Dalla quarta alla quinta generazione di leader. Prosegue la dialettica
interna tra pubblico e privato nello sviluppo dell’economia e del paese.
(Prima parte).
"Il nostro popolo ama la vita e spera di poter avere una
migliore istruzione, dei posti di lavoro piu' stabili, un reddito
maggiore, una previdenza sociale piu' sicura, cure mediche migliori,
migliori condizioni di alloggio e un ambiente migliore. Vogliono che i
loro figli possano crescere in modo sano, avere un buon lavoro e poter
condurre una vita piu' felice. Far si' che tutto cio' possa diventare
realta' e' la nostra missione.” “E' il popolo che ha fatto la storia, e'
il popolo il vero eroe, cosi' come la fonte della nostra forza.”
Così
ha esordito, in un discorso di appena un quarto d’ora , il nuovo
segretario generale del Partito Comunista cinese e presidente della
Commissione Militare Centrale Xi Jinping dopo la conclusione del 18
esimo congresso nazionale. Un quarto d’ora dedicato ad una sintetica
rassegna della storia e delle fondamentali linee programmatiche e degli
obiettivi del Pcc. Nel discorso ha anche presentato gli altri sei membri
del Comitato Permanente dell’Ufficio politico ridotto da nove a sette, e
piuttosto rapidamente, poiché i loro nomi sono già noti alla stampa per
aver fatto parte dell’Ufficio Politico del XVII Comitato Centrale.
“Sono
il Compagno Li Keqiang, il Compagno Zhang Dejiang, il Compagno Yu
Zhengsheng, il Compagno Liu Yunshan, il Compagno Wang Qishan, e il
Compagno Zhang Gaoli. Il Compagno Li Keqiang era gia' membro del
Comitato Permanente dell'Ufficio politico del XVII Comitato Centrale del
Partito, mentre gli altri erano membri dell'Ufficio politico del XVII
Comitato Centrale del Partito. Sono sicuro che i loro nomi siano gia'
familiari per voi”, ha affermato Xi.
Con la nomina dei membri del
Comitato Permanente, si è concluso l’iter congressuale di avvicendamento
dalla quarta alla quinta generazione di leader ai vertici del Pcc e
dello stato. Si tratta infatti dell’ultimo passaggio congressuale dopo
le sostituzioni nel Comitato Centrale, nell’Ufficio politico e della
nomina del segretario generale.
Xi Jinping non è ancora
presidente della Repubblica, assumerà la carica in Marzo, ma è già
presidente della Commissione Militare Centrale, dopo che Hu Jintao ha
deciso autonomamente di lasciare contemporaneamente entrambe le cariche,
a differenza di quanto fece Jiang Zemin nel 2002, evitando così di
replicare le tensioni che ciò comportò dieci anni fa.
Nel
tentare di fare un bilancio del congresso appena concluso, possiamo fare
le seguenti considerazioni rispetto alle previsioni formulate qui su
contropiano verso metà agosto, nel periodo in cui vennero definiti i
delegati al congresso nazionale, previsioni che ci sembrano essere state
sostanzialmente confermate.
Nonostante la grande attenzione
riservata dalla stampa estera a questo congresso suscitata dalle vicende
di Bo Xilai e dalle più evidenti tensioni interne (che negli ultimi
dieci anni trasparivano all’esterno molto meno), questo congresso è
stato essenzialmente di transizione, da una generazione ad
un altra, e non ha preso decisioni che modificano in modo significativo
il quadro politico ed economico del paese. Primo perché appunto un
congresso di transizione, secondo perché l’attuale piano quinquiennale
2011-2015 ha già impostato i piani di investimento per il quinquiennio, e
quindi eventuali modifiche potranno riflettersi o nel piano 2015-2020, o
tramite l’azione del Consiglio di Stato che verso fine anno dovrebbe
preparare un documento di programmazione economica contenente alcune
innovazioni rispetto all’attuale quadro, in particolare per quanto
riguarda gli strumenti di regolazione del sistema finanziario opaco dei
prestiti privati, che spesso avvengono sottobanco.
Tuttavia alcuni temi sono stati anticipati e discussi nel dibattito politico del congresso.
