Ieri sera, come di consueto, la giornata ha esalato l’ultimo respiro davanti al “solito” bicchiere (un Baileys vergognosamente annacquato) consumato nel “solito” pub della periferia.
La compagnia era nutrita e notevolmente variegata, forse anche troppo. Complice questo fattore, che porta inevitabilmente al formarsi di gruppi che discutono per i cavoli propri, cui si è aggiunto il mio personale scazzo accumulato nel corso dell’intera settimana, non mi è stato difficile estraniarmi dalla tavolata e perdermi nella canonica riflessione inutile del venerdì.
Come già capitato in passato, ho iniziato a rimuginare sulla pochezza che accompagna in maniera sistematica i discorsi che mi trovo a seguire, più o meno attivamente, quando sono in compagnia. Che sì tratti di politica, tecnologia, lavoro o figa, sì finisce sempre con l'imbastire discussioni molto superficiali e banali (tipiche le battute sul fatto che quelli dai 35 in giù mai vedranno la pensione mentre io mi domando che cazzo d’ironia si debba fare su una sciagura che piomberò in testa anche a me, o le digressioni appassionate sull’ennesima funzionalità del menga scoperta all’interno dello smartphone di turno).
L’ambiente, manco a dirlo, non mi facilita il compito di traghettare il discorso in lidi per me più interessanti, come la musica appunto. Quando la fortunata combinazione sì verifica di solita grazie al passaggio di una canzone che mi fa venir voglia di troncare con violenza la conversazione in corso, anche il mio momento sì perde nel soffritto delle frasi fatte e di un approccio al discorso che, oltre a mettere in luce la totale mancanza di passione viscerale per la materia, diventa vetrina per la propria ignoranza. Quando in radio passa Jump, rimango basito nel constatare che nessuno conosca l’autore del pezzo, per non parlare di come mi cadano le braccia quando sì verifica la medesima situazione con un brano dei Depeche Mode o dei Dire Straits (non due nomi con la notorietà dei Profanatica).
Magari sono menagramo io, ma più passa il tempo più ho l’impressione che l’Italia sia un paese totalmente privo di qualsiasi cultura musicale, soprattutto riguardo alla produzione sonora successiva alla fine dell’epopea classica e lirica. Del resto basta pensare al panorama artistico post seconda guerra mondiale per rendersi conto che l’Italia è rimasta sostanzialmente ferma. Tolti i cantautori (io salvo quelli del periodo “impegnato” gli altri li butterei volentieri in un fosso), il bel paese non è stato in grado di partorire praticamente nulla, eccezion fatta per alcune notevolissime band di rock progressivo che però mai hanno incontrato i favori del mio palato e qualche sporadica formazione metal che ci ha messo comunque poco a sparare tutte le cartucce a propria disposizione.
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