Il
recente cattivo andamento del mercato televisivo, assieme a quello
della raccolta pubblicitaria e l’impossibilità di trovare veri
investitori esteri, consigliavano, infatti, a Mediaset un ritorno più
aggressivo nel ramo politico per garantirsi come soggetto mediale. Le
ristrutturazioni di personale, i bilanci Mediaset in rosso di questi
mesi sono stati poi contemporanei a fenomeni fin qui sconosciuti per
Arcore. Come la tornata di nomine Rai, quella di ottobre, sfavorevole
agli interessi delle tv e della raccolta pubblicitaria di Berlusconi.
Prima dell’inizio dell’inverno c‘erano quindi tutte le condizioni per un
ritorno alla grande di Berlusconi in politica, in luogo del pallido
Alfano, per cercare di ritrovare un consenso che assicurasse qualche
vestigia del passato. Quando, non molti anni fa, tutti i grandi gruppi
facevano a gara per gonfiare la pubblicità Mediaset e i manager Rai lavoravano in stato d'armonia con
Arcore.
E’ ancora presto per valutare
se la mossa del ritorno di Berlusconi abbia dato qualche frutto a
Mediaset. Anche perché va capita, e non è fatto scontato, la tenuta del
gruppo parlamentare del Pdl dopo le elezioni. Ma per ristrutturare il
mercato televisivo in modo a lui favorevole, Berlusconi non si è
limitato a buttarsi di nuovo nel ramo politica ma si è anche occupato
del riassetto del settore tv. Non si può leggere in altro modo la
formalizzazione dell’offerta di acquisto, da parte del gruppo Cairo, per
La7. Perché se è vero che la Cairo Communications è anche un gruppo
concorrente di Mondadori - diverse riviste di Mondadori hanno chiuso o
ristrutturato a causa dell’aggressività delle riviste di Cairo - la
stessa carriera del candidato futuro proprietario de La7 è cominciata
come assistente di Berlusconi. Senza dover ricostruire la catena di
possibili sinergie, in campo comunicativo e pubblicitario, tra
Berlusconi e Cairo basti un particolare. La formalizzazione del
processo di vendita de La7 a Cairo è stata annunciata, e difesa, da un
particolare personaggio che siede nel consiglio di amministrazione di
Telecom. Si tratta di Tarek Ben Ammar, uno dei soci storici del
commodoro di Arcore tanto da difendere pubblicamente Berlusconi in
decine di interviste. E’ evidente quindi che la vendita de La7 sta
passando attraverso il benestare di Arcore. E chissà cosa vuol dire
Bersani quando afferma di non sapere se ci sono rapporti tra Cairo e
Berlusconi. Attendismo o premessa di accordo sui nuovi assetti
televisivi?
Per Telecom la vendita de
La7, scorporata dalle frequenze per il digitale un giorno utili per
gli smartphone, rappresenta la dismissione di un ramo fortemente in
perdita. Tanto che l’accordo con Cairo prevede che Telecom si accolli
tutti i debiti dell’ultimo anno di gestione. L’importante, per il
gestore privato di telefonia mobile, è fermare l’emorragia di perdite
provocata da La7 in assenza di un piano di investimenti. Per Cairo, che
è già gestore della pubblicità de La7 fino al 2019, si tratta di
governare una azienda che conosce. Non a caso, in una intervista, ha
dichiarato che sarà difficile produrre velocemente profitti con La7.
Premessa di dismissioni forti nell’azienda o di una ulteriore vendita
ad altro gruppo magari Mediaset?
Per
ora siamo nel campo delle ipotesi. Il punto, come dice un manager de
La7, è che adesso la tv è scorporata da una serie di sinergie aziendali
che le potevano permettere di crescere. Con i tagli previsti, nelle
interviste, da Cairo si ferma lo sviluppo di un importante concorrente
politico, sul campo delle news e dell’approfondimento, alla Rai e a
Mediaset. Se si conferma un processo di cannibalizzazione delle risorse
finanziarie de La7, o di una sua riduzione del peso delle notizie
nell’ambito del palinsesto, siamo quindi di fronte ad un mercato
televisivo, e della raccolta pubblicitaria, che si normalizza
ulteriormente sul fronte delle news. Questo di fronte ad un’offerta
televisiva che, fino a pochi anni fa, di fatto rappresentava il pezzo
forte delle strategie di comunicazione, dando quindi un vantaggio
strategico a Berlusconi, di quasi tutto l’arco della politica
istituzionale. Le elezioni, con la tv che ha promosso sostanzialmente
solo tre soggetti (Berlusconi, Bersani, Monti), ci faranno capire quale è
oggi, dopo diverse rivoluzioni tecnologiche, l’impatto politico di
questa offerta televisiva. Ma le elezioni ci faranno capire anche
un’altra cosa. Quale sarà il destino reale de La7.
Da
oltre un quarto di secolo infatti, equilibri politico-istituzionali ed
equilibri del mercato televisivo e pubblicitario viaggiano a braccetto. Bersani ha detto
che, se andrà al governo, metterà mano al conflitto di interessi. Senza
dire come. Perché qui i dettagli contano: è dall’appoggio pubblico di
Veltroni alle ragioni del decreto Craxi pro-Berlusconi del 1984 (!),
che garantì al PCI la terza rete, che il principale partito della
sinistra (sotto varie denominazioni) si defila sui provvedimenti verso
le televisioni di Arcore. Come ha fatto nelle due legislature in cui è
stato al governo. Perché gli assetti televisivi erano garanzia di
assetti politici anche in presenza di conflitti (e le due parti, con
Monti, alla fine un governo assieme l’hanno appoggiato e votato).
Stavolta magari sarà diverso ma, se ne stia certi, con Arcore si
cercherà un accordo non un conflitto. Per il bene del paese, guai a
pensare il contrario.
redazione
redazione
19 febbraio 2013
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