Dietro l'alta velocità si
nasconde un meccanismo di privatizzazione dei profitti e di
socializzazione delle perdite. A pagare gli ingenti costi infatti sono i
cittadini, a testimoniarlo la Corte di Cassazione la quale ha
decretato che i "debiti" del Tav verranno pagati dalle generazioni
future fino al 2060.
Privatizzazione
dei profitti e socializzazione delle perdite, il sistema Tav docet.
Nel silenzio generale dei media mainstream. E se per i “tecnici”
ridurre il debito corrisponde a ridurre la spesa pubblica attraverso il
dimagrimento o persino lo smantellamento dello Stato sociale, per
sfatare la convinzione tacita e diffusa che rigore significhi
sottrazione al pubblico e alla sua dimensione occorre parlare proprio
del Tav.
Una scelta che potrà
stupire, in un contesto in cui la rappresentazione sociale veicolata
dai media relega spesso al silenzio questo tema, e in ogni caso
predilige le chiavi semantiche e interpretative della “violenza”, della
“tensione”, lasciando spazio comunque più alle azioni che alle
ragioni. Nel caso del Tav e dei movimenti ad esso contrari – ma anche
nel caso di altre manifestazioni di contestazione che avvengono in
Italia quanto in Grecia e altrove – la stampa ci consegna la realtà
(semmai decide di raccontarla) attraverso il linguaggio della violenza,
con modalità di manipolazione dell’informazione non molto dissimili da
quelle già riscontrate negli anni Settanta. L’altra faccia della
realtà arriva perciò attraverso la controinformazione, oggi come ieri, e
oggi soprattutto grazie alla Rete.
E’
necessario però, per una riflessione compiuta sulla crisi, sollevare
il tema Tav dalla dimenticanza generalizzata. Questo perché, come più
di ogni altro Ivan Cicconi ha avuto il merito di cogliere e divulgare
come dietro la grande opera si nasconda la messa a punto di un potente
sistema di ingrossamento e di occultamento del debito pubblico. Di più,
questo sistema viene poi replicato e diffuso in altri contesti
nazionali e locali. Lo ha affermato la Corte dei Conti: "La vicenda è
considerata paradigmatica delle patologiche tendenze della finanza
pubblica a scaricare sulle generazioni future oneri relativi a
investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li
pone in essere, accrescendo il debito pubblico. (...) Si pregiudica
l'equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su
generazioni future (si arriva in alcuni casi al 2060) ipotetici
vantaggi goduti da quelle attuali". Il sistema inaugurato in grande
stile con il Tav prende avvio con la dichiarazione che a pagare saranno
i privati, e si conclude con spese reali lievitate ai massimi livelli e
in sostanza a carico del pubblico, così come il rischio di impresa.
Privatizzazione sì, ma dei profitti, e socializzazione delle perdite.
Inoltre,
il sistema Tav, la sua tipica architettura contrattuale, allenta le
“briglie” di controllo pubblico su opere pur costose, per di più – la
cosa è oggetto di indagine a Torino nel processo “Minotauro” – con il
sospetto di infiltrazioni di stampo mafioso nella catena di appalti e
subappalti.
Il cuore della questione è
che, attraverso specifici istituti contrattuali portati a regime
proprio con il Tav, quelli che venivano annunciati inizialmente come
finanziamenti privati si rivelano in realtà una quantità amplissima di
debito pubblico (una quantità molto più ampia delle previsioni
annunciate a inizio opera). Un debito “fantasma” che si annida in
società di diritto privato o nella spesa corrente delle amministrazioni
pubbliche, e che si tocca con mano poi, che ricade sulle generazioni
future fino al 2060, come ipotizza la Corte dei Conti. O persino oltre
quella data, visto che l’architettura contrattuale tipica del Tav
(basata sul “general contractor” e sul “project financing”) ricorre in
realtà in numerose opere riguardanti gli enti locali. Esempi, e
analogie con il “sistema Tav”, si trovano infatti a Roma (la Metro C), a
Parma (la sede del Comune), a Bologna (la sede del Comune e il People
Mover).
Quando il governo Monti ha
preso in mano il dossier Tav, un dossier su cui molti fra cittadini e
autorevoli professori e professionisti nutrivano perplessità di fondo,
nessuna perplessità su questa grande fonte di debito è stata sollevata
da parte dell’esecutivo. Il governo “tecnico” ha invece valutato che
non valesse la pena neppure di riformare quel progetto coltivato con
convinzione bipartisan negli ultimi venti anni e più. Il premier ha
piuttosto confermato “piena convinzione e impegno per la realizzazione
dell’opera”, riferendo dissenso per la “violenza” delle contestazioni
ed esprimendo una blanda comprensione per i timori e l’astio di chi
vedeva la Tav come qualcosa di “lontano dal proprio modello di vita”.
Eppure la questione non riguarda solo il cortile di qualcuno, né
tantomeno solo temi ambientali. Deve saperlo bene anche il governo dei
“professori”: sotto questo governo, gli istituti contrattuali che
costituiscono la spina dorsale del “sistema Tav”, come quello del
project financing, sono stati persino incentivati, ampliati, rafforzati.
Il governo dei tecnici ha infatti inserito a ottobre nel Decreto
Sviluppo Bis sconti fiscali proprio sui project financing. Ciliegina
sulla torta, è stata anche rimandata di almeno due anni la scelta se
chiudere o meno la pagina del ponte sullo Stretto, grande opera costata
già prima di cominciarla e ritenuta da molti insostenibile dal punto di
vista economico.
Ma la più pesante
contraddizione è quella di fondo: come mai proprio e anche sotto un
governo che vede nella “risoluzione della crisi del debito” la propria
mission dichiarata e la principale fonte di legittimità agli occhi
dell’opinione pubblica, il sistema Tav non viene scalfito, e anzi viene
incentivato? Alla domanda si potrà ipotizzare con facilità qualche
risposta. Il debito pubblico “fantasma” nel sistema Tav, nasce sotto le
vesti di spesa privata, avvantaggia aziende private, e si rivela poi
enorme spesa pubblica, ricadendo sulle generazioni future. Di questo
“paradigma Tav” bisognerebbe ricordarsi quando si cade nel mantra
“diminuire il debito pubblico=abbattere il welfare state”. O, ancora,
quando le tutele sociali vengono smantellate e si prospetta la
privatizzazione del pubblico come soluzione, mentre nel contempo non si
mette in discussione (né si discute) la socializzazione di profitti
privati. Oppure quando gli appelli degli economisti per evitare la
recessione rimangono inascoltati. Ma pur volendosene ricordare, della
lezione della Tav poco si parla, sui media generalisti, e di tutto ciò
in pochi sono consapevoli. Come mai? Questa è forse l’altra
contraddizione più pesante da digerire e da superare.
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