disaccordo con la gran parte delle scelte del segretario, combatte la sua battaglia per i diritti di alcune categorie di diseredati che altrimenti non avrebbero visibilità e rappresentanza, come le vittime delle carceri italiane o gli stranieri senza cittadinanza. “Per rappresentare gli interessi di gente che non vota, ha senso sfruttare l’opportunità di entrare nelle istituzioni che ti garantisce un grande partito”, è il ragionamento che fa Manconi. Ma non capisco perché fare questo immane sforzo in un piccolo soggetto che ha – come quello grande – al suo interno posizioni antitetiche e configgenti, leader che hanno difeso gli interessi delle banche, delle multinazionali, dei palazzinari e militanti che invece difendono quelli dei lavoratori e dei disoccupati e dei senza casa. Che senso ha? Non è meglio dare vita a un altro piccolo soggetto più coerente? Più convinto e di conseguenza più convincente? Mia opinione personale, eh: stima immutata per quelli che in buona fede continuano a sperare di egemonizzare con le loro idee – le nostre – i partiti ostili. Io non ce la farei perché non riesco a fare le cose senza entusiasmo. Le cose che contano, dico, tipo le lotte e le storie d’amore: senza entusiasmo riesco a malapena a buttare la spazzatura e stendere i panni, che infatti nemmeno stiro.
E se non superano il quorum? In parlamento, succede quello che sarebbe successo se non si fosse fatta la lista di Potere al popolo. Fuori dal parlamento, se non si fosse fatta la lista, in tanti non avrebbero votato. Ma soprattutto, non si sarebbero trovati, conosciuti, riconosciuti, non avrebbero avviato un percorso che andrà avanti dopo il voto e che saprà coinvolgere tanti altri nelle lotte e nelle pratiche degli uni in soccorso degli altri: tanti altri che oggi non si battono e non si spendono perché non sanno dove e al fianco di chi e come si fa. Come il compagno che votava Forza Italia e poi, frequentando Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo , lavorando allo sportello migranti, al doposcuola per i bambini del quartiere Sanità, ha conosciuto e compreso la solidarietà di classe e la lotta di classe alla quale prima nemmeno sapeva di appartenere: quanti altri centri sociali accolgono chi vota Forza Italia? Quanti compagni hanno la forza e la pazienza di ascoltare le loro ragioni, le loro storie di vita? Quanti riconoscono in chi vota Forza Italia una vittima del sistema prima che un nemico politico? Se non ci si mette insieme, nemici e vittime del sistema, l’ingiustizia patita sfocia nel rancore di chi ha gli strumenti per capire e nell’indifferenza e frustrazione di chi quegli strumenti non li ha. Se invece ci si viene incontro, se si cerca e si trova il linguaggio per comunicare, allora l’ingiustizia patita produce la lotta gioiosa che ogni giorno anima le stanze dell’Ex Opg.
Suggerisco a chi non conosce cosa fanno e come nelle celle dell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli e nell’intera città di regalarsi una gita lì e comprendere cos’è la tenerezza della quale parlava Che Guevara: “La durezza di questi tempi non ci deve far perdere la tenerezza dei nostri cuori”. Rendere quante più persone partecipi di questa tenerezza, di questa lotta, quante più persone possibili capaci di provarla, alimentarla, combattere insieme, è un obiettivo infinitamente più urgente di piazzare un compagno in parlamento superando il quorum. O di piazzarne, due, dieci, la maggioranza: una maggioranza finalmente in grado di redistribuire le ricchezze e riempire la pancia ai poveri. Noi non ci accontentiamo di redistribuire la ricchezza, noi vogliamo redistribuire il benessere come quello che c’è all’Ex Opg – Je so Pazzo: un posto, un modo, un tempo dove si sta bene. Non basta riempire le pance, bisogna cambiare le teste, le teste di tutti noi.
Concludo con un appunto personale, quello che faccio a me stessa ogni giorno prima di scrivere, piccoli cenni per parlare agli sfruttati e conquistarli alla lotta: Che posizione hai sul lavoro e il reddito? Sto al bancone dei surgelati, guadagno 1000 euro al mese e non ce la faccio più perché c’ho la bronchite cronica. Vorrei starmene a casa ma non posso perché se sto a casa non mi rinnovano il contratto e perdo il permesso di soggiorno. Allora sei negriano? No, sono pakistano.
Sforziamoci di studiare, di analizzare, di dibattere il giusto tra noi, ma sforziamoci anche di parlare la lingua che eravamo in grado di capire prima di aver studiato. Non so se sempre ci riesco ma sempre ci provo, è il mio modo per esprimere la gratitudine di aver avuto il tempo, il modo, la fortuna di studiare.
Buona lotta a tutti!
Fonte
21/12/2017
Potere al Popolo. Un programma per rovesciare il tavolo
Il percorso di Potere al Popolo, dopo una discussione che ha coinvolto anche i territori, ha cercato di raccogliere e sintetizzare sia le diverse esigenze che le nuove emergenze su una situazione politica e sociale del paese diventata insopportabile. Con 18 milioni di persone a rischio povertà, 12 milioni di persone che non si curano più per motivi economici, una domanda abitativa disattesa verso 700mila famiglie, 5 milioni di emigrati all’estero negli ultimi dieci anni (ormai più numerosi degli immigrati che arrivano nel nostro paese), 2,5 milioni di Neet, giovani esclusi che non studiano e non lavorano, la situazione sociale del paese richiede soluzioni che nessuna classe dominante e nessun governo di destra o centro-sinistra intende fornire o neanche immagina. Su tutto pesano i vincoli esterni dell’Unione Europea e dei suoi trattati antipopolari e della Nato che trascina il paese nelle guerre, nel riarmo e nella militarizzazione crescente del territorio.
Un programma può diventare una lista della spesa o dei desideri e rimanere inerte, parole scritte ma inerti. Il problema principale di un programma è la sua logica, non la sua ragionevolezza. Può essere un programma minimo, con carattere più riformista che “rivoluzionario”, ma è la logica che lo ispira che deve trasudare rottura dell’esistente da ogni parola e da ogni obiettivo. Esso non deve essere ragionevole di fronte agli avversari o potabile in un talk show, deve ridare ai settori popolari il senso del riscatto, della dignità, se volete della “vendetta” contro un nemico che gli sta rovinando la vita e ipotecando il futuro.