Nel suo rapporto al congresso, Hu Jintao ha infatti non solo fatto un
bilancio del decennio “d’oro” che l’ha visto alla guida del paese, ma ha
anche insistito sulle condizioni sulle quali “bisogna persistere”.
Nei mesi precedenti al congresso infatti, al di là del caso Bo Xilai, la
stampa e i media cinesi hanno infatti insistito su temi di natura
economica, come il rapporto pubblico-privato nell’economia e nella
finanza. Questi temi si riflettono ovviamente nel Partito, ma non così
apertamente come sulla stampa. Se infatti alcuni media cinesi in questi
mesi hanno attaccato il ruolo delle Aziende Statali, perché non
profittevoli quanto quelle private, e in generale colpevoli di sprechi e
inefficienze, all’interno del Partito queste posizioni iperliberiste si
esprimono più cautamente, con l’eccezione delle dichiarazioni dell’ex
premier Wen Jiabao riferite al sistema finanziario secondo cui le
quattro grandi banche statali nazionali (la Bank of China, la Banca
Industriale e Commerciale, la Banca delle Costruzioni e la Banca
Agricola) farebbero troppi profitti per mancanza di concorrenza (con
istituti privati ed esteri).
Vi sono state in questo senso negli
ultimi mesi delle bordate liberiste all’attuale equilibrio del sistema
rispetto alle quali Hu Jintao, ma anche Xi Jinping, hanno appunto detto
no, ribadendo il sistema economico basato sul pilastro delle aziende
statali e delle banche pubbliche, attorno ai quali coesistono quelle
private.
Al di là degli scandali, ci concentriamo su questi temi
perché sono stati la sostanza del dibattito interno reale che solo
parzialmente è emerso al congresso, e perché avranno conseguenze sul
futuro di centinaia di milioni di lavoratori cinesi, sul paese tutto e
di riflesso anche su di noi in Europa.
Già il 17 maggio scorso,
un interessante articolo del Global Times rilevava come molti media cinesi in questi mesi abbiano
attaccato il ruolo delle grandi aziende statali, chiedendone
costantemente la privatizzazione come cura per le loro inefficienze.
Idem per le banche, sul modello del rapporto della banca mondiale China
2030, che chiede una sostanziale privatizzazione dell’economia cinese e
che pare aver avuto l’endorsement del futuro premier Li Keqiang.
Il Global Times si è dichiarato contrario alla privatizzazione e
scorporamento dei conglomerati statali, affermando che le grandi
multinazionali estere rispetto alle quali colossi pubblici come ad
esempio Haier o Lenovo (magg statale relativa), Petrochina o Tcl,
agiscono già su un piano di feroce concorrenza, tirerebbero un sospiro
di sollievo se queste aziende venissero divise e scorporate.
Inoltre afferma un fatto che è di grande rilevanza per il futuro del
modello economico del paese, ovvero che le aziende pubbliche pagano in
proporzione molte più tasse di quelle private e hanno maggiori
“responsabilità sociali”. Tradotto: nonostante le basse aliquote fiscali
che si pagano in Cina (17-18% sui profitti), gli imprenditori
privati (come ovunque) fanno di tutto per evadere le tasse, e molti vi
riescono. Se possono evitano di pagare i contributi ai lavoratori,
tengono bassi i salari, non fanno contratti scritti, ecc...e quindi,
nonostante il fatto che le aziende pubbliche negli ultimi dieci anni di
riforma sono diventate comunque in grado di generare profitti(negli anni
‘90 erano realmente inefficienti e hanno lasciato alle quattro grandi
banche pubbliche una massa enorme di prestiti inesigibili), è naturale
che in queste condizioni le aziende private facciano mediamente più
profitti di quelle pubbliche.
In quest’anno di flessione della
crescita del pil infatti la crescita delle entrate fiscali, normalmente a
doppia cifra, è stata ad una cifra sola.
Se dunque dovesse
espandersi il settore privato a danno di quello pubblico è evidente che
la tendenza è quella di una maggiore evasione fiscale, che si
rifletterebbe sugli strumenti finanziari a disposizione dello Stato per
le politiche di redistribuzione generando una spirale evasione-debito
pubblico simile a quella che viviamo in Italia e nell’Europa
mediterranea.
