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23/09/2025

Si sono rotti gli argini

In Italia, lunedì 22 settembre, è successo qualcosa di enorme significato politico, che segna probabilmente l’inizio della fine della “passività sociale”.

Uno sciopero generale convocato da un sindacato come l’USB – rilevante, ma certo non delle dimensioni delle due formazioni di regime che ancora dominano il panorama sindacale – si è saldato con il sentimento di ribellione pacifica di milioni di persone che assistono da due anni a un genocidio in diretta tv.

L’arco delle associazioni o delle organizzazioni che avevano convocato la mobilitazione era certamente vasto, come tante altre volte era avvenuto, ma mai aveva messo in moto una massa di gente come quella che si è vista ieri.

La domanda a cui rispondere è terribilmente semplice e complicata: cosa unisce quella massa? Cosa la terrà insieme, facendola crescere, nei prossimi mesi e anni?

Cercare di isolare l’aspetto economico-vertenziale, tipicamente sindacale, rispetto a quello politico, sociale, umano, oggi sta diventando impossibile. La realtà del mondo attuale tiene insieme senza possibilità di separazione i dati “strutturali” e l’universo delle contraddizioni sociali, anche solo “valoriali”.

Lo hanno capito per primi e meglio quei lavoratori che hanno coniato la parola d’ordine “Giù le armi, su i salari!”. Perché mai come oggi è visibile, sentito sulla propria pelle, la catena che unisce l’impoverimento di chi pure un lavoro ce l’ha e le guerre alle nostre porte.

Mai come oggi è apparso così chiaro che il mostruoso arricchimento di pochissimi si nutre di un iper-sfruttamento che culmina nell’azzeramento non solo della dignità del lavoratore, ma della sua stessa vita. I sempre più numerosi “incidenti sul lavoro” vengono ormai comunemente chiamati “omicidi”. E non più “bianchi”, attribuibili alla pura sfortuna individuale, ma cinicamente messi in conto da imprenditori senza scrupoli e con il permesso di politici senza onore. Se non propriamente “premeditati”, di certo per nulla resi evitabili. Anzi... 

Ma tutto questo sarebbe ancora rimasto confinabile all’interno della normale dialettica conflittuale tra capitale e lavoro. La guerra in Ucraina, l’irresponsabile ricerca dell’escalation da parte dei corrotti ai vertici dell’Unione Europea e dei singoli Stati, l’intollerabile “doppio standard” applicato a comunque terribili episodi del tutto simili, ha progressivamente chiarito che i “valori dell’Occidente” capitalistico cominciano e finiscono dentro le colonne dei libri contabili. Se c’è profitto bene, altrimenti potete morire tutti. Voialtri poveri e rompiglioni, naturalmente... 

Ma è stata soprattutto Gaza, quel genocidio quotidiano in prima serata negato dagli stessi servi che pure devono in qualche modo “parlarne”, quell’infinito distruggere case e corpi di untermeschen – oggi i palestinesi nella visione dei nazisionisti, ma anche gli arabi in genere, che non esistono, almeno fino a quando non fanno Resistenza – ha messo definitivamente nero su bianco, fotogramma dopo fotogramma, che i “diritti umani” sono per le classi dominanti un escamotage linguistico, una finzione letteraria distesa su una realtà orrenda.

Se il diritto alla vita può essere così brutalmente cancellato per un intero popolo, gli altri “diritti” sono chiacchiere e distintivo, carburante per i talk show, esigibili dai “nostri” ma impraticabili per tutti gli altri.

Il limite dell’inumano è stato superato migliaia di volte, fino a quel “definisci bambino” intimato tra i denti da un sionista israeliano che è riuscito a fa imbestialire persino un anziano comico che aveva mantenuto una sua umana scala dei valori.

L’orrore, il puro orrore, è ormai la vera cifra della “civiltà occidentale”, da Washington a Tel Aviv.

A tutto questo, ed anche tanto altro, quella massa di gente scesa in piazza ieri pretende di dire “basta!” Lo pretende sapendo benissimo che i rispettivi governo e insiemi di governi (UE, Nato, ecc.) sono completamente sordi e ciechi.

Un orrore che va logicamente oltre i confini del “semplice” conflitto di classe, lo scontro sui salari, il welfare, la sanità, la libertà individuale (di fare i soldi; di più non è dato). Ma che pure comprende in sé tutti quei temi su cui ognuno, in misura diversa, ogni giorno verifica l’invivibilità di questo sistema di accumulazione. Non “di vita”, ma il suo contrario... 

La dimostrazione empirica è arrivata – in modo assolutamente inatteso – dagli automobilisti bloccati nel traffico, che hanno applaudito a scena aperta i manifestanti che pure li stavano “infastidendo”. Per molto meno, solo pochi mesi fa, i ragazzi di Ultima Generazione erano stati picchiati.

Se così è, come ci è sembrato girando nell’immenso corteo di Roma ed anche in altri, in primo luogo dobbiamo riconoscere che quella massa di gente – lavoratori, studenti, pensionati, madri, ecc. – sta cercando una rappresentanza soprattutto ideale, valoriale, culturale in senso ampio.

Cerca un qualcosa che difenda tutto ciò in cui crede – anche differenziato, com’è giusto che sia – e lo proponga sulla scena conflittuale e politica come un modo d’essere e di pensare, sia il presente che il futuro.

È molto di più di una “rappresentanza politica” da votare alle prossime elezioni, ma qualcosa di più autentico, profondo, duraturo, nella speranza di cambiare totalmente la fogna in cui annaspiamo. Una visione del mondo coerente, sostenuta da forze organizzate magari ancora minoritarie, ma sicuramente non disposte a scambiare valori ideali con poltrone.

Qualcosa è nato. È un blocco sociale atipico, rispetto al lontano passato. Ma in fondo questi sono altri tempi – tempi di guerra e quindi di rivoluzioni – e non possiamo né dobbiamo cercare il “già noto” per affrontare l’ignoto. È un nuovo scenario, che richiede nuovi occhiali.

Lavorare con attenzione e rispetto perché cresca, si consolidi, si chiarisca intorno a qualsiasi tema, è la precondizione per sperare di farlo arrivare vivo al traguardo. Quello di un mondo senza suprematismi di classe o religiosi, e dunque senza sfruttamento, senza guerra e senza genocidi.

P.S. Com’era prevedibile, il governo – tramite la polizia – ha cercato almeno a Milano di far scomparire il tanto che abbiamo provato a descrivere sotto il “già noto” con gli “scontri” . Un modo molto mediatico di far parlare d’altro ai tanti ignobili individui che popolano gli scranni di Parlamento, governo e redazioni.

Gentucola che non aspettava altro per continuare come prima a difendere il genocidio e il riarmo, tacciando gli altri di “violenza”. Se non sanno distinguere quattro vetri rotti da uno sterminio senza fine, forse hanno bisogno di un oculista straordinariamente bravo, di quelli che sanno guardare in fondo a un cervello svenduto.

Su una cosa comunque ha ragione Giorgia Meloni, quando ha commentato le cariche di Milano definendole “violenze e distruzioni che non cambieranno di una virgola la vita delle persone a Gaza”.

In effetti le armi e la copertura politica che il suo governo continua a dare ad Israele hanno conseguenze molto più “efficaci” sulla vita delle persone di Gaza.

Le annientano.


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