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29/09/2025

500 dipendenti degli Esteri chiedono al governo di non essere complice del genocidio

Mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani era a ballare alla festa di Forza Italia, qualcosa si era già mosso nel suo dicastero. Qualcosa che mostra come le contraddizioni di questo governo complice del genocidio che si intesta, nel contempo, il ruolo di difensore dei diritti stanno esplodendo. E, più in generale, come la crisi di egemonia delle nostre classi dirigenti è sempre più profonda.

Infatti, in questi giorni sul tavolo del ministro è arrivata una lettera aperta firmata da almeno 500 dipendenti degli Esteri, di tutti i livelli e di tutte le categorie, che chiedono una cosa semplice: di cambiare rotta sulla questione palestinese, per evitare che il governo sia complice di “violazioni gravi del diritto internazionale” e del “genocidio in atto”.

Stando a quel che riporta Fanpage.it, continua ad aumentare il numero di coloro che hanno firmato una serie di richieste precise e ben dettagliate sulla base delle responsabilità che un ministero degli Esteri dovrebbe avere verso il diritto internazionale. La lettera gira solo all’interno della Farnesina, ma il contenuto di questa petizione è stato diffuso da varie testate giornalistiche.

Tra le altre cose, c’è la sospensione dell’Accordo di associazione tra Israele e Unione Europea, il riconoscimento dello Stato di Palestina, sanzioni al governo Netanyahu e ai vertici militari israeliani, lo stop a ogni cooperazione militare con Tel Aviv (incluso il transito di armamenti nei porti italiani), la tutela della relatrice ONU Francesca Albanese e della Global Sumud Flotilla.

I firmatari hanno fatto presente a Fanpage.it il “disagio” del loro ruolo di fronte a quel che succede a Gaza. Poco tempo fa alcuni ex ambasciatori avevano scritto al governo per lo stesso motivo, ma in questo caso si parla di personale in servizio, che sente sulla propria pelle il macigno di dover mandare avanti gli ingranaggi di impegni governativi che coinvolgono anche affari o personalità israeliane.

La linea del ministero, dicono i firmatari, deve cambiare per “consentire all’amministrazione e ai suoi dipendenti di operare in piena coerenza con la Costituzione, con gli impegni internazionali assunti dallo Stato e con l’etica del servizio pubblico”. Nel documento viene ricordato anche il risultato dell’indagine indipendente ONU che ha confermato che a Gaza, Israele sta commettendo un genocidio.

Stando a ciò che è trapelato ai media, la lettera aperta si concluderebbe con una frase molto netta: “come dipendenti del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e cittadini e cittadine della Repubblica italiana le chiediamo urgentemente di non renderci complici”.

Al di là del contenuto della lettera, questo tipo di iniziativa rappresenta, dall’interno del cuore della politica estera, un colpo durissimo alla pretesa superiorità delle ‘democrazie’ dei diritti, la cui difesa viene auto-propagandata come cifra costitutiva dei sistemi politici occidentali, e dunque anche dell’Italia.

Oggi, invece, di fronte a un genocidio, i dipendenti degli Esteri stanno dimostrando di ripudiare l’auto-assoluzione di tutti quei funzionari pubblici che, 80 anni fa, provarono a difendersi dalle accuse di aver partecipato all’Olocausto dicendo che, semplicemente, avevano eseguito gli ordini.

Non si tratta certo di un ‘ammutinamento’, ancora, ma rimane comunque una potente espressione di coscienza che pone ulteriormente sotto accusa il governo.

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