Alcuni cenni agli ultimi colpi di genio del governo Monti
Pochi giorni fa sono scesi in piazza i poliziotti in varie parti
d’Italia; nello stesso giorno protestavano a Montecitorio gli avvocati e
pochi giorni prima avevano manifestato gli insegnanti. Sono categorie,
queste, poco inclini alle manifestazioni di piazza, ma se lo hanno fatto
è per un solo e semplice motivo: la misura è colma e il paese sta per
scoppiare, nel senso che stanno per scoppiare disordini di massa,
scontri, caos e malessere sociale.
Parto dall’analisi di due vicende che hanno coinvolto le due categorie degli avvocati e degli insegnanti.
Per quanto riguarda gli avvocati, le novità di questi ultimi tempi sono
le riduzione dei tempi della pratica legale, l’abolizione delle tariffe
minime, e la tragicommedia della mediazione civile risolta – come era
facile prevedere – in un bluff.
Mi soffermo in particolare su questa vicenda della mediazione,
spiegandola ai non addetti ai lavori (quindi i giuristi mi perdoneranno
se non uso il giuridichese e semplifico alcuni concetti).
Nel 2010 è entrata in vigore la mediazione obbligatoria per i
procedimenti civili; in sostanza il legislatore ha detto: “Da adesso in
poi, prima di fare una causa civile, si va prima da un mediatore che
cerca di pacificare le parti, così si evita il processo e si fa tutto in
tempi rapidi”.
Messa così, al cittadino ignorante poteva sembrare una buona cosa.
I problemi erano però i seguenti:
- i costi erano elevati;
- venivano affidate cause molto complesse, che richiedevano una
preparazione lunga e specialistica, a soggetti del tutto privi di
competenze giuridiche (geometri, ragionieri, architetti, ecc.) che
diventavano mediatori (e quindi sostanzialmente assolvevano a funzioni
identiche a quelle di un magistrato) con pochi giorni di un corso, al
termine del quale si veniva abilitati a diventare mediatori;
- il mediatore lo sceglieva la parte; in altre parole se io decidevo di
fare causa a Tizio, andavo dal mediatore che sceglievo io, ovviamente
scegliendo un mediatore amico/parente/corrotto.
Fin dai primi tempi, infatti, il risultato di questo schifo di legge –
che si traduceva, in sintesi, in una sorta di privatizzazione della
giustizia, che veniva esercitata da persone spesso incompetenti e
corrotte – era che la maggior parte delle mediazioni sono andate
deserte.
All’indomani dall’uscita della legge, si sono precipitate migliaia di
persone a fare corsi di mediazione, creare società di mediazione, ecc.,
nella maggior parte dei casi giovani avvocati senza lavoro che vedevano
nella mediazione una prospettiva di lavoro in più; nessuno si è fatto
venire il dubbio che tutta questa “facilità” nell’accesso a una nuova
professione nascondesse qualcosa di diverso e che i conti non tornavano.
Era inevitabile l’impugnazione della legge davanti alla Corte
Costituzionale, così come è stata inevitabile la bocciatura da parte
della Corte. La Corte Costituzionale, con un colpo di penna, ha
cancellato in un istante speranze di lavoro, reso inutili gli sforzi di
chi aveva creato le società, buttato a mare i milioni di euro spesi per
realizzare questo istituto.
Ora, aggiungo, è facile prevedere che la mediazione verrà riproposta in
forme diverse, con la scusa che è un istituto che ha ricevuto l’avallo
anche dell’UE; ed è facile prevedere che la Corte Costituzionale boccerà
nuovamente anche la mediazione riformata che gli organismi appositi,
d’intesa col governo, predisporranno.
Il motivo è presto detto.
La mediazione è stata creata fin dall’inizio per sfasciare in modo
definitivo la giustizia civile (che comunque era già vicina al collasso)
e per creare malesseri e disordini nella categoria degli avvocati. La
bocciatura della Corte Costituzionale, infatti, lungi dall’essere
un’operazione di giustizia, era semplicemente parte del progetto
complessivo, che ancora non è terminato.
Situazione analoga per gli insegnanti.
