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18/09/2025

Siria - Rimandate le elezioni farsa, mentre l’ex al-Qaeda Ahmad al-Sharaa è atteso all’ONU

Questa settimana avrebbe dovuto rappresentare il ritorno della Siria nell’alveo della ‘comunità internazionale’. Ovviamente, nell’accezione che gli viene data alle nostre latitudini, ovvero il ristretto gruppo dei paesi occidentali e i loro alleati, fintamente democratici o genocidiari che siano. Il combinato disposto di elezioni e ritorno all’ONU avrebbe sancito questo grande passo.

Solo metà di questo piano troverà realizzazione. Infatti, la tornata elettorale per un rinnovato Parlamento di Damasco, che avrebbe dovuto svolgersi tra il 15 e il 20 settembre, è stata rinviata a data da destinarsi. Dopo 9 mesi dalla caduta di Assad a detenere il potere in un paese ancora dilaniato dagli scontri interni è l’ex qaedista Ahmad al-Sharaa, conosciuto precedentemente col nome di battaglia al-Jolani.

Non che si trattasse di un processo davvero democratico quello delle legislative previste per questa settimana, nemmeno secondo i labili canoni dei governi occidentali (che si sono guardati bene dal denunciare la truffa della tornata elettorale imminente). Dei 210 seggi della nuova Aula, 70 erano fuori dall’agone elettorale perché già selezionati personalmente da al-Sharaa.

Anche gli altri 140, ad ogni modo, non sarebbero stati eletti direttamente e liberamente dal popolo. I votanti avrebbero potuto scegliere tra una rosa di candidati selezionata da comitati elettorali locali, a loro volta composti dalla Commissione Elettorale Suprema. La quale è, in sostanza, in mano al presidente ad interim al-Sharaa e al suo entourage più fedele.

Si sarebbe trattato – e si tratterà, se queste elezioni verranno espletate entro questo mese, come promesso – della semplice saldatura di un gruppo dirigente islamista alla guida del paese. Il mantenimento dello status quo, nel tentativo di rafforzare la tenuta degli ex qaedisti alla testa della Siria. Perché, nei fatti, il paese è ancora ben lontano dalla pacificazione.

La farsa di queste elezioni è confermata dal fatto che non c’è un dato preciso di quanti siano gli elettori effettivamente chiamati al voto. È del resto anche difficile immaginare uno svolgimento ordinato delle procedure in zone come quelle di Tartus e Latakia, dove le forze di sicurezza del regime e bande collegate avrebbero ucciso, si stima, oltre 1.500 civili alawiti negli ultimi mesi.

Ma la frattura del paese è resa ancora più esplicita dal fatto che dalla tornata elettorale erano già stati esclusi il governatorato di Suwayda, quello di Hasakah e anche quello di Raqqa. In questi ultimi due abitano le comunità curde, escluse per quelli che sono stati definiti come “problemi di sicurezza”. Di nuovo, è difficile immaginare una stabilizzazione dei rapporti in questo modo.

Nel primo governatorato, invece, sono diffusi i drusi, che hanno ricevuto lo stesso trattamento riservato agli alawiti, e sono poi diventati il capro espiatorio per le incursioni di Israele alla ricerca di un’espansione dell’occupazione sulle alture del Golan. Ma proprio per il ruolo giocato nello scenario fondamentale della guerra regionale aperta da Israele, Suwayda è stata al centro di altri accordi.

Lo stesso giorno in cui sarebbero dovute partire le elezioni, Siria, Stati Uniti e Giordania si sono accordati per la co-gestione della regione. Suwayda rimane formalmente sotto l’autorità di Damasco, ma le sue forze non potranno entrare nell’area, la cui sicurezza sarà affidata a una milizia locale. Un’altra limitazione della sovranità siriana, non l’affermazione di un nuovo corso dopo Assad.

Secondo alcuni analisti questo compromesso è stato cercato da Washington per rispondere agli interessi di Israele, che si è sempre opposto alla presenza di militari siriani nella zona, a ridosso del Golan. Che ciò sia davvero in linea con la volontà di Tel Aviv, e non un tentativo statunitense di tamponarne l’ormai evidente fame espansionistica, è ancora da verificare.

Al-Sharaa sarà il primo presidente siriano a parlare all’Assemblea Generale dell’ONU dal 1967, e il suo regime fondamentalista otterrà così quella ‘legittimazione’, almeno sulla carta, che i paesi occidentali gli vogliono riconoscere. Allo stesso tempo, però, il ministro della Diaspora israeliano ha definito pubblicamente Turchia, Siria e Qatar il nuovo “asse del male”.

Considerato che questa è la definizione da sempre data all’Iran e ai suoi alleati, ci si deve aspettare che le operazioni militari in questo scenario siano ancora lontano dall’essere concluse.

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