Trivellazioni, corsa all'accaparramento energeticom rischi di conflitti
locali e continentali. L'energia resta il grande interrogativo "fisico"
sospeso sul prossimo futuro. Poi c'è anche quello "virtuale", della
finanza creativa e "derivata".
C'è stato un tempo in cui
anche in Italia si era capito – non “saputo”, perché ben pochi media
avevano spiegato la situazione – che la produzione di petrolio
cominciava a essere deficitaria. Il suo prezzo, alla vigilia della crisi
innescata dai mutui subprime, era arrivato a toccare i 147 dollari al
barile. Con la feroce recessione 2008-2009 era sceso a 30, per poi
risalire e stabilizzarsi intono ai 90-100 dollari (per il tipo Wti,
mentre il Brent saliva ancora più su). Stabilizzazione possibile,
naturalmente, solo perché l'economia globale non cresce più o quasi,
mentre sono entrate in azione numerose tecnologie che tendono a
risparmiare energia (sia nelle automobili che nelle costruzioni e
soprattutto nell'industria).
Ma il petrolio e il gas non si riproducono. Quel che c'è c'è, e le riserve si vanno lentamente esaurendo.
I
petrolieri hanno sempre smentito questa realtà, ma intanto si sono
precipitati a cercare altre fonti energetiche, senza trovarle. Si son
quindi buttati a capofitto nello sfruttamento industriale delle sorgenti
“quasi petrolifere”, fin lì non sfruttate per ragione di costi
estrattivi. Ma col petrolio a 100 dollari, sono diventate “competitive”.
Negli
Usa hanno cominciato prima, e sono proprio le compagnie Usa e una
europea a premere ora per entrare di forza nel mercato europeo. Anzi,
nel sottosuolo europeo.
Shell – scrive il Wall Street
Journal – è pronta a spendere più di $400 milioni nei progetti in
Ucraina. Chevron ha ambizioni simili in Romania. La Bulgaria offre
ghiotte prospettive e diverse migliaia di miliardi di metri cubi di
risorse. Per abbellire quello che si annuncia come una distruzione di
territorio di proporzioni mai viste – per estrarre gas o olio “di
scisto” bisogna letteralmente frantumare, tritare, lavare e filtrare
miliardi di tonnellate di rocce o sabbie bituminose – si dice ovviamente
che in questo modo “il continente è pronto a ridurre drasticamente la
sua dipendenza energetica dalla Russia”.
Il Continente? Ma se si parla soltanto di compagnie statunitensi (oltre all'olandese Shell)...
A voi il pezzo del Wsj, gruppo Murdoch, molto “sintonico” con le Sette
Sorelle. Il tono pesantemente anri-russo non lascia presagire nulla di
buono neppure sotto il profilo geostrategico.
dal WSJ Pubblicato il 19 febbraio 2013 Ora 10:08
ROMA (WSJ) - I paesi dell'Est europeo sono presi d'assalto dalle
macchine di trivellazione dei colossi energetici Chevron e Royal Dutch
Shell. Gli Stati Uniti stanno lentamente diventando l'attore leader nel
mercato del gas di scisto naturale e al contempo le economie europee non
hanno intenzione di lasciarsi sfuggire l'occasione di aumentare la loro
indipendenza energetica.
Shell, riporta Daniel Graeber su Oil Price, è pronta a spendere più di 400 milioni di dollari nei progetti in
Ucraina, mentre Chevron ha ambizioni di simile portata, ma in Romania.
Anche se queste attività non sono paragonabili a quelle in corso negli
Stati Uniti, sicuramente sono in grado di indebolire l'ingombrante
presenza russa nel settore energetico della regione, esercitata tramite
le operazioni di Gazprom.
Il Dipartimento statunitense dell'Energia
stima che, nel loro insieme Bulgaria, Ungheria e Romania possiedono
molte migliaia di miliardi di metri cubi di gas di scisto. La cifra è
stata sufficiente a convincere il gigante del settore Chevron ad avviare
le attività di esplorazione nell'Europa orientale. La società
petrolifera ha iniziato a chiedere concessioni nel 2010 e da allora ha
in mente progetti per operazioni di esplorazione del suolo.
Le stime
dell'EIA potrebbero anche sbagliarsi, ma dovrebbe comunque esserci
abbastanza gas di scisto nella sola Romania per soddisfare i bisogni
energetici del paese per i prossimi 40 anni. Per andare avanti nella
campagna di esplorazione l'azienda deve però prima ottenere i permessi
ambientali del caso.
Da parte sua Royal Dutch Shell ha annunciato in
gennaio che stava investendo 10 miliardi di dollari per tentare di
sfruttare il potenziale delle risorse di gas di scisto presenti in
Ucraina. Ai margini del summit economico di Davos, in Svizzera, l'a.d.
Peter Voser ha ribadito che il suo gruppo vede un enorme potenziale
nell'ex paese del blocco sovietico, dove l'agenzia EIA stima che si
trovino 42 mila miliardi di metri cubi di gas naturale di scisto. Che
vale a dire il terzo maggiore giacimento nell'Est Europa.
Kiev
sostiene che le produzione di gas naturale interna dovrebbe da sola
essere sufficiente ad eliminare del tutto la necessità di importare. Il
titano russo Gazprom ha ribadito che in nessun modo l'Ucraina eviterà di
pagare i 7 miliardi di dollari che deve al gruppo per il gas
naturale rimasto inutilizzato l'anno scorso, nell'ambito di un'intesa
"prendi o paga". Da almeno il 2006 entrambe le parti sono impegnate in
un braccio di ferro sui contratti legati al gas e l'anno scorso la
Commissione Ue ha avviato una causa anti trust contro le pratiche
sospette del gigante russo nella regione.
La produzione di petrolio
estratto dai giacimento di scisto potrebbe portare all'economia mondiale
altri 2 mila e 700 miliardi l'anno entro il 2035. Le prospettive per il
gas sono altrettanto promettenti. In Usa, il Pil potrebbe ottenere
risorse fresche per $118 miliardi entro il 2015. Secondo le previsioni,
tale cifra è destinata a triplicare a quota 231 miliardi entro il 2035.
In
alcune nazioni europee, tuttavia, circa il 70% del consumo di gas
deriva dalle risorse importate, il 90% delle quali proviene dalla
Russia. Anche per questo motivo, l'obiettivo principale dei paesi
dell'Est è quello di diminuire la loro dipendenza da Mosca. Ora, sebbene
difficilmente potranno raggiungere il giro d'affari degli Usa, hanno i
mezzi e le risorse per farlo.
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