"Serve una proposta politica di rottura". Un documento della Rete dei Comunisti sulla prossima scadenza elettorale.
Anche in questa campagna elettorale, come avviene ormai
dagli ultimi venti anni, si assiste all’offuscamento della ragione,
della capacità di analisi o di distinzione tra i processi reali e quelli
virtuali. Si riafferma insomma quel teatrino della politica dal quale
sembra difficile prendere le distanze, tenendo conto che si svolge solo
su onnipresenti programmi televisivi fatti a fotocopia, teatrini dove
ognuno recita la sua parte fino alla nausea.
Nell’attuale
scadenza elettorale quella che si sta perdendo è la consapevolezza che,
qualunque sia il risultato elettorale, le politiche del nostro paese
sono state già scritte dagli apparati di Bruxelles, cioè dalla BCE e
dall’Unione Europea. Ormai siamo dentro la prospettiva degli “Stati
Uniti d’Europa” - che in nome della competizione globale rilanciano una
contraddittoria interlocuzione con gli Stati Uniti d’America - nei quali
la democrazia rappresentativa da noi vissuta fino ad oggi, è diventata
un fenomeno virtuale e dove alla quantità di luoghi comuni e promesse
evocati, corrisponde il vuoto totale della capacità di decisione popolare
sulle priorità del paese.
Le valutazioni sulle forze oggi in
campo nella competizione elettorale non possono quindi prescindere dal
contesto generale affermatosi nel corso degli ultimi decenni.
1.
In questa tornata il PD è il partito che ha dimostrato di avere
maggiore capacità progettuale e tenuta dell’organizzazione politica. Lo
si può verificare dietro gli eventi dei mesi passati: dalle primarie per
il leader fino a quelle sui candidati di lista, dalla cultura e pratica
del partito di massa che ha caratterizzato il PCI e la DC nel nostro
paese e che il PD ha saputo coniugare con la sua prospettiva politica.
Si conferma inoltre il carattere nazionale del partito, in quanto il PD è
rimasto l’unico partito ad avere una base su tutto il territorio a
differenza delle altre forze che si caratterizzano per i loro punti di
forza locali. Nonostante la capacità strategica dimostrata da Bersani e
dal gruppo dirigente del PD, incluso Renzi, i limiti contro cui cozza
frontalmente il progetto del PD sono quelli del carattere della società
italiana.
Su questo aspetto, la Rete dei Comunisti fin dagli
anni ’90, ha apertamente polemizzato con la sinistra più o meno
antagonista, contrastando l’analisi su Berlusconi “fascista” e invitando
piuttosto a guardare la base sociale di quella espressione politica più
che la sua rappresentazione. Questa base è la parte della società
uscita sconfitta dalla svolta imposta dal Trattato di Maastricht, da
Tangentopoli ed anche dalla scomparsa del PCI. Si tratta di un vasto
pezzo di società che, rimasto ormai senza prospettive materiali e senza
riferimenti culturali, ha guardato e guarda ormai solo alla concretezza
immediata. E' questa, in sintesi, quella pancia del paese che ha
risposto e risponde sistematicamente alla sirena di Berlusconi, anche
dopo aver sperimentato prima le parentesi dei governi di centro
sinistra.
2.
A questa condizione di disgregazione e di assenza di riferimenti, oggi
si aggiungono gli effetti della crisi che sta producendo disperazione
nei cosiddetti ceti medi, dipendenti e subordinati, e che amplia quella
pancia - già “maggioritaria” nel paese - alla quale anche la promessa di
non pagamento dell’IMU è sufficiente affinché si orienti
elettoralmente. E’ qui che pesca il recupero nei sondaggi del player
Berlusconi, il quale difficilmente potrà essere contrastato
efficacemente indicando la prospettiva di ulteriori sacrifici in nome
dell'Unione Europea, magari più equi, come promettono Monti e Bersani,
ma sempre ed ovviamente senza toccare rendite finanziarie e patrimoni.
Ciò non significa che il Popolo delle Libertà abbia di nuovo in tasca la
vittoria, in quanto la rinnovata alleanza, con la Lega, esce comunque
da una sconfitta politica, economica e giudiziaria e perché nella stessa
“pancia profonda” del paese oggi pescano anche altre forze. Una parte
viene attirata da Monti assai più che dai centristi, un’altra piccola
parte dalla lista di Giannino e dalla destra, ma una parte più
consistente e delusa andrà a votare il Movimento 5 Stelle di Beppe
Grillo mossa da rabbia e rifiuto della politica.
3.
Probabilmente il quadro che uscirà dalle elezioni sarà quello già
pronosticato di un governo Bersani-Monti, cioè di un fedele esecutore
delle direttive europee e della “integrazione/digestione” dell’attuale
assetto economico e sociale nelle compatibilità dell’Unione Europea. Le
attuali fibrillazioni nelle relazioni tra centristi e centrosinistri
sono motivate dalle dinamiche della campagna elettorale, ma dopo il rito
del voto, Vendola non potrà che prendere atto della situazione e
adeguarsi di conseguenza. In Vendola, tra l'altro, non si intravedono
nemmeno i residui del vecchio bertinottismo che al tempo di Prodi fece
correre un brivido lungo la schiena di tutto il paese. Sarà con questa
condizione che si dovrà fare i conti nella prossima legislatura dove la
lotta di classe dall’alto troverà ben pochi freni e dove, al contrario,
la necessità di ricomposizione delle forze politiche e sociali realmente
indipendenti sul piano degli interessi di classe troverà sempre più
motivazioni nella realtà. Sul lato dell'opposizione, la presenza dei
grillini in parlamento sarà indubbiamente consistente come mostrano i
sondaggi, ma appare assai meno garantita la tenuta politica unitaria di
quella formazione dopo le elezioni.