Quello di Potere al Popolo è ciò che più cerca di avvicinarsi a questo, a indicare soluzioni ai problemi dei settori sociali più massacrati dalla crisi capitalistica e dalle misure antipopolari adottate dalle classi dominanti per farvi fronte.
Il programma di Potere al Popolo
Fonte
Un programma può diventare una lista della spesa o dei desideri e rimanere inerte, parole scritte ma inerti. Il problema principale di un programma è la sua logica, non la sua ragionevolezza. Può essere un programma minimo, con carattere più riformista che “rivoluzionario”, ma è la logica che lo ispira che deve trasudare rottura dell’esistente da ogni parola e da ogni obiettivo. Esso non deve essere ragionevole di fronte agli avversari o potabile in un talk show, deve ridare ai settori popolari il senso del riscatto, della dignità, se volete della “vendetta” contro un nemico che gli sta rovinando la vita e ipotecando il futuro.
Quello di Potere al Popolo è ciò che più cerca di avvicinarsi a questo, a indicare soluzioni ai problemi dei settori sociali più massacrati dalla crisi capitalistica e dalle misure antipopolari adottate dalle classi dominanti per farvi fronte.
Il programma di Potere al Popolo
Fonte
19/12/2017
#Poterealpopolo, la passione delle cose ragionevoli
La realtà ha disperso molte delle preoccupazioni espresse in un nostro precedente editoriale. Domenica, al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, il morto non è riuscito ad afferrare il vivo. Tenterà ancora di farlo, ma sarà sempre più difficile che abbia successo.
L’assemblea romana che ha finalmente lanciato #poterealpopolo come lista elettorale radicale, antagonista, passionale e razionale, segna infatti una discontinuità netta e, ci auguriamo, irreversibile con “la sinistra”, le sue pratiche di piccolo cabotaggio, la sua vocazione all’irrilevanza sociale. Una vera e propria mutazione genetica, ma questa volta salvifica e rigeneratrice.
E’ bene precisare cosa intendiamo per morto. Abbiamo detto fin da subito che “il morto” è una logica, non una persona o un’organizzazione particolare. E’ certamente morto il “cencelli” mentale che ha regolato fin qui i rapporti interni o tra organizzazioni, sia in vista delle innumerevoli e sempre più disperanti prove elettorali che nella vita politica quotidiana. Una mentalità non liquidabile come maledizione dei soli elettoralisti, ma ben presente anche negli ambiti antagonisti.
Non vediamo differenze perché queste e altre infinite modalità di (presunta) autoaffermazione dei singoli gruppi hanno in comune ideologia (inconsapevole) e risultati dannosi. I secondi sono forse più facili da osservare – frammentazione organizzativa e cancellazione della presenza nella classe, tra la gente, nella vita sociale del paese – ma sono la conseguenza di una identica mentalità fortemente “individualistica”. Certo, c’è chi la declina in ansia di poltrone e chi in esibizione di “alterità”, ma la radice è la stessa. Il frutto, anche.
Tutto questo ed anche altro è il morto che l’assemblea di domenica ha messo in soffitta, speriamo per sempre. Non a caso, chiunque avesse in testa una poltrona da conquistare si è tenuto ben lontano da una ipotesi tutta in salita.
Il vivo è il bisogno di creare un’unità vera, fondata sui interessi e i valori comuni, a partire dalle lotte reali. Che al momento sono poche, circoscritte, specifiche e vertenziali, isolate e spesso criminalizzate. Ma sono anche l’unica risorsa vera e viva da cui partire.
Per uscire dalla passività e dalla frammentazione politiche non serviva riunire “i capi” delle formazioni esistenti e stilare una piccola lista di “tesi condivise”. Serviva “una botta da matti”, un prendersi per i capelli e sollevarsi dalle sabbie mobili – come novelli Münchausen – e mettere al centro, in primo piano, quel che era finito ai margini e sullo sfondo. Ossia il bisogno di lavoro, salario, casa, socialità, welfare, sanità, istruzione, informazione, sovranità popolare sulle decisioni che riguardano la gente. E dunque vedere come interlocutori i protagonisti dei conflitti intorno a quei bisogni, i settori sociali direttamente coinvolti.
Se si mettono al centro gli interessi sociali, l’unità arriva quasi per forza di cose. Perché bisogna risolvere problemi simili, o addirittura identici, e si sta ad ascoltare chi ha una soluzione da proporre, non chi ha una lezioncina da impartire o un ego da esibire. Il contrario, insomma, di quanto avviene fin dalla triste epoca bertinottiana, in cui vigeva il principio “ognuno dice la sua”. E’ l’ora del più sano “chi non fa inchiesta non ha diritto di parola”, che si può anche tradurre come “se non hai niente da dire che ci aiuti ad andare avanti, statti zitto e ascolta”.
Senza neppure dirselo, è la differenza che si è avvertita tra l’assemblea di ieri e quella del Teatro Italia: quasi tutti gli interventi, ieri, sono stati “sul pezzo”, legando lotte locali o settoriali e quadro politico, nemico principale, soluzioni da trovare, unità da consolidare.
E’ un altro segnale della serietà con cui è stata raccolta la sfida. A cominciare dalla chiarezza con cui tutti – nessuno escluso – si sono messi in gioco per costruire un percorso che va molto al di là della scadenza elettorale. Tutti i protagonisti sanno benissimo che la sola presenza in Parlamento, con un gruppo presumibilmente piccolo di eletti, serve a poco, praticamente a nulla nell’epoca del “pilota automatico” con regia a Bruxelles e Francoforte. Ma sanno altrettanto bene che già solo l’impegno necessario a mandarceli costruisce legami, rapporti, fiducia reciproca, legami con il nostro blocco sociale; legami che vanno al di là delle singole vertenze (chi lotta in fabbrica può non avere il problema della casa e viceversa, chi si oppone a una grande opera vive al suo interno anche bisogni di altro tipo, diversi tra loro). In una parola, si costruisce rappresentanza politica e blocco sociale.