Il governo dapprima ha varato un concorso demenziale per reclutare nuovi
insegnanti (ne abbiamo parlato in questo articolo:
http://paolofranceschetti.blogspot.it/2012/10/il-recente-provvedimento-della-scuola.html),
dicendo che in questo modo creava nuovi posti di lavoro; ma
contemporaneamente ha elevato il numero di ore di lavoro agli insegnanti
di ruolo, togliendo così diversi posti di lavoro ai precari.
Mi spiego meglio.
Per decenni, da che ho memoria io, l’orario di lavoro degli insegnanti è
stato sempre di 18 ore settimanali. Un numero di ore che può sembrare
basso, ma a cui poi andavano aggiunte le ore per i consigli di classe,
per il ricevimento, per la correzione dei compiti, per l’aggiornamento,
ecc.
Improvvisamente, dopo decenni, il governo decide di elevare il numero di
ore degli insegnanti a 24 ore settimanali. Il 33% di ore in più, che si
traduce nella perdita secca del 33% dei posti di lavoro per gli
insegnanti precari.
In sostanza il governo da una parte ha detto “ragazzi ecco che creo
posti di lavoro” varando un concorso demenziale destinato ad essere
bocciato dalla Corte Costituzionale; dall’altro ha tolto lavoro ai
precari dimostrando in tal modo che non gliene frega nulla della
creazione di nuovi posti di lavoro.
Scopo di tutta la manovra?
Far incazzare i precari, far incazzare gli insegnanti di ruolo, insomma
far incazzare tutti e mettere ogni categoria l’una contro l’altra, oltre
a far perdere loro una marea di tempo e soldi in ricorsi al TAR,
proteste, manifestazioni, ecc.
Si osserverà che aumentando le ore ai docenti di ruolo in questo modo si
fanno “tagli” e si risparmiano soldi; è semplice invece rispondere che
per risparmiare era sufficiente evitare il maxi concorso demenziale che
farà spendere soldi inutili senza creare alcun posto di lavoro in più, e
magari si poteva tagliare qualche finanziamento ai pescatori di granchi
in Kiribati, o anche – perché no? – operare un drastico
ridimensionamento dei fondi dati agli apicoltori della Slovenia e ai
ristoranti vegetariani in Groenlandia.
A questi provvedimenti dobbiamo aggiungere la chiusura dei piccoli
tribunali di provincia (gli unici che funzionavano davvero, perlomeno
per quanto riguarda i tempi e i costi); l’IMU che sottrae liquidità agli
imprenditori già in crisi accelerando il fallimento in atto della
maggior parte delle imprese italiane; il taglio dei fondi agli ospedali e
la chiusura di molti centri di pronto soccorso; gli sgravi fiscali per
chi assume lavoratori extracomunitari (con il risultato che alcune
imprese licenziano i lavoratori italiani per assumere extracomunitari); i
tagli alla polizia; la liberalizzazione delle licenze di commercio,
colpo mortale a chi aveva speso centinaia di migliaia di euro per
acquistare una licenza di pizzeria o di altre attività commerciali; ecc.
Ormai anche le persone più ignoranti e poco inclini al “complottismo” si
sono accorte che gli ultimi provvedimenti del governo Monti vanno in
una sola direzione: lo sfascio del paese.
La domanda è: perché? E ad essa abbiamo risposto più volte (creazione di
malcontento, al fine di instaurare una dittatura e accentrare i poteri
dell’UE).
Lo ha detto chiaramente Monti in un’intervista: “La crisi è una cosa
positiva, l’Europa ha bisogno di crisi”. E Napolitano di recente ha
detto che per reagire alla crisi è necessario “cedere ulteriori quote di
sovranità all’UE”, ovvero rafforzare l’UE (una stronzata colossale,
simile a quella dei medici del ’400 che curavano prevalentemente col
salasso e, a fronte di malattie gravi cui non sapevano come reagire, per
prudenza praticavano un “salasso”).
Quello che adesso voglio cercare di spiegare è cosa non bisogna fare, e cosa invece si potrebbe fare per reagire.
Come non reagire
La prima cosa da non fare è quella di scendere in piazza e manifestare.
Alle prime manifestazioni, fino ad oggi pacifiche, seguiranno infatti
scontri di piazza, ove ovviamente lo scontro partirà da agenti dei corpi
speciali infiltrati, travestiti da Black Block o da manifestanti
normali, per scatenare il caos, come è avvenuto a Genova durante il G8 o
l’anno scorso a Roma.