Eppure in questi anni di sviluppo e crescita
trainata dagli alti tassi di investimento (in gran parte da parte delle
aziende pubbliche) e dall’alta domanda estera, i media in gran parte sono
stati abbandonati a se stessi, nel senso che la Cina, lamenta anche Hu
nel suo rapporto, non ha investito abbastanza nell’industria culturale.
Il patto era: dite tutto quello che volete, basta che non critichiate il
governo. Ma in questi settori dell’informazione la maggioranza dei
media sono di natura privata, e non esprimono certo posizioni vicine al
Partito Comunista. Non lo criticano, ma quando possono sotto l’ombrello
della “riforma” chiedono privatizzazioni e ritiro dello stato dai settori
economici. Ora, nel suo discorso Hu Jintao ha parlato di riforma del
settore culturale così come ha parlato di quello sanitario e sociale. Se
è evidente che in questi due settori il secolo d’oro di Hu ha coinciso
con un grande aumento della spesa pubblica, la creazione di un sistema
sanitario capillare, l’estensione al 95% dei cinesi dell’assicurazione
medica, la creazione e l’estensione delle pensioni ai contadini,
l’aumento dei sussidi, ecc., si potrebbe pensare che parlare di
riforma del settore culturale possa significare che i maggiori
investimenti si tradurranno in messaggi veicolati dai media più vicini
al sentore e alle aspirazioni di centinaia di milioni di lavoratori
cinesi, che sono appunto quelli a “una migliore istruzione, dei posti di
lavoro più stabili, un reddito maggiore, una previdenza sociale più
sicura, cure mediche migliori, migliori condizioni di alloggio e un
ambiente migliore”, come afferma Xi Jinping. Il popolo cinese non vuole
la privatizzazione delle aziende pubbliche, i cinesi non vogliono
lavorare in aziende private in condizioni più precarie, con salari più
bassi, magari ritrovarsi senza contributi pagati e dover sborsare decine
di migliaia di yuan per un ricovero in ospedale. Che i media continuino
a spingere in una direzione cui la maggioranza della popolazione è
ostinatamente contraria è indice di una distorsione del sistema che
speriamo venga al più presto sanata con un piano di riforma e di
investimenti nel settore. In questo senso fa ben sperare l’enfasi posta
da Hu Jintao nel suo discorso sul tema dei valori socialisti. Afferma
Hu, in sostanza, che i valori della società socialista devono diventare
comuni tra le persone, e lo sforzo nella riforma del settore culturale
devono andare verso questa direzione.
In questi anni di
compromesso interno al Partito, tra marxisti ortodossi e socialisti
liberisti, e per evitare un più acceso confronto con l’Occidente, il
messaggio indirizzato dalla leadership alla popolazione ha avuto infatti
al centro il concetto di sviluppo economico, e i valori tipici di una
società socialista non hanno trovato terreno di diffusione di massa al
di fuori del Pcc. Ridiffonderli a livello di massa richiederà tempo,
coraggio e notevoli sforzi. La nuova generazione di leader salita al
potere con Xi Jinping è composta da quadri che negli anni della
Rivoluzione Culturale erano giovani poco più che ventenni,
inviati in campagna per effettuare il lavoro manuale e di base, e spesso
ne hanno tratto un’idea tipicamente romantica legata al periodo
adolescenziale, nonostante ad esempio il padre di Xi Jinping, eroe della
rivoluzione, Xi Zhongxun, al tempo della Rivoluzione Culturale venne
duramente perseguitato per le sue posizioni non ortodosse.
Potrebbero dunque essere caratterizzati da un maggiore idealismo e
dall’assenza psicologica di un periodo di rifiuto o di cesura rispetto
alla storia del Pcc, evidenziandone maggiormente le caratteristiche di
continuità storica.
Il problema è che in questi anni di riforma
la crescita del settore privato ha creato uno strato di imprenditori
collegati con i media ed il settore culturale che hanno iniziato a
mettere in discussione il ruolo del settore statale nell’economia, che è
peraltro il principale responsabile della crescita prodigiosa
dell’ultimo trentennio.
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