Questo è in fondo l’obiettivo principale, che va molto al di là della semplice rappresentanza elettorale, sia come scadenza temporale che come risultati da conseguire. E’ sufficiente pensare al fatto che i settori sociali più combattivi (lavoratori della logistica, braccianti, rifugiati) non possono votare, perché sono stranieri. La bellissima manifestazione del 16 dicembre ci ha restituito tutta la complessità del nostro blocco sociale nel XXI secolo.
Per ottenere il risultato occorreva mettere in campo passione e razionalità, entusiasmo e analisi concreta, testa alta nel conflitto e individuazione del nemico. E la prima è stata evidente, sensibile, travolgente, dal saluto rivolto dal rappresentante del popolo di Palestina fino alle conclusioni tracciate da Viola.
Non paradossalmente, proprio le esperienze concrete di lotta hanno portato chiarezza anche sul piano dell’analisi razionale. Il fantasma dell’Unione Europea, che qualcuno aveva provato a vestire con i panni della “categoria ideologica”, si è materializzato come nemico principale – insieme alla Nato – nelle parole di chi si batte per accogliere i migranti a Lampedusa e vede prendere corpo, anche fisicamente, all’”esercito europeo”. E lo stesso è avvenuto grazie alla testimonianza diretta di chi, nel Parlamento Europeo, ci siede. O da chi, come France Insoummise, forte del 20% raccolto pochi mesi fa, promette una campagna continentale contro la Ue in occasione delle elezioni del 2019.
Ogni bisogno sociale, del resto – dall’acciaieria di Terni (che dovrebbe essere smantellata perché alla Thyssen non interessa più e le “regole europee” vietano la nazionalizzazione) all’edilizia popolare (da lasciare al far west del “mercato”), dalla precarietà contrattuale e occupazionale all’allungamento dell’età pensionabile (con riduzione dell’assegno mensile!), dall’asilo d’infanzia alla ricerca scientifica, ecc. – si scontra con un quadro “legislativo” che viene da Bruxelles e irreggimenta fino all’ultimo anfratto sociale.
Anche su questo punto decisivo, insomma, il morto non è riuscito ad afferrare il vivo e soffocarlo.
#Poterealpopolo parte con il piede giusto, l’entusiasmo che era scomparso, la lucidità che non si trovava più, con “rappresentanti” veri e vivi di una classe disorientata ma ancora capace di resistenza. Il compito è far sì che questa resistenza, oggi per lo più localizzata, torni ad essere generale. Cioè politica.
Per questo la sfida va accettata e vinta.
Fonte
L’assemblea romana che ha finalmente lanciato #poterealpopolo come lista elettorale radicale, antagonista, passionale e razionale, segna infatti una discontinuità netta e, ci auguriamo, irreversibile con “la sinistra”, le sue pratiche di piccolo cabotaggio, la sua vocazione all’irrilevanza sociale. Una vera e propria mutazione genetica, ma questa volta salvifica e rigeneratrice.
E’ bene precisare cosa intendiamo per morto. Abbiamo detto fin da subito che “il morto” è una logica, non una persona o un’organizzazione particolare. E’ certamente morto il “cencelli” mentale che ha regolato fin qui i rapporti interni o tra organizzazioni, sia in vista delle innumerevoli e sempre più disperanti prove elettorali che nella vita politica quotidiana. Una mentalità non liquidabile come maledizione dei soli elettoralisti, ma ben presente anche negli ambiti antagonisti.
Non vediamo differenze perché queste e altre infinite modalità di (presunta) autoaffermazione dei singoli gruppi hanno in comune ideologia (inconsapevole) e risultati dannosi. I secondi sono forse più facili da osservare – frammentazione organizzativa e cancellazione della presenza nella classe, tra la gente, nella vita sociale del paese – ma sono la conseguenza di una identica mentalità fortemente “individualistica”. Certo, c’è chi la declina in ansia di poltrone e chi in esibizione di “alterità”, ma la radice è la stessa. Il frutto, anche.
Tutto questo ed anche altro è il morto che l’assemblea di domenica ha messo in soffitta, speriamo per sempre. Non a caso, chiunque avesse in testa una poltrona da conquistare si è tenuto ben lontano da una ipotesi tutta in salita.
Il vivo è il bisogno di creare un’unità vera, fondata sui interessi e i valori comuni, a partire dalle lotte reali. Che al momento sono poche, circoscritte, specifiche e vertenziali, isolate e spesso criminalizzate. Ma sono anche l’unica risorsa vera e viva da cui partire.
Per uscire dalla passività e dalla frammentazione politiche non serviva riunire “i capi” delle formazioni esistenti e stilare una piccola lista di “tesi condivise”. Serviva “una botta da matti”, un prendersi per i capelli e sollevarsi dalle sabbie mobili – come novelli Münchausen – e mettere al centro, in primo piano, quel che era finito ai margini e sullo sfondo. Ossia il bisogno di lavoro, salario, casa, socialità, welfare, sanità, istruzione, informazione, sovranità popolare sulle decisioni che riguardano la gente. E dunque vedere come interlocutori i protagonisti dei conflitti intorno a quei bisogni, i settori sociali direttamente coinvolti.
Se si mettono al centro gli interessi sociali, l’unità arriva quasi per forza di cose. Perché bisogna risolvere problemi simili, o addirittura identici, e si sta ad ascoltare chi ha una soluzione da proporre, non chi ha una lezioncina da impartire o un ego da esibire. Il contrario, insomma, di quanto avviene fin dalla triste epoca bertinottiana, in cui vigeva il principio “ognuno dice la sua”. E’ l’ora del più sano “chi non fa inchiesta non ha diritto di parola”, che si può anche tradurre come “se non hai niente da dire che ci aiuti ad andare avanti, statti zitto e ascolta”.
Senza neppure dirselo, è la differenza che si è avvertita tra l’assemblea di ieri e quella del Teatro Italia: quasi tutti gli interventi, ieri, sono stati “sul pezzo”, legando lotte locali o settoriali e quadro politico, nemico principale, soluzioni da trovare, unità da consolidare.
