«La finestra per l'attacco all'Iran è
tra marzo e la prossima estate, tra l'invio dagli Stati Uniti di mezzi e
uomini nel Golfo e le presidenziali iraniane». Amir Rappaport,
editorialista ed uno dei più noti esperti militari di Israele,
risponde alle nostre domande con voce calma, senza tradire alcuna
emozione. «In questo quadro - aggiunge Rappaport - l'attacco aereo di
martedì notte contro la Siria è un messaggio forte inviato al
presidente Bashar Assad e allo stesso tempo è il segnale che qualcosa
di importante si sta preparando nella regione». Israele, ha concluso
l'esperto, «non è mai stato così vicino ad una guerra alla frontiera
settentrionale dalla fine del conflitto con Hebzollah nel 2006».
Poche
frasi ma chiarissime, che non lasciano spazio ad intepretazioni. Il
mondo segue distratto ciò che accade in Medio Oriente mentre Israele
prepara le sue forze armate. E che qualcosa sia cambiato lo hanno
capito proprio i cittadini israeliani che fino alla scorsa estate non
credevano alla minaccia di guerra all'Iran lanciata un giorno sì e uno
no dal premier Netanyahu. La pausa elettorale è terminata e tornano ad
affollarsi i centri del «fronte interno» dove si distribuiscono le
maschere antigas.
A rendere più
pesante il clima è anche il cambio di tono dell'Amministrazione Obama
all'inizio del secondo mandato. Il nuovo segretario alla difesa Chuck
Hagel ha già messo da parte le ali della colomba e le ha sostituite con
quelle del falco. Noto fino a qualche settimana fa come un sostenitore
della linea del dialogo con Tehran - e per questo attaccato dai
neocons Usa e dalle lobby filo-Israele - Hagel ha subito lanciato un
avvertimento alla Repubblica islamica: si sono accorciati i tempi per
un accordo diplomatico sul programma nucleare iraniano. E ieri, davanti
ai senatori della commissione delle forze armate, è stato fin troppo
esplicito quando ha promesso che non esiterà «ad usare tutta la forza
militare degli Stati Uniti per garantire la sicurezza del paese». Ha
confermato che nel caso dell'Iran tutte le opzioni sono sul tavolo,
quindi anche la guerra, e che opererà per assicurare che Israele
mantenga la sua superiorità militare in Medio Oriente.
Si
è parlato non poche volte di «rapporti difficili» tra Barack Obama e
il premier israeliano Netanyahu. Ma quando in ballo ci sono interessi
strategici comuni, Israele e Usa sono fratelli gemelli. Tel Aviv aveva
informato Washington della sua intenzione di attaccare in Siria, stando a
quanto rivelato da funzionari Usa al New York Times. Ottenendo,
evidentemente il via libera, come nel 2007 quando i cacciabombardieri
israeliani colpirono un presunto reattore nucleare in costruzione nel
nord della Siria. Gli Stati Uniti ieri hanno preso apertamente le parti
di Israele intimando a Damasco di non «destabilizzare la regione con
trasferimenti di armi agli Hezbollah».
Secondo
il Wall Street Journal, Israele prima di lanciare il raid aereo -
resta un mistero l'obiettivo: un convoglio con batterie di missili
antiaerei SA17 diretto in Libano o un centro di ricerche vicino Damasco
- avrebbe ridimensionato le possibilità di una reazione siriana nonchè
di Hezbollah e dell'Iran. Ieri in verità Damasco e Tehran hanno fatto
la voce grossa. «Ci saranno serie conseguenze per la città israeliana
di Tel Aviv», ha avvertito il viceministro degli esteri iraniano. Una
minaccia rilanciata dall'ambasciatore siriano in Libano, Ali Abdul
Karim, che ha affermato che Damasco si riserva il diritto di compiere
una rappresaglia «a sorpresa». Il governo siriano si è anche rivolto
all'Onu per invocare un intervento di «forze internazionali». Si è
probabilente riferito all'Undof, la forza d'interposizione delle Nazioni
Unite, schierata dal 1974 sulle Alture del Golan siriane occupate da
Israele.
Per ora la reazione è arrivata solo dall'«Esercito elettronico siriano», gli hacker siriani che ieri hanno aggredito decine di siti israeliani. Si registrano poi le reazioni della Lega araba che con il suo segretario generale, Nabil al Araby, ha parlato di «aggressione odiosa» contro la Siria che ha il diritto di proteggere la sua sovranità territoriale. E dell'Egitto che ha condannato il raid aereo. Molto «preoccupata» si è detta la Russia alleata del presidente siriano Bashar Assad.
L'impennata della tensione dopo l'attacco israeliano non poteva non avere riflessi nella guerra civile siriana. Il movimento sciita libanese Hezbollah, indicato come il presunto destinatario del convoglio di armi che Israele avrebbe distrutto, afferma in un comunicato che l'accaduto rivela le vere ragioni del conflitto in Siria, ossia indebolire le forze armate di Bashar Assad e il loro ruolo nella resistenza (contro Israele) e completare «il grande complotto contro i nostri popoli arabi e musulmani».
Al contrario il capo della Coalizione delle forze di opposizione siriana ha colto l'occasione per lanciare un nuovo duro attacco al regime. «Bashar vergognati... lasci l'aviazione israeliana colpire la Siria... mentre i tuoi aerei sanno bombardare solo forni per il pane, moschee, università e civili...», ha scritto Ahmad Muaz al Khatib sul suo profilo in Facebook. I ribelli siriani, armati e pagati dai paesi del Golfo (che non hanno commentato in alcun modo l'attacco aereo israeliano), temono che il raid israeliano offra al governo siriano nuovi argomenti per accusare gli oppositori di far parte di un complotto regionale ed occidentale volto a colpire prima la Siria, poi l'Iran e Hezbollah. D'altronde gli stessi israeliani pensano di aver fornito un «assist» a Bashar Assad. «Ora Assad può citare l'attacco come esempio del complotto contro di lui e il suo regime», ha scritto il quotidiano Haaretz.
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