Per
fronteggiare la crisi economica e sociale e camuffare la vertiginosa
caduta di credibilità politica del Governo Monti verranno ulteriormente
inasprite le norme legislative e la gestione dell’ordine pubblico
ispirandosi a quel laboratorio della repressione sociale che nell’ultimo
decennio hanno rappresentato le curve degli stadi.
Il
governo teme il conflitto sociale e soprattutto la possibilità di una
saldatura stabile tra le varie componenti della protesta: i
metalmeccanici, i precari, gli studenti, i migranti.
Per
questa ragione stanno per essere varati una serie di dispositivi di
natura legislativa e tecnica in grado di consentire un ulteriore giro
di vite repressivo nei confronti del diritto di manifestare e di
esercitare l’attività politica con incisività e visibilità.
Limiti alla libertà individuale di manifestare
Il
ministro degli Interni Cancellieri ha annunciato di voler estendere i
daspo, cioè i divieti di accedere alle manifestazioni sportive, anche
alle “manifestazioni pubbliche” e l’arresto in differita cioè quella
norma che consente l'arresto non solo in flagranza di reato, ma anche
il giorno dopo, fino a 48 ore dagli scontri, sulla base delle immagini
registrate.
Con una soluzione
del genere saremmo ai vertici dell’afflato totalitario. Una ragione in
più per scendere in piazza nei prossimi giorni e manifestare con
maggiore forza ancora, visto che è proprio questo diritto ad essere
messo definitivamente in discussione.
Dopo
i limiti permanenti imposti ai percorsi, l’estensione e
l’istituzionalizzazione di zone rosse attorno ai palazzi della
politica, ora diventa problematica anche la semplice possibilità di
manifestare al di fuori di forme e contenuti sgraditi ai governi di
turno.
I daspo verrebbero
applicati a chiunque avesse precedenti e denunce in corso, in sostanza
interverrebbero prima del giudizio finale, manifestandosi come una
sanzione amministrativa anticipata prim’ancora che la colpevolezza
venisse penalmente accertata.
Un modo per rendere innocui gli oppositori politici.
Caccia al manifestante, arrivano i nuclei mobili di pronto intervento
L’altra
misura annunciata riguarda l’introduzione di “presidi mobili di pronto
intervento” sul modello adottato dalla polizia greca per fronteggiare
le imponenti contestazioni che da due anni fanno traballare il governo.
La
scelta di questa nuova strategia sarebbe supportata dalle analisi
realizzate dalla digos e dalla polizia di prevenzione, in cui si parla
di un “sistema parallelo che prescinde da chi ha organizzato la
manifestazione perché si affianca a chi sfila, ma poi persegue altri
obiettivi”.
Dai filmati degli
incidenti di Atene e Madrid, i responsabili dell’ordine pubblico e del
contrasto all’eversione avrebbero tratto la convinzione della “presenza
di analogie nella pianificazione degli attacchi, mirati verso gli
obiettivi istituzionali e le forze dell’ordine”.
Da
qui la decisione di ricorrere a piccole pattuglie mobili, coordinate
dall’alto e da osservatori in abiti civili, che non seguono più il
corteo o presidiano staticamente obiettivi sensibili e sbarrano strade,
ma si muovono nel territorio circostante il tragitto della
manifestazione a caccia dei gruppi considerati l’obiettivo da
neutralizzare.
In Grecia i Mat,
gruppi speciali antisommossa, applicano una forma di controguerriglia
urbana a bassa intensità che consente di sorprendere gli avversari con
degli agguati e dei raid improvvisi. Avanzano in fila indiana per poi
scattare all’improvviso, spuntano dal nulla per agguantare i
manifestanti isolati o aggredire i gruppetti confusi e sparpagliati. Si
nascondono dietro gli angoli, accovacciati tra le vetture in sosta e
gli arredi urbani.
Anche la loro
dotazione personale è speciale, tuta robocop, casco e maschera antigas,
manganello agganciato dietro la schiena, decine di granate
“incapacitanti”, cioè accecanti e assordanti, spray urticanti compreso i
“capsulum”, potenti lancia-polvere di peperoncino che bruciano i
polmoni. Addestrati all’arresto mirato sono in grado di infilarsi con
azioni lampo all’interno del corteo per agguantare uno o due
manifestanti e trascinarli via. Una tecnica già in uso nella polizia
francese fin dalla metà degli anni 90.
Questi
nuclei alla fine dei cortei penetravano i gruppi di manifestanti che
si attardavano negli scontri con pattuglie di 5-6 uomini. Due diretti
sull’obbiettivo e gli altri intorno a protezione che si facevano strada a
colpi di arti marziali.
L’Italia,
come ha ben scritto Salvatore Palidda su il manifesto del 17 novembre
2002, è perfettamente in linea con tutto questo. Da tempo è in atto un
processo di militarizzazione delle polizie che sono addestrate a
muoversi e combattere negli “ambienti urbani” ove occorre isolare
quartieri, edifici, abitazioni. Non a caso sono stati aboliti di fatto i
concorsi per il reclutamento nelle polizie, riservandoli ai soli
militari che hanno fatto la ferma volontaria e quindi esperienze nelle
guerre in Iraq, Balcani, Bosnia, Afghanistan.
Da
quando l’Italia si è impegnata a fornire personale nelle guerre
umanitarie, aree militari sono state attrezzate per ricostruire
ambienti urbani e rurali dove si addestrano carabinieri, parà,
assaltatori e bersaglieri che vanno ad operare all’estero, mentre gli
stessi reparti di polizia militare sono addestrati realmente,
nell’ambiente metropolitano, con l’impiego di ordine pubblico
quotidiano sul territorio nazionale e sono gli stessi che operano a
guardia di siti di rilevanza nazionale: cantiere No Tav in val Susa,
discariche, termovalorizzatori ecc.
Di
fronte a questo scenario non si può restare in silenzio. Bisogna dare
battaglia contro questa nuova ondata emergenzialista e repressiva.
La prima parte dell'articolo è decisamente interessante, la seconda lascia tropo spazio a illazioni poco verificabili, ma è comunque interessante per registrare una tendenza che, a prescindere da come si sia sviluppata, è comunque palpabile nella realtà quotidiana.
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