E’ un altro segnale della serietà con cui è stata raccolta la sfida. A cominciare dalla chiarezza con cui tutti – nessuno escluso – si sono messi in gioco per costruire un percorso che va molto al di là della scadenza elettorale. Tutti i protagonisti sanno benissimo che la sola presenza in Parlamento, con un gruppo presumibilmente piccolo di eletti, serve a poco, praticamente a nulla nell’epoca del “pilota automatico” con regia a Bruxelles e Francoforte. Ma sanno altrettanto bene che già solo l’impegno necessario a mandarceli costruisce legami, rapporti, fiducia reciproca, legami con il nostro blocco sociale; legami che vanno al di là delle singole vertenze (chi lotta in fabbrica può non avere il problema della casa e viceversa, chi si oppone a una grande opera vive al suo interno anche bisogni di altro tipo, diversi tra loro). In una parola, si costruisce rappresentanza politica e blocco sociale.
Questo è in fondo l’obiettivo principale, che va molto al di là della semplice rappresentanza elettorale, sia come scadenza temporale che come risultati da conseguire. E’ sufficiente pensare al fatto che i settori sociali più combattivi (lavoratori della logistica, braccianti, rifugiati) non possono votare, perché sono stranieri. La bellissima manifestazione del 16 dicembre ci ha restituito tutta la complessità del nostro blocco sociale nel XXI secolo.
Per ottenere il risultato occorreva mettere in campo passione e razionalità, entusiasmo e analisi concreta, testa alta nel conflitto e individuazione del nemico. E la prima è stata evidente, sensibile, travolgente, dal saluto rivolto dal rappresentante del popolo di Palestina fino alle conclusioni tracciate da Viola.
Non paradossalmente, proprio le esperienze concrete di lotta hanno portato chiarezza anche sul piano dell’analisi razionale. Il fantasma dell’Unione Europea, che qualcuno aveva provato a vestire con i panni della “categoria ideologica”, si è materializzato come nemico principale – insieme alla Nato – nelle parole di chi si batte per accogliere i migranti a Lampedusa e vede prendere corpo, anche fisicamente, all’”esercito europeo”. E lo stesso è avvenuto grazie alla testimonianza diretta di chi, nel Parlamento Europeo, ci siede. O da chi, come France Insoummise, forte del 20% raccolto pochi mesi fa, promette una campagna continentale contro la Ue in occasione delle elezioni del 2019.
Ogni bisogno sociale, del resto – dall’acciaieria di Terni (che dovrebbe essere smantellata perché alla Thyssen non interessa più e le “regole europee” vietano la nazionalizzazione) all’edilizia popolare (da lasciare al far west del “mercato”), dalla precarietà contrattuale e occupazionale all’allungamento dell’età pensionabile (con riduzione dell’assegno mensile!), dall’asilo d’infanzia alla ricerca scientifica, ecc. – si scontra con un quadro “legislativo” che viene da Bruxelles e irreggimenta fino all’ultimo anfratto sociale.
Anche su questo punto decisivo, insomma, il morto non è riuscito ad afferrare il vivo e soffocarlo.
#Poterealpopolo parte con il piede giusto, l’entusiasmo che era scomparso, la lucidità che non si trovava più, con “rappresentanti” veri e vivi di una classe disorientata ma ancora capace di resistenza. Il compito è far sì che questa resistenza, oggi per lo più localizzata, torni ad essere generale. Cioè politica.
Per questo la sfida va accettata e vinta.
Fonte
18/12/2017
Potere al popolo. La sfida è accettata e sarà “militante”
L’affollata assemblea tenutasi oggi al teatro Ambra Iovinelli di Roma, ha “accettato la sfida” del processo che porterà alla lista Potere al Popolo nelle prossime elezioni politiche. Per vedere concretamente questa opzione sul campo occorrerà raccogliere le firme necessarie in tutti i collegi elettorali, e bisognerà farlo rapidamente. Eppure, a giudicare dalla spinta e dal clima che si è respirato in una freddissima giornata di dicembre, anche questa tappa verrà affrontata con slancio, lo stesso che è stato imposto un mese fa dai compagni del centro Je So Pazzo di Napoli.
In qualche modo la natura e il ritmo del processo di Potere al Popolo, anche in questo, hanno imposto la dovuta discontinuità rispetto a certe estenuate liturgie della “sinistra”. Un dato leggibile dalle quasi settanta assemblee locali che si sono svolte tra la prima assemblea (18 novembre) e quella di oggi. Il dibattito provocato da questa proposta ha attraversato tutte le realtà che l’hanno guardata con interesse già da come si era presentata. La Piattaforma Eurostop ha visto una sua vivace assemblea nazionale discutere e poi decidere a maggioranza che l’esperimento andava tentato. Ma anche dentro i partiti comunisti “storici” la discussione e la decisione risulta non essere stata affatto semplice.
Eppure si capito che si è respirata aria diversa in questi trenta giorni e che hanno portato in tanti a dire “accettiamo la sfida” mediando dove era necessario e forzando dove era indispensabile. Potere al Popolo si è data gli strumenti minimi per cominciare a ingaggiarla: un simbolo (che pure è stata oggetto di molte discussioni) e un responsabile politico (imposto dalla legge elettorale) che è stato riconosciuto ai compagni di Napoli che si sono assunti la responsabilità di avviare il processo.
L’assemblea all’Ambra Iovinelli ha concesso poco, anzi pochissimo a liturgie e artifizi politicisti.
L’intervento introduttivo di una compagna di Napoli ha fatto riverberare con grinta parole, interlocuzioni sociali e indicazioni che sembravano seppellite nel pantano della politica messa a disposizione in questi anni dalla sinistra. A marcare la differenza è l’aver affidato il primo intervento a Bassam Saleh, compagno palestinese conosciuto e stimato, per rendere omaggio alla nuova Intifada ingaggiata dal popolo dei Territori Occupati. Hanno portato i loro contributo di esperienze sul campo i compagni spagnoli di Unidos/Podemos e di France Insoumise, confermando come negli altri paesi europei si abbia assai meno paura di parole come rottura con l’Unione Europea o recupero della sovranità di quanta, assurdamente, ce ne sia nei residui della sinistra italiana.
Prendono la parola donne che hanno segnato la storia recente dei movimenti sociali e del conflitto nel nostro paese: Haidi Giuliani e Nicoletta Dosio. Dalla lontanissima frontiera di Lampedusa ha portato l’intervento il collettivo Askavusa che agisce su quell’isola diventata oggetto della militarizzazione e del lato oscuro dell’Unione Europea. Toccherà poi ad un veterano come Giorgio Cremaschi per conto di Eurostop mettere nero su bianco la convinzione che la sfida di Potere al Popolo vada accettata con senso dell’unità e maturità da tutti. Lo storico napoletano Geppino Aragno, che ci ha creduto sin dall’inizio, è latore di un messaggio di augurio importante come quello di Luigi De Magistris.
