Non è scritta ancora la parola fine sull’accordo “per la crescita della produttività” firmato dalle parti sociali tranne la Cgil.
Il governo ha convocato le parti sociali per domani sera a Palazzo
Chigi, in un confronto in cui si cercherà di ottenere ancora il consenso
di Camusso anche se il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, delegato da Monti a questo incarico, ha espresso ieri soddisfazione per “l’ampio consenso finora ricevuto”. In ballo ci sono circa due miliardi di euro per la detassazione del salario di produttività che il governo stanzierà solo di fronte a un accordo tra le parti sociali.
Il testo siglato finora da Confindustria, Rete Imprese, Cisl e, con una specifica clausola, dalla Uil,
punta a modificare il quadro di riferimento per la stipula dei
contratti nazionali. Il contratto collettivo nazionale, si legge nel
testo, “deve prevedere una chiara delega al secondo livello di
contrattazione” per materie quali “la prestazione lavorativa, gli orari e
l’organizzazione del lavoro”. Si interviene, però, anche sulle
mansioni, il livello degli aumenti contrattuali, la flessibilità, la
“solidarietà intergenerazionale” che prevede una transizione regolata
dal lavoro alla pensione. É quella che il segretario della Fiom, Landini, definisce come “il modello Marchionne
applicato a tutti”. La contropartita è la detassazione degli aumenti
salariali legati alla produttività con un’ imposizione del 10% – per i
redditi fino ai 40 mila euro – che sostituisce le aliquote fiscali
vigenti.
La Cgil al momento dice no e ieri ha redatto una
dettagliata lettera in cui spiega i suoi distinguo. Al ministero dello
Sviluppo questa posizione è stata letta come “un’apertura” ed è con
questo approccio che il ministro Passera si sta preparando all’incontro
di domani sera: puntare a ottenere il sì di Camusso sapendo però di
poter contare su un sostanziale via libera da tutti gli altri. I punti
di disaccordo con la Cgil sono tre. Il primo riguarda gli aumenti
salariali che, secondo il testo, devono essere fissati in modo “coerente
con le tendenze generali dell’economia” e, una volta fissati, vanno
scomposti in una quota legata agli incrementi di produttività e
redditività”. Per la Cgil, invece, gli aumenti di secondo livello “vanno
aggiunti” a quelli previsti nel primo per evitare la differenziazione
dei minimi salariali e la riduzione del potere di acquisto delle
retribuzioni.
Secondo punto è quello della rappresentanza. Il
testo prevede di disciplinare l’accordo siglato anche dalla Cgil, il 28
giugno 2011, entro il 31 dicembre di quest’anno prevedendo con la
revisione dell’Accordo del 1993, istitutivo delle attuali Rsu fino a
ottenere la “esigibilità delle intese sotto-scritte”, “non escludendo
meccanismi sanzionatori in capo alle organizzazioni inadempienti”. Se un
sindacato viola eventuali tregue sindacali, insomma, può incorrere in
una sanzione. La Cgil non contesta questo principio ma chiede di
definire “la cornice di regole democratiche” in grado di garantire, ad
esempio, alla Fiom di partecipare al tavolo del rinnovo del contratto
metalmeccanico.
Terzo punto in questione è l’articolo 7 che affida
all’autonomia negoziale tematiche delicate come “l’equivalenza delle
mansioni” e la “ridefinizione dei sistemi di orari”. Se le parti sono
d’accordo, quindi, un contratto nazionale o di secondo livello può
prevedere demansionamenti per i lavoratori, oggi vietati, oppure orari
diversi a seconda delle aziende, del territorio o della filiera. Ma il
testo prevede anche di intervenire sul delicato capitolo del controllo a
distanza dei lavoratori con impianti audiovisivi (regolato
dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori). Quello di domani è
probabilmente l’ultimo giro. La Cisl, infatti, sostiene che “l’accordo è
stato fatto” e imputa alla Cgil una subordinazione totale alla Fiom. La
Uil subordina l’intesa a una legge ad hoc sulla de-tassazione ma ha
comunque firmato. Resta da capire se alla fine il merito prevarrà o meno
sul contenuto politico della trattativa che vede da un lato i sindacati
impegnati per il “Monti bis” – come dimostra la presenza di Bonanni alla convention di Montezemolo – e dall’altra la Cgil, legata al Pd e alle prospettive per le primarie di Pier Luigi Bersani.
Fonte
I diritti dei lavoratori tornano indietro di 40 anni, l'importante è stimolare la "produttività", ovviamente senza avere la benché minima idea di cosa produrre e soprattutto per chi.
Considerando che siamo nel bel mezzo di una crisi che non è determinata da un eccesso di domanda rispetto all'offerta (anzi!) l'accordo trasuda spessore politico da ogni riga.
Nessun commento:
Posta un commento