Il governo vuole che manifestiamo... e, proprio per questo, noi non dobbiamo manifestare.
L’altra cosa da non fare è spendere tempo e soldi in ricorsi inutili
all’UE, alla Corte di Giustizia e ad altri organismi, per rivendicare il
proprio diritto di sovranità, la proprietà del denaro, ecc. In realtà
si tratta di rivendicazioni sacrosante, ma che verrebbero fatte a organi
che sono strumenti docili e corrotti di quello stesso potere che si
vuole combattere. Questi ricorsi (tra i quali rientra anche quello
effettuato per abrogare – legittimamente – la mediazione, o quello che
verrà fatto per annullare – sempre legittimamente – il concorso nella
scuola) sono ampiamente programmati e previsti.
In linea di massima, tutto il sistema legale e dei tribunali è
un’immensa macchina per far perdere tempo, soldi e dignità ai cittadini,
facendoli sperare in una giustizia che cali comunque sempre dall’alto,
ovvero una giustizia che provenga da quelle stesse fonti che hanno
creato il disagio e il malessere contro cui si pretende di combattere.
Rivolgersi a un tribunale per avere giustizia, cioè, è come rivolgersi a
Totò Riina per avere giustizia perché la mafia ti ha ammazzato un
parente.
Come reagire
Gli esempi di cose da fare sono molti, e mi sono venuti in mente in
questi anni viaggiando per l’Italia o all’estero e vedendo questi
fenomeni. Negli USA ho visto locali che servivano pasti gratis all’ora
di chiusura, con il cibo avanzato e non venduto. In Spagna i medici
hanno deciso che, nonostante i tagli, cureranno lo stesso i malati,
gratis. Un imprenditore agricolo italiano, invece di licenziare i
dipendenti, li ha organizzati in una specie di comunità, in cui ciascuno
mette a disposizione ciò che ha e le proprie competenze (chi fa il
meccanico ripara gratis tutto ciò che si rompe alle famiglie dei
dipendenti, chi fa il sarto cuce i vestiti se servono, i prodotti
agricoli vengono portati a casa dai dipendenti e una parte dell’azienda è
stata adibita a orto e ad altri prodotti di consumo giornaliero, ecc.).
In un altro caso mi è capitato un imprenditore che ha dovuto licenziare
i dipendenti, ma ha provveduto, tramite amicizie e conoscenze, affinché
le famiglie continuino ad avere vitto e alloggio, mettendo a
disposizione un casale per coloro che non potevano permettersi l’affitto
e assicurandosi che tutte le famiglie dei disoccupati, tramite gli
abitanti del paese, abbiano da mangiare tutti i giorni.
Vediamo quindi quali potrebbero essere le mosse da effettuare per affrontare la crisi:
- Creazione di monete locali da parte degli amministratori dei piccoli
comuni (in teoria sarebbe possibile farlo anche nei grandi comuni),
sull’esempio del SIMEC di Giacinto Auriti. Mi si obbietterà che il SIMEC
è un progetto che fallì perché la guardia di finanza ne impedì il
proseguimento arrivando addirittura a perseguire legalmente il professor
Auriti; replico che in realtà la moneta di Auriti non era illegittima,
che oggi i tempi sono maturi per un’operazione del genere su larga scala
ad iniziativa di sindaci e amministratori locali, e che peraltro si
potrebbero operare piccoli correttivi legali per evitare l’intervento
della guardia di finanza e delle autorità monetarie. Ad esempio, invece
di moneta, si potrebbe chiamare buono.
- Organizzarsi a livello locale tra cittadini. Specie nei piccoli paesi,
è assolutamente possibile creare piccole forme di vita comunitaria, in
cui ciascuno metta a disposizione le sue competenze e le sue capacità
gratuitamente, per ricevere in cambio altri beni e servizi a titolo
gratuito.
- Organizzazione di piccole comunità autosufficienti, di natura
prevalentemente agricola, in cui si torni a vivere e a lavorare come
nelle campagne di 50 anni fa.
