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30/11/2012

Modello Tav, il debito che piace ai tecnici

Dietro l'alta velocità si nasconde un meccanismo di privatizzazione dei profitti e di socializzazione delle perdite. A pagare gli ingenti costi infatti sono i cittadini, a testimoniarlo la Corte di Cassazione la quale ha decretato che i "debiti" del Tav verranno pagati dalle generazioni future fino al 2060.

Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, il sistema Tav docet. Nel silenzio generale dei media mainstream. E se per i “tecnici” ridurre il debito corrisponde a ridurre la spesa pubblica attraverso il dimagrimento o persino lo smantellamento dello Stato sociale, per sfatare la convinzione tacita e diffusa che rigore significhi sottrazione al pubblico e alla sua dimensione occorre parlare proprio del Tav.

Una scelta che potrà stupire, in un contesto in cui la rappresentazione sociale veicolata dai media relega spesso al silenzio questo tema, e in ogni caso predilige le chiavi semantiche e interpretative della “violenza”, della “tensione”, lasciando spazio comunque più alle azioni che alle ragioni. Nel caso del Tav e dei movimenti ad esso contrari – ma anche nel caso di altre manifestazioni di contestazione che avvengono in Italia quanto in Grecia e altrove – la stampa ci consegna la realtà (semmai decide di raccontarla) attraverso il linguaggio della violenza, con modalità di manipolazione dell’informazione non molto dissimili da quelle già riscontrate negli anni Settanta. L’altra faccia della realtà arriva perciò attraverso la controinformazione, oggi come ieri, e oggi soprattutto grazie alla Rete.

E’ necessario però, per una riflessione compiuta sulla crisi, sollevare il tema Tav dalla dimenticanza generalizzata. Questo perché, come più di ogni altro Ivan Cicconi ha avuto il merito di cogliere e divulgare come dietro la grande opera si nasconda la messa a punto di un potente sistema di ingrossamento e di occultamento del debito pubblico. Di più, questo sistema viene poi replicato e diffuso in altri contesti nazionali e locali. Lo ha affermato la Corte dei Conti: "La vicenda è considerata paradigmatica delle patologiche tendenze della finanza pubblica a scaricare sulle generazioni future oneri relativi a investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico. (...) Si pregiudica l'equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su generazioni future (si arriva in alcuni casi al 2060) ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali". Il sistema inaugurato in grande stile con il Tav prende avvio con la dichiarazione che a pagare saranno i privati, e si conclude con spese reali lievitate ai massimi livelli e in sostanza a carico del pubblico, così come il rischio di impresa. Privatizzazione sì, ma dei profitti, e socializzazione delle perdite.

Inoltre, il sistema Tav, la sua tipica architettura contrattuale, allenta le “briglie” di controllo pubblico su opere pur costose, per di più – la cosa è oggetto di indagine a Torino nel processo “Minotauro” – con il sospetto di infiltrazioni di stampo mafioso nella catena di appalti e subappalti.

Il cuore della questione è che, attraverso specifici istituti contrattuali portati a regime proprio con il Tav, quelli che venivano annunciati inizialmente come finanziamenti privati si rivelano in realtà una quantità amplissima di debito pubblico (una quantità molto più ampia delle previsioni annunciate a inizio opera). Un debito “fantasma” che si annida in società di diritto privato o nella spesa corrente delle amministrazioni pubbliche, e che si tocca con mano poi, che ricade sulle generazioni future fino al 2060, come ipotizza la Corte dei Conti. O persino oltre quella data, visto che l’architettura contrattuale tipica del Tav (basata sul “general contractor” e sul “project financing”) ricorre in realtà in numerose opere riguardanti gli enti locali. Esempi, e analogie con il “sistema Tav”, si trovano infatti a Roma (la Metro C), a Parma (la sede del Comune), a Bologna (la sede del Comune e il People Mover).

Quando il governo Monti ha preso in mano il dossier Tav, un dossier su cui molti fra cittadini e autorevoli professori e professionisti nutrivano perplessità di fondo, nessuna perplessità su questa grande fonte di debito è stata sollevata da parte dell’esecutivo. Il governo “tecnico” ha invece valutato che non valesse la pena neppure di riformare quel progetto coltivato con convinzione bipartisan negli ultimi venti anni e più. Il premier ha piuttosto confermato “piena convinzione e impegno per la realizzazione dell’opera”, riferendo dissenso per la “violenza” delle contestazioni ed esprimendo una blanda comprensione per i timori e l’astio di chi vedeva la Tav come qualcosa di “lontano dal proprio modello di vita”. Eppure la questione non riguarda solo il cortile di qualcuno, né tantomeno solo temi ambientali. Deve saperlo bene anche il governo dei “professori”: sotto questo governo, gli istituti contrattuali che costituiscono la spina dorsale del “sistema Tav”, come quello del project financing, sono stati persino incentivati, ampliati, rafforzati. Il governo dei tecnici ha infatti inserito a ottobre nel Decreto Sviluppo Bis sconti fiscali proprio sui project financing. Ciliegina sulla torta, è stata anche rimandata di almeno due anni la scelta se chiudere o meno la pagina del ponte sullo Stretto, grande opera costata già prima di cominciarla e ritenuta da molti insostenibile dal punto di vista economico.

Ma la più pesante contraddizione è quella di fondo: come mai proprio e anche sotto un governo che vede nella “risoluzione della crisi del debito” la propria mission dichiarata e la principale fonte di legittimità agli occhi dell’opinione pubblica, il sistema Tav non viene scalfito, e anzi viene incentivato? Alla domanda si potrà ipotizzare con facilità qualche risposta. Il debito pubblico “fantasma” nel sistema Tav, nasce sotto le vesti di spesa privata, avvantaggia aziende private, e si rivela poi enorme spesa pubblica, ricadendo sulle generazioni future. Di questo “paradigma Tav” bisognerebbe ricordarsi quando si cade nel mantra “diminuire il debito pubblico=abbattere il welfare state”. O, ancora, quando le tutele sociali vengono smantellate e si prospetta la privatizzazione del pubblico come soluzione, mentre nel contempo non si mette in discussione (né si discute) la socializzazione di profitti privati. Oppure quando gli appelli degli economisti per evitare la recessione rimangono inascoltati. Ma pur volendosene ricordare, della lezione della Tav poco si parla, sui media generalisti, e di tutto ciò in pochi sono consapevoli. Come mai? Questa è forse l’altra contraddizione più pesante da digerire e da superare.

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