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04/12/2025

“Don’t Buy Into Occupation”. Ancora complicità italiane nel genocidio dei palestinesi

C’è un fiume di denaro che continua a scorrere dall’Europa verso le aziende che sostengono l’occupazione israeliana e la guerra a Gaza, nonostante le varie condanne internazionali e la millantata adesione dei governi occidentali al rispetto dei diritti dei palestinesi.

È quanto emerge dal quinto rapporto annuale “Don’t Buy Into Occupation” (DBIO), redatto da una rete di 25 associazioni palestinesi ed europee. Il documento, pubblicato nel novembre 2025, denuncia la complicità sistemica tra istituzioni finanziarie europee e quella che viene definita non più solo un’economia di occupazione, ma un’economia di genocidio. Sono le parole già scritte dalla Relatrice Speciale ONU Francesca Albanese, che ha firmato la prefazione al rapporto.

La coalizione DBIO ha deciso di ampliare il suo raggio d’azione, quest’anno, propria sulla base delle indicazioni emerse dai rapporti della Albanese, del pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia del luglio 2024, con la quale l’intera presenza israeliana nei territori occupati è stata dichiarata contraria al diritto internazionale, e della commissione di esperti ONU che nel settembre 2025 ha confermato il genocidio a Gaza.

Dunque, la lista delle aziende censite da DBIO non si limita più a tracciare i legami con gli insediamenti illegali in Cisgiordania, ma esamina tutti i flussi finanziari verso imprese coinvolte in attività che sostengono il mantenimento dell’occupazione illegale, nonché nelle attività ricollegabili al genocidio dei palestinesi.

La lista stilata dal rapporto ha così identificato 104 aziende che rispondono a questi criteri. Grazie anche all’aiuto e al sostegno dell’organizzazione Profundo, DBIO ha individuato ben 1.115 istituzioni finanziarie europee (tra banche, fondi pensione e assicurazioni) che possiedono azioni o obbligazioni delle 104 attività sopra citate, per un valore di oltre 1.500 miliardi di dollari. Da sole, le prime 100 rappresentano quasi 1.362 miliardi di questo totale.

Si tratta di una cifra smisurata, difficile da comprendere per chi campa con salari che si aggirano sui mille euro al mese. Tra il gennaio 2023 e l’agosto 2025, inoltre, molte di queste istituzioni hanno fornito 310 miliardi di dollari in prestiti e sottoscrizioni, dando un contributo sostanziale alla tenuta delle operazioni terroristiche del sionismo.

Tra i principali creditori figurano colossi bancari come BNP Paribas (41,4 miliardi di dollari), Deutsche Bank (38,3 miliardi) e Barclays (30,6 miliardi). Sul fronte degli investitori, spiccano il Fondo Pensione Governativo Norvegese, Crédit Agricole e Legal & General.

Non bisogna però pensare che l’Italia non abbia un ruolo nell’occupazione e nel genocidio dei palestinesi. Tra i creditori, al 12esimo posto c’è Unicredit, per un totale di oltre 9 miliardi di dollari. Tra gli investitori, invece, troviamo Intesa Sanpaolo con quasi 12 miliardi e altre società, tra cui Assicurazioni Generali e Banca Mediolanum.

Tra le 104 aziende coinvolte nell’economia dell’occupazione e del genocidio, moltissime di queste sono impegnate in settori critici come quello militare, tecnologico, estrattivo, ma anche in quello turistico. Tra queste figurano giganti globali. La lista non sorprende, dopo le ricerche di Francesca Albanese: Leonardo, BAE Systems, Rheinmetall, ENI, Amazon, Google, Microsoft, Airbnb, Booking.com, Tripadvisor e Volvo sono solo alcune delle più famose.

Nonostante il quadro cupo, il rapporto evidenzia una crescente ondata di disinvestimenti nel corso del 2025. Diverse istituzioni hanno iniziato a tagliare i legami con le aziende complici dei crimini israeliani, e questo è certamente un segnale incoraggiante. DBIO invita, inoltre, ad adottare una due diligence rafforzata sui diritti umani, da parte delle aziende, e a disinvestire prontamente dalle entità che contribuiscono all’occupazione e al genocidio.

Chiede, infine, che gli stati e le istituzioni europee adottino legislazioni che vietino il sostegno finanziario a tali attività, oltre l’imposizione di un embargo militare completo e l’esclusione delle aziende complici dagli appalti pubblici. Come scrive Francesca Albanese nella prefazione, bisogna fare in modo che “il commercio non operi più come motore di colonizzazione e cancellazione”.

Ma serve anche un’ulteriore presa di posizione per isolare ulteriormente Israele, e condurre così la lotta verso la fine dell’apartheid e dell’occupazione. Serve tagliare ogni tipo di accordo, militare, economico, diplomatico, accademico, con le istituzioni israeliane. Il genocidio non è di certo concluso e non può esserlo nemmeno lo sforzo internazionalista al fianco dei palestinesi.

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