La vittoria elettorale di Barack Obama somiglia a quelle cene preparate con gli avanzi della festa del giorno prima. Qualcosa di dignitoso, magari saporito se ben ricucinato, ma che ha luogo grazie a ciò che non è stato consumato nei bagordi del giorno precedente. Speculazioni? Le cifre parlano meglio di qualsiasi considerazione. Obama, in quattro anni, ha perso quasi 20 milioni di elettori e una dozzina di punti percentuali. In questa caduta a precipizio si è fermato ad un punto percentuale di distacco dal candidato repubblicano. Quel punto utile per far scattare una larga maggioranza di grandi elettori secondo la particolare legge elettorale americana. Ma anche quel punto inutile per rovesciare la maggioranza repubblicana al congresso che finirà per condizionarlo almeno per i prossimi due anni. Insomma, Obama è stato rieletto grazie ai residui rimasti della spinta elettorale del 2008. E gli è andata bene: un columnist del Wall Street Journal notava come proprio negli ultimi giorni di campagna elettorale Romney stesse cominciando davvero a riempire le piazze e a convincere gli indecisi. Sarebbe stato il colmo: farsi battere sul filo di lana da un candidato repubblicano che ripeteva gli stessi slogan di 30 anni fa, con modalità di comunicazione politica al limite del vintage, campione sopratutto di gaffe, espressione di quella che ormai in Usa è una minoranza sociale: la sovrapposizione tra bianchi della working class e della middle class impoverite e le esigenze delle maggiori espressioni del capitalismo americano e della grande finanza (non a caso Goldman Sachs è stata la prima finanziatrice di Romney).
Inoltre lo stesso Romney non aveva nemmeno mobilitato tutto l’elettorato repubblicano della disfatta del 2008. Secondo l’attuale conteggio dei voti Romney ha infatti perso circa 9 milioni di elettori, rispetto al catastrofico duo McCain-Sarah Palin. Si è trattato di una elezione che, secondo fonti informative svizzere, ha complessivamente visto una partecipazione al voto all’elezione presidenziale nettamente inferiore rispetto al 2008. In diversi Stati è stata addirittura inferiore rispetto alle elezioni del 2004, per i dati ufficiali ci vorranno settimane. C’è da chiedersi, in Usa come in Sicilia, che tipo di democrazia sia quella bombardata da spot in tv che finisce per svolgere i propri riti elettorali nella sostanziale indifferenza della maggioranza della popolazione.
La vicenda Obama è davvero curiosa: parla di qualcuno che si comporta come una anatra zoppa (in gergo, un presidente che non è nella pienezza dei poteri e costretto a trattare con le camere) già dal 2010. E lo sarà almeno per i prossimi due anni visto che dovrà trattare con il congresso, a maggioranza repubblicana, su temi delicatissimi come il tetto del debito pubblico e la proroga o meno delle agevolazioni fiscali all’economia. Mentre per i due successivi sarà quello che, sempre nel gergo della politica americana, è la tipica anatra zoppa. Ovvero il presidente che è a fine mandato, ineleggibile e quindi con minore potere politico.
Ma da quando Obama somiglia più ad un ex presidente che ad un presidente? L’anno di svolta è già il 2009, subito dopo l’elezione trionfale mentre quella sorta di ufficio stampa globale che è la comunicazione politica mainstream lo promuoveva a nobel per la pace. Obama è stato eletto nel 2008 cavalcando, in modo magistrale, la rivoluzione nella comunicazione politica espressa dallo sviluppo della rete. In quel modo ha attirato, ed attivato, miriadi di network sociali americani, innovativi, che si sentivano protagonisti di processi di mobilitazione fino a quel momento riservati alle agenzie di comunicazione e alla macchina organizzativa del partito democratico. Insomma, è stato espressione di un voto contro Wall Street, e per l’innovazione sociale, proprio all’indomani di Lehman Brothers. Nel 2009 ha formato uno staff presidenziale sostanzialmente espressione degli anni della speculazione finanziaria clintoniana (sul disastro planetario apertosi dalle clintonomics finanziarie si possono scrivere pile di volumi), è stato protagonista (attivo) dell’impasse dei G20, che ha dato la possibilità alla finanza globale di mantenere l’egemonia sui processi politici internazionali. Non ha quindi nè voluto nè potuto attivare quelle politiche di profonda riforma dell’economia Usa, e del suo sistema finanziario, necessarie al cambiamento radicale per il quale era stato eletto. Già nel 2010 quindi, con le elezioni di midterm, con la delusione degli elettori democratici i repubblicani avevano la maggioranza in uno dei due rami del parlamento. Da allora su spesa pubblica, regole per la finanza, la stessa riforma sanitaria (che non è questo grande passo in avanti) Obama è un presidente anatra zoppa condizionato dalle trattative con i repubblicani. E lo sarà, in modo diverso, fino al 2016 nonostante l’elezione plebiscitaria del 2008. Sulle modalità di comunicazione politica è presto detto. Una volta eletto, Obama doveva rendere conto ai propri finanziatori mica alla rete. E’ quindi diventato un presidente la cui comunicazione è sostanzialmente televisiva, fino a 5 differenti interviste al giorno su altrettanti canali, e comunque detenuta dalla capacità comunicativa dei grandi media. Prevedibile fin dal novembre 2008, che il comitato elettorale pro Obama si sarebbe staccato da un rapporto politico con la rete costruita dal basso, visto che i grandi finanziatori della politica americana dopo le elezioni bussano a difesa dei propri, verticali, interessi.
Obama oggi ha di fronte diverse questioni, non solo la successione di Greenspan, tra cui il tema del rinnovo delle agevolazioni fiscali all’economia che, se non risolto, vale il 4-5 per cento del Pil americano in piena frenata dell’economia globale. Inoltre, il debito americano sta raggiungendo dimensioni inimmaginabili. Non saranno anni tranquilli per l’anatra zoppa alla Casa bianca. Ma tra le tante, bisogna segnalare le dichiarazioni di Tao Xie, esperto cinese di relazioni internazionali, intervistato da Al Jazeera english. Xie ha detto che le relazioni sino-americane sono al punto più basso da diversi anni. Si capisce che i cinesi sono molto irritati dalle continue immissioni di denaro stampato dal nulla, che causa loro squilibri economico-finanziari, da parte della Federal Reserve americana. E già nel 2009, l’unico anno in cui Obama è stato veramente presidente Usa, i cinesi fecero capire al presidente americano che, detenendo ampie quote di debito Usa, erano in grado di mettere direttamente voce nella politica interna degli Stati Uniti. Alla vigilia del congresso del Pcc, e in una situazione economica cinese non esaltante, non sono questioni da poco.
Tante questioni insomma, per un ex presidente appena rieletto. Ma una su tutte: nel 2010 Obama ha provato davvero un piano gigantesco di stimolo, qualcosa di completamente diverso rispetto ai canoni del centrosinistra italiano (che è più vicino a Romney di quanto ammetta), all’economia americana. Non ha funzionato. C’è qualcosa di rotto nel capitalismo americano che non sarà certo sanato dal completamento dei riti elettorali, peraltro svoltisi nell’indifferenza della maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti.
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