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26/09/2025

Petro all’ONU invoca la creazione di una forza di difesa dei palestinesi, e attacca gli USA sull’America Latina

Il discorso che Gustavo Petro ha tenuto all’80esima Assemblea Generale dell’ONU, lo scorso 23 settembre, non ha attirato l’attenzione che merita sui media nostrani. Ma le parole che ha pronunciato alle Nazioni Unite come presidente della Colombia – il prossimo anno ci saranno le elezioni – sono, in realtà, di una portata dirompente, sotto tanti aspetti che vale la pena accennare.

L’elemento di certo più significativo è la proposta che l’ONU crei una forza armata internazionale che protegga i palestinesi dal genocidio perpetrato da Israele. La responsabilità di Tel Aviv in questo senso è confermata da un’indagine indipendente delle stesse Nazioni Unite, che in passato non hanno mancato di approvare varie altre missioni di cosiddetto peacekeeping.

Ma in questo caso Petro si è spinto oltre, denunciando anche i meccanismi con cui spesso l’ONU è ridotto all’immobilismo. Il presidente colombiano ha criticato gli Stati Uniti, per aver posto il veto sul cessate il fuoco nella Striscia, nella votazione del 18 settembre. Dunque, ha invocato il cambiamento delle regole di questi consessi, per far fronte a squilibri non più accettabili.

Ha, però, fatto qualcosa in più. Sottolineando come l’opposizione al genocidio non si possa fermare alle sole condanne, e nemmeno alle risoluzioni di cui, purtroppo, abbiamo visto Israele fregarsene tranquillamente, Petro ha chiesto che sia l’Assemblea Generale, senza il blocco del Consiglio di Sicurezza, a votare per creare questa forza di protezione internazionale dei palestinesi.

Non si tratterebbe, dunque, di un intervento dei ‘caschi blu’, bensì “un potente esercito di paesi che non accettano il genocidio”, riporta El Pais. “La diplomazia ha già esaurito il suo ruolo nel caso di Gaza”, ha aggiunto Petro, ed è dunque ora di intervenire per fermare Israele, lì dove l’Occidente ha fallito la missione che propaganda di avere, cioè quella di tutelare diritti umani e democrazia.

Perché infatti, nella parole di Petro, c’è qualcosa di più della semplice insofferenza di fronte alla pulizia etnica che non accenna a fermarsi. C’è una presa di posizione contro il capitalismo occidentale, una presa di posizione netta contro l’ordine – o disordine – guidato dagli USA e, a seguire, dalle potenze sue ‘alleate’, o per meglio dire vassalle.

C’è la rivendicazione del ruolo che deve avere il Sud Globale di fronte all’ennesimo genocidio e all’ennesima guerra mondiale, seppur a pezzi, a cui il colonialismo e il suprematismo occidentali stanno obbligando il mondo intero ad assistere e partecipare. O a subire attacchi o, peggio, la stessa sorte di Gaza.

“Ci stanno mostrando che quello che succede a Gaza – ha detto Petro – potrebbe succedere anche a noi. E lo stiamo già vedendo con i missili in America Latina contro giovani disarmati che non hanno colpe”. Il riferimento è agli attacchi portati dagli Stati Uniti contro delle navi al largo del Venezuela, che con la scusa del narcotraffico mirano a destabilizzare il paese e l’intera regione.

A farne le spese sono stati già diversi pescatori. Washington ha escluso la Colombia dalla lista dei paesi alleati nella lotta alla droga. Ma su questo Petro è stato chiaro: “la politica antidroga [degli USA, ndr] non ha lo scopo di impedire alla cocaina di raggiungere gli Stati Uniti. Lo scopo è dominare la popolazione del Sud in generale”.

Il presidente colombiano ha individuato in fatti che sembrano così diversi e lontani un minimo comune denominatore nell’espansionismo occidentale e nell’arbitrio della NATO, che minano i reali processi democratici e favoriscono l’emergere di nuove tirannie. Mentre Petro diceva tutto ciò, la delegazione statunitense non c’era, perché aveva lasciato l’aula.

È un piano inclinato che va verso la guerra, quello del capitale occidentale, o verso la distruzione del pianeta. “Ci siamo sbagliati – ha detto Petro – le Nazioni Unite si sono sbagliate, non ci sarà un capitalista buono che investirà nell’energia verde, non esiste il capitalismo verde. Il capitale investirà sempre nell’energia fossile a meno che qualcuno non lo vieti”.

Quella del presidente di Bogotà non è una critica verso un governante o un’azione (per quanto possa essere terribile, come un genocidio), ma è una condanna senza appello a un intero sistema politico e di sicurezza internazionale – fallimentare – e a un modello di sviluppo che ha prodotto solo disuguaglianze, povertà e, infine, persino l’avvelenamento dell’ambiente in cui viviamo.

Per concludere, e tornando alle proposte fatte per l’emergenza più immediata, ovvero lo sterminio dei palestinesi, Petro chiama i paesi che si oppongono al genocidio a intervenire concretamente. Col discorso che ha tenuto, ha però inserito questo intervento in quadro di compiti più ampio e più alto: quelli del Sud Globale di liberarsi dal giogo del capitale occidentale, e di farsi infine alternativa di giustizia e pace.

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