4.
Infine riteniamo necessario esprimere un giudizio sui caratteri della
lista “Rivoluzione Civile” che nei sondaggi sembra possa raggiungere il
4% dei voti alla Camera ma non superare il quorum al Senato. L'elemento
decisivo non sono tanto le forme che oggi ha assunto questa lista dove
convivono storie politicamente e socialmente molto diverse se non
addirittura in contrasto. Più importante è esprimere un giudizio sulla
natura della operazione fatta con Rivoluzione Civile e con l'ingresso di
Ingroia in politica.
In primo luogo va detto che questa lista è
in netta discontinuità con quei tentativi avviati nei mesi scorsi quali
ALBA o “Cambiare Si Può”, anzi ha determinato la disgregazione di
quelle ipotesi che si rifacevano in modo più diretto alla cultura di
sinistra del nostro paese.
In secondo luogo, quando si mettono
assieme e diventano centrali personaggi quali Ingroia, De Magistris e
soprattutto Di Pietro, quello che viene in mente è che esiste una parte
degli apparati dello Stato (non solo la magistratura perché Di Pietro
forse indica anche qualcosa di più) che nel conflitto interno a quegli
apparati ha deciso di usare anche lo strumento politico-elettorale. Di
questo si trova qualche traccia anche nella stesura delle liste che
sotto l'ambiguo ombrello di “società civile” annovera anche soggetti
piuttosto anomali.
Il dato che si è imposto, ha scompaginato i
precedenti tentativi di ricomposizione e oggi caratterizza quasi a
livello totale la personalizzazione (ancora un altro guru) della lista.
Non sono irrilevanti, in tal senso, le reazioni a cui abbiamo assistito
con la candidatura di Pietro Grasso nel PD, la polemica con la
Boccassini, e l’antefatto dello scontro con Napolitano sulla trattativa
Stato-mafia. Sono tutti indicatori del conflitto interno agli apparati
dello Stato che lo rendono plastico, evidente sotto ai nostri occhi.
Il punto politico che però va colto, determinante per l'oggi e il
domani, non è tanto quello della prevalenza dei magistrati in lista ma
quello della indipendenza politica. Con l’appello alla tattica si può
giustificare tutto, e si giustifica, anche la scomparsa di ogni
riferimento formale alla sinistra, ai comunisti ed alla lotta di classe
nella formazione di una lista elettorale, ma quello che diviene
incomprensibile è come si fa ad affermare che una tale lista sia
indipendente dal centro sinistra.
Le continue avance fatte da
Ingroia e da Di Pietro al PD sono in realtà l’espressione politica
esplicita della natura della stessa lista e della sua contraddizione. Se
quella che infatti si manifesta è una contraddizione interna agli
apparati statali, l’indipendenza elettorale della lista è di fatto la
copertura ad una indipendenza politica sostanzialmente impossibile. Non
si può, infatti, pensare che una prospettiva di rottura reale a sinistra
possa venire da una dialettica interna alle istituzioni, per quanto
questa possa essere o apparire dura e conflittuale.
E’ chiara a
tutti la forza delle attuali istituzioni dalle cui intime contraddizioni
è decisamente improbabile che possano nascere alternative strategiche,
magari a partire dalla questione democratica. In Italia, infatti,
l’egemonia delle classi dominanti e dei suoi apparati, nonostante la
crisi, rimane ancora incontrastata anche nel “senso comune” del paese.
Una volta passata la scadenza elettorale e le sue divaricazioni
congiunturali, le “fazioni” oggi in lotta possono di nuovo arrivare ad
un punto di sintesi sulle questioni giudiziarie, vero centro della
contraddizione in atto.
E’ questo gioco ambiguo e
contraddittorio tra indipendenza formale e sostanziale che non ci
convince. Privilegiare di nuovo una tattica, forse potrà portare al PRC e
al PDCI qualche deputato in parlamento, ma porterà certamente ad una
nuova sconfitta e a una nuova delusione chi – in questa società e dentro
la crisi in atto - si sente ancora comunista e di sinistra,
conducendoli dentro un “errore” che questa volta può divenire “tombale”,
forse ancor più di quello del 2008 con la lista Arcobaleno.
5. Siamo
convinti che nel corso concreto della crisi il dato strategico del
rilancio di una proposta politica di rottura e di cambiamento del quadro
politico, economico e sociale del paese ritrovi spazio oggettivo e
riteniamo che questo debba tornare ad essere prevalente per la sinistra
di classe, ragione per cui ogni scelta tattica non può che partire da
questa prospettiva.
Occorre dunque non nascondere ma rendere
visibile la funzione dei comunisti, rafforzare il conflitto politico e
sociale senza coprirlo sotto il tappeto del giustizialismo di sinistra,
dichiararsi ed agire esplicitamente contro il pagamento del debito
“sovrano”, per le nazionalizzazioni di banche e imprese strategiche e
per la rottura della Unione Europea nella prospettiva di un nuovo
internazionalismo. Sono questi gli elementi rispetto ai quali la
clandestinità politica della sinistra di classe non può che portare
ulteriori danni.
La prospettiva che la Rete dei Comunisti ha
inteso perseguire in questi anni e in quelli che ci aspettano al varco, è
stata e rimane diversa e alternativa alle opzioni che ci vengono
riproposte anche in questa campagna elettorale.
15 febbraio 2013
La segreteria nazionale della Rete dei Comunisti
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