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07/06/2010

Una questione privata

Leggendo in rete i responsi del pubblico che ha assistito ai tre concerti dei Megadeth in terra italiana, mi sono stupito di quanto l’evento sia passato in sordina all’interno della mia agenda impegni.
Nonostante avessi grassettato la data all’Alcatraz di Milano, me ne sono ricordato solo a cose avvenute, rendendomi conto che vivo la musica alla stregua di una questione privata. E’ ormai da molto, infatti, che l’entusiasmo per un concerto latita e la soddisfazione dopo una serata spesa a seguire il gruppo di turno non è minimamente paragonabile a quanto assaporavo in passato.
Le motivazioni di questo cambiamento sono molteplici: in prima battuta è venuto drasticamente meno quel senso d’appartenenza al “gruppo” (di metallari) che, insieme alla passione strettamente musicale, mi spingeva a macinare chilometri per recarmi a un concerto. Oggi, difficilmente tollero per più di una mezz’ora d’essere fisicamente inserito in quell’orda che non perde occasione per mettere in mostra la divisa (magliette, giubbotti carichi di toppe, jeans attillati, scarpe da basket vintage) e farsi bandiera di un’attitudine che va bene su MySpace, ma nella vita di tutti i giorni è mero estetismo ai livelli delle chiome “singolari” degli emo.
Unitamente all’insofferenza nei confronti del pubblico sì è aggiunta una certa pignoleria nei confronti dell’organizzazione logistica dei concerti che, ahimè, negli ultimi 2 – 3 anni è calata drasticamente. Tra gli obblighi di legge (vedi Milano, dove gli strumenti devono zittirsi entro la mezzanotte o giù di lì), la penuria di locali adatti a riprodurre musica distorta (ormai è prassi imbucare ogni gruppo nelle bullonerie riciclate più indecenti) e fonici incapaci di ogni latitudine, godersi un concerto è divenuta quasi un’utopia, perché nella maggioranza dei casi mi ritrovo a fine serata con le orecchie infestate da un rimbombo tale che il basso di Verni su W.F.O. pare uno strumento educato.
In sintesi, la situazione fa acqua da tutte le parti e se a questo aggiungo che una trasferta mi scuce dal portafoglio minimo 100€ (che non spendo in puttanate del tipo litri di birra scrausa, magliette, spille e altre amenità da defender de noialtri) mi vien da pensare che in fondo i Darkthrone, con una carriera spesa a macinare palate di dischi senza mai scomodarsi per una data dal vivo, hanno capito tutto!

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