A titolo di esempio:
- imprenditori che abbiano a disposizione capannoni sfitti, potrebbero
cederli in uso gratuito a gruppi di persone senza casa e senza lavoro;
- i ristoratori potrebbero dare il cibo gratis a fine giornata (so bene
che qualcuno obietterà che le norme igieniche della USL non lo
permettono; ma le norme sull’igiene alimentare servono in gran parte ad
evitare proprio che il cibo in abbondanza venga dato gratuitamente a chi
non lo ha e venga buttato nella spazzatura, quando in realtà ci sono
diverse forme di cessione gratuita assolutamente legali, che possono
essere concordate e organizzate); la stessa cosa possono fare i negozi
di alimentari con i cibi prossimi alla scadenza ma ancora buoni;
- i medici potrebbero curare gratis, gli avvocati dare consulenze
gratuite, fabbri falegnami idraulici ecc. potrebbero prestare una parte
della loro opera a titolo gratuito;
- il governo Monti ha adito la Corte Costituzionale per far dichiarare
incostituzionale una legge della Regione Calabria sui prodotti agricoli a
Km 0, ovvero della regione, perché viola le regole imposte dall’UE
sulla libera concorrenza? Bene, nulla però impedisce che, pur senza una
legge, supermercati e commercianti possano acquistare solo prodotti
regionali o che i cittadini acquistino solo prodotti a Km 0 per aiutare
l’economia della loro terra. Molto più efficace, economico e rapido che
impelagarsi in ricorsi e inutili manifestazioni;
- i Comuni possono impiegare per i lavori sul territorio lavoratori
disoccupati (muratori, falegnami, elettricisti, informatici, ecc...) a
cui, come compenso per il lavoro prestato possono non far pagare le
tasse locali (IMU, rifiuti, ecc...);
- Rendersi conto che il sistema in cui viviamo ci ha abituato a far
dipendere la nostra felicità dal numero e dalla qualità di beni che
possediamo; capire la trappola in cui il sistema ci ha fatto cadere e
abituarsi a un nuovo regime di vita, che potrebbe anche essere migliore
del precedente.
Nessuna manifestazione dunque che, come sappiamo, attraverso agenti
provocatori può facilmente essere trasformata in violenza, ma una forma
di resistenza civile, pacifica e quotidiana. Senza la fattiva
collaborazione dei cittadini nessuna manovra operata dal governo può
trovare attuazione. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che è
assolutamente inutile protestare e scendere in piazza. A Roma ogni
giorno c’è una manifestazione senza che la popolazione ne abbia nemmeno
notizia, salvo quando questa si trasforma in guerriglia, così da poter
essere strumentalizzata (il motivo della manifestazione passa in secondo
piano, e quello che viene messo in evidenza serve a ingenerare
insicurezza e paura nella popolazione, così che possa essere più
docile). Inutile continuare su una strada che, è chiaro, non ha portato
alcun risultato. Nessuna rivoluzione di massa, ma solo tante piccole
rivoluzioni personali, e tante piccole rivoluzioni nelle piccole
comunità in cui ciascuno vive.
Una frase che in questi anni mi è rimasta in mente è questa: per chi
vive in montagna o in campagna, dei prodotti quotidiani della propria
terra, che al governo centrale ci sia una dittatura o una democrazia non
cambia assolutamente nulla. La dittatura non può cambiare l’anima delle
persone, i propri pensieri e le proprie emozioni; la dittatura può
preoccupare unicamente coloro che misurano la loro felicità dalla
quantità di beni che hanno.
In conclusione:
Il governo vuole che noi manifestiamo. E noi non dobbiamo manifestare.
Il governo vuole che noi ci riduciamo alla disperazione. E noi ci
rimbocchiamo le maniche e scopriamo il gusto della solidarietà.
Il governo vuole affamarci. E noi mangeremo lo stesso, in modo diverso, con abitudini diverse, ma mangeremo.
Fonte
Analisi interessante che, tuttavia, penso arrivi fuori tempo massimo o troppo in anticipo.
Quanto suggerito dall'autore dell'articolo era auspicabile prima del collasso sistemico che stiamo vivendo, quando ancora c'erano il tempo e le risorse per provare a investire in una società diversa. Ora la misura è troppo colma e al repressione troppo brutale per tentare d'incanalarla con le buone verso qualcosa di diverso. Ciò non toglie che il ritorno a una socialità diffusa della vita sia l'obiettivo a cui dovrebbe tendere ogni strategia che attualmente è intenta a disarcionare chi oggi agita il bastone.
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