I segretari del Pci, Mauro Alboresi, e del Prc, Maurizio Acerbo, confermano che accetteranno la sfida di Potere al Popolo. Prima di loro l’europarlamentare Eleonora Forenza aveva insistito molto su questo.
Molti interventi, ed è un fatto interessato e positivo, sottolineano come il dato della rottura con l’Unione Europea possa essere per un lato un obiettivo coerente con un impianto anticapitalista, per l’altro il vero elemento di sintonia con le altre forze alternative nei vari paesi europei. Si susseguono molti interventi – dal tenore del Teatro dell’Opera in via di licenziamento all’operaia di Almaviva licenziata e riassunta con una sentenza che ha fatto rumore, dagli universitaria della campagna Noi Restiamo a compagne e compagni dei territori pugliesi devastati dal Tap o ai giovani e giovanissimi compagni di Catania. E’ sferzante l’ironia dell’attrice e conduttrice Francesca Fornario che è stata subito della partita intorno alla sfida di Potere al Popolo.
A tirare le conclusioni è stata Viola Carofalo, giovane compagna di Je So Pazzo. Il suo richiamo è quello al lavoro sociale capillare, a sostituire con la guerriglia dei rapporti diretti la mancanza dei media mainstream, ad essere “militanti” in questa sfida, una parola rimossa o pronunciata quasi con pudore fino a questa mattina e che invece è tornata ad assumere il suo valore dinamico, includente, responsabilizzante di chi sa che questa sfida andrà giocata non tanto nel ristretto recinto del popolo della sinistra quanto nei settori sociali devastati e impoveriti da dieci anni di misure antipopolari e venticinque anni di sanguinosa, inutile e strumentale “riduzione del debito pubblico” imposta dall’Unione Europea dal trattato di Maastricht a oggi.
La sfida è stata accettata con entusiasmo dai quasi mille compagne e compagni che hanno affollato il teatro. Non bastano a fare il quorum, ma sono più che sufficienti per riattivare una militanza diffusa e motivata in tutto il paese, per ingaggiare finalmente la sfida con un nemico di classe che da troppo tempo non incontra nemici sul suo cammino, e che farà bene a cominciare a temere la rimessa in circolazione di una opzione che dichiara come programma “Potere al Popolo”.
Fonte
11/12/2017
Potere al popolo... ma veramente
Primo presupposto politico: credo che presentare alle elezioni una lista di sinistra, alternativa, anticapitalista e di classe sia un’opportunità importante ma non rappresenti la soluzione a tutte le aspettative e i bisogni di una fascia di cittadini e lavoratori sempre più ampia. E’ uno strumento, non il fine.
Secondo presupposto personale: non sono interessato a candidature. Dopo aver fatto sindacato per quasi 40 anni ed aver contribuito alla costruzione di quella reale alternativa a cgilcisluil che è USB, ho deciso di passare la mano a chi è più giovane o ha più energie di me. Politicamente iscritto a DP dal 1979 e poi a Rifondazione Comunista sino al 2006, quando ho assunto un ruolo di responsabilità nel sindacalismo di base, indipendente e di classe, oggi aderisco a Eurostop.
Allora... provo a sintetizzare alcune riflessioni personali su aspetti che sicuramente sono oggi all’ordine del giorno della discussione intorno e dentro la costruzione del progetto che si sta cercando di realizzare.
1. Non credo ci siano grandi problemi sui principali punti del programma... chiaramente dando per scontato che ognuno deve lasciare un 20% dei propri punti “irrinunciabili ” per costruire un percorso unitario. Che i partiti e le formazioni organizzate presenti, importanti per ciò che rappresentano, facciano però un passo indietro, di lato, avanti... insomma che si spostino dalla linea retta che si vuole seguire in questa partita e si mettano al servizio di un progetto o, come spesso è accaduto, prevarrà la divisione e la parzialità ancor prima di far comprendere alla gente che cosa vuole essere veramente questa ipotesi di lista alternativa.
2. Le candidature non devono essere costituite ed “imbottite” di organigrammi delle formazioni politiche. Senza nascondersi dietro un dito facendo finta che su questo aspetto specifico i problemi non esistano, si deve però necessariamente trovare un equilibrio tra la rappresentanza delle singole formazioni e la necessaria introduzione di una novità radicale, non solo generazionale, ma anche delle esperienze proposte.
3. Ho sentito parlare di simboli “necessari”, “indispensabili”, di falce e martello quasi come soluzione a qualsiasi problema... non prendiamoci in giro – e lo dice un comunista – nessun simbolo sostituisce la pratica e la lotta quotidiana. Servono militanza, idee chiare, intelligenza politica e valori per costruire l’alternativa e non certo la loro rappresentazione grafica.
4. Se questa vuole essere una lista popolare, alternativa, di sinistra, radicale nei contenuti e nel metodo, deve parlare con la lingua della gente e non in politichese. Il linguaggio e la comunicazione possono realmente essere lo strumento fondamentale in una campagna elettorale che non darà certo spazio a questa lista. Dobbiamo parlare ed esprimerci in modo tale da farci comprendere e scegliere da chi non ci conosce e non utilizzare il linguaggio e la propaganda che si usa da sempre all’interno dei partiti e dai movimenti di sinistra e comunisti, spesso compresa solo dai militanti.
5. Proprio perché si lavora in salita e con la certezza di essere ignorati da stampa e televisioni, la campagna deve orientarsi essenzialmente su due fronti: il primo è quello dell’azione diretta, della militanza, della propaganda strada per strada, posto di lavoro per posto di lavoro; il secondo strumento da utilizzare al massimo è la rete, i social, i siti, ecc.
Fonte
Secondo presupposto personale: non sono interessato a candidature. Dopo aver fatto sindacato per quasi 40 anni ed aver contribuito alla costruzione di quella reale alternativa a cgilcisluil che è USB, ho deciso di passare la mano a chi è più giovane o ha più energie di me. Politicamente iscritto a DP dal 1979 e poi a Rifondazione Comunista sino al 2006, quando ho assunto un ruolo di responsabilità nel sindacalismo di base, indipendente e di classe, oggi aderisco a Eurostop.
