I Pixies sono tra i gruppi più influenti per il grunge, nonché nomi di primaria importanza per il rock cosiddetto alternativo di fine anni Ottanta. Volendo spingersi un po' oltre, si può dire che insieme ai Melvins hanno delineato una buona parte dell’approccio grunge al rock: un intrecciarsi di melodia e fragore, gestito attraverso forti contrasti, e una propensione allo sviluppo eccentrico dei brani. Se i Melvins sono il punto di riferimento per gli aspetti più brutali e grezzi, ai Pixies riconduciamo facilmente la dimensione più vicina alla forma canzone, un’adesione all’idea che strofa, ritornello, bridge e assoli sono ancora l’ineludibile punto d’approdo del rock, anche se alternativo, anche se creativo.
Il primo album dei Pixies, la pietra miliare “Surfer Rosa” (1988), è una colorata giostra di intensità ed emotività, chitarre distorte e ballate stralunate. Grazie anche alla produzione di Steve Albini, in alcuni momenti è assordante e travolgente, come in “Something Against You”, altre volte dondola tra fragilità e potenza, come in “Gigantic” o “Where Is My Mind”. “Doolittle” (1989) viene pubblicato con un carico di aspettative importante: la band ha già raccolto i consensi di una parte della critica, il pubblico degli alternativi ha iniziato ad attenzionare il gruppo e sembra la classica occasione da non perdere. Rimane soprattutto da convincere il mercato statunitense, mentre nel Regno Unito i vari Melody Maker, NME e l’immancabile John Peel hanno già riconosciuto alla band lo status di fuoriclasse. Cambia il produttore: da Steve Albini a Gil Norton, con cui avevano già lavorato per la versione singolo di “Gigantic”. La storia produttiva, che abbiamo già approfondito, racconta di un album con un budget quadruplicato rispetto a “Surfer Rosa” e un approccio assai più incline a fare risaltare la stralunata vena melodica della band, senza accantonare i violenti e disorientanti contrasti con il lato più rumoroso di derivazione punk e hard-rock.
Le chitarre stratificate del surf-punk di "Debaser" sono un po' il manifesto del sound dell’album, portato all’ascoltatore in un brano dove Black Francis urla come un invasato, Kim Deal sussurra elegiaca e Joey Santiago si sfoga tra riff hard-rock e assoli acidi. L’equilibrio instabile si ripresenta in "Wave Of Mutilation", questa volta un canto assai melodico ma con rinforzi ritmici e fendenti maestosi di chitarra e "Gouge Away”, che sembra troncare i climax e sedare la sua rabbia. Tornano le due voci in "I Bleed", in pieno quiet/loud, con Black Francis che gigioneggia su toni baritonali mentre impazza un carillon distorto che rimanda a “Where Is My Mind?”.
Il volto più pop è invece valorizzato dalle strampalate "Here Comes Your Man" e soprattutto "Monkey Gone To Heaven", entrambe attraversate da una sensibilità psichedelica e la seconda arrangiata persino con archi.
Ancora presente anche la dimensione più sgangherata e imprevedibile, qua articolata nella strampalata miscela reggae-punk "Mr. Grieves", nell’invasata e breve scheggia country-punk di "Crackity Jones" e nel country-blues inquietante di "Silver".
La brutale miscela di "Tame", dilaniante nella dinamica di tensione e rilascio, è invece un momento di violenza viscerale, mentre “Dead” sembra una strana commistione tra un sound minaccioso stile Melvins e dei ritornelli più melodici di matrice post-punk.
"Hey” è uno dei momenti in cui risalta la chitarra di Santiago, il suo approccio “lirico” allo strumento, malinconico e distorto.
“Doolittle” è un discreto successo di pubblico e soprattutto di critica, ancora una volta più nel Regno Unito che in patria. Le radio dei college statunitensi faranno di "Monkey Gone to Heaven" un loro inno. Nel tempo, “Doolittle” arriverà a superare il milione di copie in patria, secondo la tipica dinamica dei cosiddetti long seller. Mtv, all’epoca una superpotenza nel definire il successo musicale degli artisti, integrerà i Pixies nella rotazione giornaliera, facendone un nome riconoscibile anche fuori dall'underground. Certamente, poi, un importante contributo al duraturo successo dell’album, e della band, lo daranno le testimonianze di tanti musicisti degli anni Novanta che a queste canzoni si sono ispirati più o meno apertamente. Uno dei tanti, potreste averlo già sentito nominare, è un certo Kurt Cobain.

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