di Alessandro Volpi
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti hanno celebrato con grande fasto la promozione dell’agenzia di rating Fitch che porta il debito italiano da BBB a BBB+. Sono necessarie però alcune considerazioni in merito.
La prima. Il giudizio di Fitch si basa fondamentalmente sulla capacità dello Stato che emette il debito di garantirne il pagamento. Tale capacità, a sua volta, viene fatta discendere dalla stabilità politica del Paese, dal livello di indebitamento che deve essere tendenzialmente basso, soprattutto in relazione al Pil, dalla solidità delle istituzioni finanziarie, dalla natura e dall’andamento del mercato del lavoro. In altre parole, un Paese con un governo che non avesse opposizione è più sicuro di una democrazia matura, un Paese che fa poca spesa sociale e magari ha un Pil trainato solo da esportazioni e da rendimenti finanziari di cui beneficiano le classi alte è più sicuro, un Paese che ha un mercato del lavoro con poche rivendicazioni in termini di aumenti salariali è più sicuro.
Nelle valutazioni di Fitch, così come in quelle delle altre agenzie di rating, non compaiono le disuguaglianze sociali se le eventuali tensioni sono ben sorvegliate, non figurano indicazioni sulla natura del Pil, se cioè dipenda in larga misura dalla rendita piuttosto che dal lavoro, e neppure contano le considerazioni sulla capacità del sistema delle banche e delle assicurazioni di garantire servizi collettivi non condizionati dal monopolio.
Verrebbe da dire che Fitch, come le altre agenzie, premiano austerità, disuguaglianza sociale, riduzione della spesa pubblica e sistemi bancari e finanziari monopolistici. In pratica premiano il capitalismo finanziario. Non è un caso dunque che nei primi dieci posti della classifica di Fitch ci siano tre paradisi fiscali, la Svizzera, la Norvegia, che dispone di un colossale fondo sovrano alimentato da petrolio e gas, e Paesi con poco debito e disuguaglianze non trascurabili.
Vale la pena di ricordare infine che Fitch è di proprietà del gruppo Hearst, con la presenza, oltre che dei membri della famiglia, dei grandi gestori del risparmio – BlackRock, Vanguard e State Street – attraverso alcuni fondi fiduciari.
Ultima considerazione sulla tanto sbandierata riduzione del costo degli interessi per effetto della “promozione”: in merito bisognerebbe ricordare che BBB+ è ancora una collocazione a rischio e dunque il beneficio in conto interessi è tutto da valutare, visto peraltro che i decennali italiani pagano oltre il 3,5% e devono fare i conti con una vasta concorrenza più remunerativa, a cominciare dai titoli Usa. In questo senso è indispensabile ricordare i numeri veri piuttosto che le previsioni. Per effetto della concorrenza dei rendimenti europei che, compreso quello tedesco, non sono troppo lontani o superano il 3%, con quello inglese al 4,7%, il Tesoro italiano ha infatti pagato interessi nel 2023 per 75 miliardi di euro, saliti a quasi 90 nel 2024 e ora stimati in una cifra analoga nel 2025 senza grossi scostamenti da quanto pagato l’anno passato.
Nel caso italiano pesa, in particolare, la significativa porzione di debito che è ancora nelle mani della Banca d’Italia, resa possibile dai finanziamenti della Bce che sono stati interrotti dal dicembre del 2023 e che quindi devono trovare una sostituzione, destinata a indirizzare la ricerca verso i grandi gestori di risparmio globali, BlackRock in primis, molti attenti alla pluralità delle offerte provenienti da più parti del Mondo. Inoltre, proprio per i criteri già ricordati, se il Governo Meloni approvasse una legge di bilancio meno dipendente dall’austerità e dal riarmo, che non è conteggiato ai fini dei vincoli europei, è molto probabile un aumento ulteriore ed immediato degli interessi in barba a Fitch.
Insomma Giorgia Meloni esulta per la mini promozione fornitale da un arnese del capitalismo finanziario i cui benefici, in termini di finanza pubblica e quindi per la popolazione italiana sono pressoché inesistenti, mentre per la presidente del Consiglio significa la piena dichiarazione di fede all’ordine della grande finanza Usa.
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