Allora... provo a sintetizzare alcune riflessioni personali su aspetti che sicuramente sono oggi all’ordine del giorno della discussione intorno e dentro la costruzione del progetto che si sta cercando di realizzare.
1. Non credo ci siano grandi problemi sui principali punti del programma... chiaramente dando per scontato che ognuno deve lasciare un 20% dei propri punti “irrinunciabili ” per costruire un percorso unitario. Che i partiti e le formazioni organizzate presenti, importanti per ciò che rappresentano, facciano però un passo indietro, di lato, avanti... insomma che si spostino dalla linea retta che si vuole seguire in questa partita e si mettano al servizio di un progetto o, come spesso è accaduto, prevarrà la divisione e la parzialità ancor prima di far comprendere alla gente che cosa vuole essere veramente questa ipotesi di lista alternativa.
2. Le candidature non devono essere costituite ed “imbottite” di organigrammi delle formazioni politiche. Senza nascondersi dietro un dito facendo finta che su questo aspetto specifico i problemi non esistano, si deve però necessariamente trovare un equilibrio tra la rappresentanza delle singole formazioni e la necessaria introduzione di una novità radicale, non solo generazionale, ma anche delle esperienze proposte.
3. Ho sentito parlare di simboli “necessari”, “indispensabili”, di falce e martello quasi come soluzione a qualsiasi problema... non prendiamoci in giro – e lo dice un comunista – nessun simbolo sostituisce la pratica e la lotta quotidiana. Servono militanza, idee chiare, intelligenza politica e valori per costruire l’alternativa e non certo la loro rappresentazione grafica.
4. Se questa vuole essere una lista popolare, alternativa, di sinistra, radicale nei contenuti e nel metodo, deve parlare con la lingua della gente e non in politichese. Il linguaggio e la comunicazione possono realmente essere lo strumento fondamentale in una campagna elettorale che non darà certo spazio a questa lista. Dobbiamo parlare ed esprimerci in modo tale da farci comprendere e scegliere da chi non ci conosce e non utilizzare il linguaggio e la propaganda che si usa da sempre all’interno dei partiti e dai movimenti di sinistra e comunisti, spesso compresa solo dai militanti.
5. Proprio perché si lavora in salita e con la certezza di essere ignorati da stampa e televisioni, la campagna deve orientarsi essenzialmente su due fronti: il primo è quello dell’azione diretta, della militanza, della propaganda strada per strada, posto di lavoro per posto di lavoro; il secondo strumento da utilizzare al massimo è la rete, i social, i siti, ecc.
Fonte
10/12/2017
“Potere al popolo” lancia la sfida. Il manifesto
E’ uscito questa mattina il manifesto di presentazione della proposta di lista popolare alle prossime elezioni. Sul programma continua il lavoro di confronto che sta raccogliendo decine di contributi e che dovrebbe definire i punti di convergenza. Qui di seguito il testo del manifesto. Domenica 17 dicembre ci sarà una nuova assemblea nazionale a Roma.
Abbiamo aspettato troppo… Ora ci candidiamo noi!
Siamo le giovani e i giovani che lavorano a nero, precari, per 800 euro al mese perché ne hanno bisogno, che spesso emigrano per trovare di meglio. Siamo lavoratori e lavoratrici sottoposte ogni giorno a ricatti sempre più pesanti e offensivi per la nostra dignità.
Siamo disoccupate, cassaintegrate, esodati.
Siamo i pensionati che campano con poco anche se hanno faticato una vita e ora non vedono prospettive per i loro figli.
Siamo le donne che lottano contro la violenza maschile, il patriarcato, le disparità di salario a parità di lavoro.
Siamo le persone LGBT discriminate sul lavoro e dalle istituzioni.
Siamo pendolari, abitanti delle periferie che lottano con il trasporto pubblico inefficiente e la mancanza di servizi. I malati che aspettano mesi per una visita nella sanità pubblica, perché quella privata non possono permettersela. Gli studenti con le scuole a pezzi a cui questo paese nega un futuro. Siamo le lavoratrici e i lavoratori che producono la ricchezza del paese.
Ma siamo anche quelli che non cedono alla disperazione e alla rassegnazione, che non sopportano di vivere in un’Italia sempre più incattivita, triste, impoverita e ingiusta. Ci impegniamo ogni giorno, organizzandoci in comitati, associazioni, centri sociali, partiti e sindacati, nei quartieri, nelle piazze o sui posti di lavoro, per contrastare la disumanità dei nostri tempi, il cinismo del profitto e della rendita, le discriminazioni di ogni tipo, lo svuotamento della democrazia.
Crediamo nella giustizia sociale e nell’autodeterminazione delle donne, degli uomini, dei popoli. Pratichiamo ogni giorno la solidarietà e il mutualismo, il controllo popolare sulle istituzioni che non si curano dei nostri interessi. In questi anni abbiamo lottato contro i licenziamenti, il Jobs Act, la riforma Fornero e quella della Scuola e dell’Università; contro la privatizzazione e i tagli della Sanità e dei servizi pubblici; per la difesa dei beni comuni, del patrimonio pubblico e dell’ambiente da veleni, speculazioni, mafie e corruzione, per i diritti civili; contro le politiche economiche e sociali antipopolari dell’Unione Europea; contro lo stravolgimento della Costituzione nata dalla Resistenza e per la sua attuazione. Per un mondo di pace, in cui le risorse disponibili siano destinate ai bisogni sociali e non alle spese militari. E ogni giorno ci impegniamo a costruire socialità, cultura e servizi accessibili a tutte e tutti.
Abbiamo deciso di candidarci alle elezioni politiche del 2018. Tutte e tutti insieme. Perché questo pezzo di paese escluso è ormai la maggioranza, e deve essere ascoltato. Perché se nessuno ci rappresenta, se nessuno sostiene fino in fondo le nostre battaglie, allora dobbiamo farlo noi. Perché siamo stanchi di aspettare che qualcuno venga a salvarci...
Abbiamo deciso di candidarci per creare un fronte contro la barbarie, che oggi ha mille volti: la disoccupazione, il lavoro che sfrutta e umilia, le guerre, i migranti lasciati annegare in mare, la violenza maschile contro le donne, un modello di sviluppo che distrugge l’ambiente, i nuovi fascismi e razzismi, la retorica della sicurezza che diventa repressione.
Abbiamo deciso di candidarci facendo tutto al contrario. Partendo dal basso, da una rete di assemblee territoriali in cui ci si possa incontrare, conoscere, unire, definire i nostri obiettivi in un programma condiviso. Vogliamo scegliere insieme persone degne, determinate, che siano in grado di far sentire una voce di protesta, che abbiano una storia credibile di lotta e impegno, che rompano quell’intreccio di affari, criminalità, clientele, privilegi, corruzione.
Potere al Popolo significa costruire democrazia reale attraverso le pratiche quotidiane, le esperienze di autogoverno, la socializzazione dei saperi, la partecipazione popolare. Per noi le prossime elezioni non sono un fine bensì un mezzo attraverso il quale uscire dall’isolamento e dalla frammentazione, uno strumento per far sentire la voce di chi resiste, e generare un movimento che metta al centro realmente i nostri bisogni.
Vogliamo unire la sinistra reale, quella invisibile ai media, che vive nei conflitti sociali, nella resistenza sui luoghi di lavoro, nelle lotte, nei movimenti contro il razzismo, per la democrazia, i beni comuni, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace.
Affronteremo questa campagna elettorale con gioia, umanità ed entusiasmo. Con la voglia di irrompere sulla scena politica, rivoltando i temi della campagna elettorale. Non abbiamo timore di fallire, perché continueremo a fare – prima, durante e dopo l’appuntamento elettorale – quello che abbiamo sempre fatto: essere attivi sui nostri territori. Perché ogni relazione costruita, ogni vertenza che avrà acquisito visibilità e consenso, ogni persona strappata all’apatia e alla rassegnazione per noi sono già una vittoria. Non stiamo semplicemente costruendo una lista, ma un movimento popolare che lavori per un’alternativa di società ben oltre le elezioni.
Insieme possiamo rimettere il potere nelle mani del popolo, possiamo cominciare a decidere delle nostre vite e delle nostre comunità. Chi accetta la sfida?
#accettolasfida #poterealpopolo
Per sottoscrivere il manifesto scrivi a accettolasfida2018@gmail.com
Fonte
Abbiamo aspettato troppo… Ora ci candidiamo noi!
Siamo le giovani e i giovani che lavorano a nero, precari, per 800 euro al mese perché ne hanno bisogno, che spesso emigrano per trovare di meglio. Siamo lavoratori e lavoratrici sottoposte ogni giorno a ricatti sempre più pesanti e offensivi per la nostra dignità.
Siamo disoccupate, cassaintegrate, esodati.
Siamo i pensionati che campano con poco anche se hanno faticato una vita e ora non vedono prospettive per i loro figli.
Siamo le donne che lottano contro la violenza maschile, il patriarcato, le disparità di salario a parità di lavoro.
Siamo le persone LGBT discriminate sul lavoro e dalle istituzioni.
Siamo pendolari, abitanti delle periferie che lottano con il trasporto pubblico inefficiente e la mancanza di servizi. I malati che aspettano mesi per una visita nella sanità pubblica, perché quella privata non possono permettersela. Gli studenti con le scuole a pezzi a cui questo paese nega un futuro. Siamo le lavoratrici e i lavoratori che producono la ricchezza del paese.
Ma siamo anche quelli che non cedono alla disperazione e alla rassegnazione, che non sopportano di vivere in un’Italia sempre più incattivita, triste, impoverita e ingiusta. Ci impegniamo ogni giorno, organizzandoci in comitati, associazioni, centri sociali, partiti e sindacati, nei quartieri, nelle piazze o sui posti di lavoro, per contrastare la disumanità dei nostri tempi, il cinismo del profitto e della rendita, le discriminazioni di ogni tipo, lo svuotamento della democrazia.
Crediamo nella giustizia sociale e nell’autodeterminazione delle donne, degli uomini, dei popoli. Pratichiamo ogni giorno la solidarietà e il mutualismo, il controllo popolare sulle istituzioni che non si curano dei nostri interessi. In questi anni abbiamo lottato contro i licenziamenti, il Jobs Act, la riforma Fornero e quella della Scuola e dell’Università; contro la privatizzazione e i tagli della Sanità e dei servizi pubblici; per la difesa dei beni comuni, del patrimonio pubblico e dell’ambiente da veleni, speculazioni, mafie e corruzione, per i diritti civili; contro le politiche economiche e sociali antipopolari dell’Unione Europea; contro lo stravolgimento della Costituzione nata dalla Resistenza e per la sua attuazione. Per un mondo di pace, in cui le risorse disponibili siano destinate ai bisogni sociali e non alle spese militari. E ogni giorno ci impegniamo a costruire socialità, cultura e servizi accessibili a tutte e tutti.
Abbiamo deciso di candidarci alle elezioni politiche del 2018. Tutte e tutti insieme. Perché questo pezzo di paese escluso è ormai la maggioranza, e deve essere ascoltato. Perché se nessuno ci rappresenta, se nessuno sostiene fino in fondo le nostre battaglie, allora dobbiamo farlo noi. Perché siamo stanchi di aspettare che qualcuno venga a salvarci...
Abbiamo deciso di candidarci per creare un fronte contro la barbarie, che oggi ha mille volti: la disoccupazione, il lavoro che sfrutta e umilia, le guerre, i migranti lasciati annegare in mare, la violenza maschile contro le donne, un modello di sviluppo che distrugge l’ambiente, i nuovi fascismi e razzismi, la retorica della sicurezza che diventa repressione.
Abbiamo deciso di candidarci facendo tutto al contrario. Partendo dal basso, da una rete di assemblee territoriali in cui ci si possa incontrare, conoscere, unire, definire i nostri obiettivi in un programma condiviso. Vogliamo scegliere insieme persone degne, determinate, che siano in grado di far sentire una voce di protesta, che abbiano una storia credibile di lotta e impegno, che rompano quell’intreccio di affari, criminalità, clientele, privilegi, corruzione.
Potere al Popolo significa costruire democrazia reale attraverso le pratiche quotidiane, le esperienze di autogoverno, la socializzazione dei saperi, la partecipazione popolare. Per noi le prossime elezioni non sono un fine bensì un mezzo attraverso il quale uscire dall’isolamento e dalla frammentazione, uno strumento per far sentire la voce di chi resiste, e generare un movimento che metta al centro realmente i nostri bisogni.
Vogliamo unire la sinistra reale, quella invisibile ai media, che vive nei conflitti sociali, nella resistenza sui luoghi di lavoro, nelle lotte, nei movimenti contro il razzismo, per la democrazia, i beni comuni, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace.
Affronteremo questa campagna elettorale con gioia, umanità ed entusiasmo. Con la voglia di irrompere sulla scena politica, rivoltando i temi della campagna elettorale. Non abbiamo timore di fallire, perché continueremo a fare – prima, durante e dopo l’appuntamento elettorale – quello che abbiamo sempre fatto: essere attivi sui nostri territori. Perché ogni relazione costruita, ogni vertenza che avrà acquisito visibilità e consenso, ogni persona strappata all’apatia e alla rassegnazione per noi sono già una vittoria. Non stiamo semplicemente costruendo una lista, ma un movimento popolare che lavori per un’alternativa di società ben oltre le elezioni.
Insieme possiamo rimettere il potere nelle mani del popolo, possiamo cominciare a decidere delle nostre vite e delle nostre comunità. Chi accetta la sfida?
#accettolasfida #poterealpopolo
Per sottoscrivere il manifesto scrivi a accettolasfida2018@gmail.com
Fonte
09/12/2017
“Abbiamo accettato la sfida”. Domenica 17/12 assemblea nazionale a Roma
Costruiamo una lista popolare per le prossime elezioni politiche! Il 18 novembre 800 persone hanno riempito il Teatro Italia. Quando abbiamo lanciato quella proposta non pensavamo che così tante e tanti potessero accoglierla e immediatamente mobilitarsi a partire dai loro territori, dalla loro quotidianità.
Evidentemente la stanchezza e l’insoddisfazione ad assistere impotenti al rituale per cui sempre le stesse persone, senza rompere con chi ha affossato le classi popolari di questo paese, si candidano a rappresentare “la sinistra” sono sentimenti diffusi e radicati.
Così come è diffusa, però, la voglia di costruire percorsi nuovi, radicali, aperti, che nascano e si sviluppino in connessione con il popolo e le sue esigenze, che tutelino ambiente, sanità, istruzione, lavoro, giustizia sociale, solidarietà, che stiano al fianco dei più deboli, alla maggioranza della popolazione.
Questo messaggio, semplice, lanciato prima da un video che ha fatto il giro dei social e poi da tante e tanti intervenuti dal palco del Teatro Italia il 18 novembre, ha attraversato tutto il paese, dal profondo sud al nord della penisola.
Qualcosa di imprevedibile si è prodotto. 60 assemblee convocate in tutte le regioni, in tante province, si sono messi all’opera reti, associazioni, comitati, attivisti ma anche tante persone che hanno semplicemente a cuore il presente e il futuro di questo paese e non vogliono più subire governi scellerati. Ne è venuto fuori un programma elaborato collettivamente, a cui ogni gruppo attivo e ogni singolo sta contribuendo con integrazioni e aggiunte, suggerimenti e idee a partire anche dalle istanze che vivono nel territorio di provenienza.
A distanza di un mese dalla scorsa assemblea e a fronte del percorso iniziato riconvochiamo un nuovo appuntamento nazionale a Roma per mostrarci a tutto il paese e ai media che continuano a tacere, per ricominciare, per non smettere di costruire qualcosa che vada da qui a cinque, a dieci anni. Ricominciamo a pensare di poter fare la storia, di poter dare potere al popolo, alla maggioranza che non decide mai e subisce! Perché non possiamo sognare, e realizzare un poco alla volta questo sogno?
DOMENICA 17 DICEMBRE ASSEMBLEA NAZIONALE A ROMA ORE 10 [A BREVE INDICAZIONI SUL LUOGO PRECISO!]
Fonte
Evidentemente la stanchezza e l’insoddisfazione ad assistere impotenti al rituale per cui sempre le stesse persone, senza rompere con chi ha affossato le classi popolari di questo paese, si candidano a rappresentare “la sinistra” sono sentimenti diffusi e radicati.
Così come è diffusa, però, la voglia di costruire percorsi nuovi, radicali, aperti, che nascano e si sviluppino in connessione con il popolo e le sue esigenze, che tutelino ambiente, sanità, istruzione, lavoro, giustizia sociale, solidarietà, che stiano al fianco dei più deboli, alla maggioranza della popolazione.
Questo messaggio, semplice, lanciato prima da un video che ha fatto il giro dei social e poi da tante e tanti intervenuti dal palco del Teatro Italia il 18 novembre, ha attraversato tutto il paese, dal profondo sud al nord della penisola.
Qualcosa di imprevedibile si è prodotto. 60 assemblee convocate in tutte le regioni, in tante province, si sono messi all’opera reti, associazioni, comitati, attivisti ma anche tante persone che hanno semplicemente a cuore il presente e il futuro di questo paese e non vogliono più subire governi scellerati. Ne è venuto fuori un programma elaborato collettivamente, a cui ogni gruppo attivo e ogni singolo sta contribuendo con integrazioni e aggiunte, suggerimenti e idee a partire anche dalle istanze che vivono nel territorio di provenienza.
A distanza di un mese dalla scorsa assemblea e a fronte del percorso iniziato riconvochiamo un nuovo appuntamento nazionale a Roma per mostrarci a tutto il paese e ai media che continuano a tacere, per ricominciare, per non smettere di costruire qualcosa che vada da qui a cinque, a dieci anni. Ricominciamo a pensare di poter fare la storia, di poter dare potere al popolo, alla maggioranza che non decide mai e subisce! Perché non possiamo sognare, e realizzare un poco alla volta questo sogno?
DOMENICA 17 DICEMBRE ASSEMBLEA NAZIONALE A ROMA ORE 10 [A BREVE INDICAZIONI SUL LUOGO PRECISO!]
Fonte
Iscriviti a:
Post (Atom)