Il documento sulla Strategia per la Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Trump pubblicato venerdì si propone di “ripristinare la preminenza americana nell’emisfero occidentale”, rilanciando esplicitamente la dottrina Monroe, nata per contrastare qualsiasi ingerenza europea nell’emisfero occidentale e in seguito utilizzata per giustificare gli interventi militari statunitensi in America Latina. Contestualmente indica un esplicito bye bye ai vecchi partner europei, anzi li indica quasi esplicitamente come dei competitori.
La frammentazione del mercato mondiale e la riorganizzazione imperialista fondata su blocchi regionali, economici e geopolitici, va prendendo forma piuttosto nitidamente.
Ma se sull’America Latina si torna ad ambizioni egemoniche e linguaggi ottocenteschi, è proprio sull’Europa che il documento di 33 pagine utilizza un linguaggio nuovo definendola a rischio di “cancellazione della civiltà” dovuta al declino economico, alla crisi demografica, alle politiche migratorie permissive e all’erosione della libertà di espressione.
In un paragrafo, appena più rassicurante per i governi europei già andati nel panico, è scritto che “l’Europa resta tuttavia strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti”, ma il rapporto manifesta una visione piuttosto diversa rispetto al passato, sottoposta a giudizi non certo lusinghieri per i partner storici europei finora giudicati affidabili, dal dopoguerra in poi, da ogni amministrazione Usa.
La nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale USA indica un quadro del mondo contemporaneo che non lascia margini di ambiguità. Gli Stati Uniti intendono riaffermare la propria centralità e supremazia economica, militare, ideologica e tecnologica, ponendo fine ad ogni istanza multilateralista che – sebbene da sempre subalterna al Washington Consensus – fino a pochi anni fa aveva gestito quella che è stata definita come globalizzazione.
La premessa del documento spiega come oggi la sicurezza nazionale statunitense non nasca soltanto dalla potenza militare, ma dal rafforzamento interno della nazione, dalla ricostruzione del suo apparato industriale, dalla difesa dei confini, dalla salvaguardia dell’identità culturale e dalla protezione delle tecnologie critiche.
Dunque il “contenimento” della Cina e la ridefinizione dei rapporti con l’Europa diventano i pilastri di una strategia che mira a riaffermare le priorità statunitensi, contrastando l’idea di un “declino americano” e rivedendo l’idea che Washington debba sostenere da sola il peso dell’ordine internazionale.
Il passaggio dedicato all’Europa, dalle “nostre parti”, è probabilmente il più indigesto ma significativo del documento. Non vi si trovano più affermazioni di fedeltà alla Nato come un legame quasi sacro. Al contrario, prevale invece un atteggiamento piuttosto disincantato se non apertamente critico.
Washington considera l’Europa come un’area strategicamente importante ma profondamente indebolita dalle contraddizioni interne. Tra queste vengono indicati la stagnazione economica, il declino demografico, l’instabilità politica, le limitazioni alle libertà di espressione e le ondate migratorie verso il vecchio continente. Difficile non ammettere che tali fattori di crisi dell’Europa esistano concretamente, e non occorre certo essere “putiniani” per dirlo.
La stessa guerra in Ucraina viene descritta nel documento come un ulteriore acceleratore di dipendenze (es. quella energetica), di crisi politiche e fragilità economiche che minano la coesione interna europea.
La strategia statunitense, contrariamente ai governi europei, spinge per un rapido ritorno alla stabilità in Europa e a ristabilire i rapporti tra Europa e Russia.
Emblematico il passaggio in cui il futuro della Nato non deve più essere definito dall’espansione continua, bensì dalla capacità europea di assumersi responsabilità e costi molto maggiori sul piano militare.
L’Europa rimane, agli occhi di Washington, un partner ancora utile sul piano commerciale e tecnologico, ma non è più il cuore della strategia statunitense nelle relazioni internazionali.
In questa ridefinizione di priorità, per gli Stati Uniti la Cina appare come la vera sfida del XXI Secolo. Pechino non è più considerata un attore con cui trovare equilibri stabili, ma un competitore sistemico deciso a mettere in discussione la supremazia Usa nel mondo.
Secondo la Strategia per la Sicurezza Nazionale statunitense, i decenni di apertura economica non hanno avvicinato la Cina all’ordine internazionale liberale ma, al contrario, ne hanno accelerato l’ascesa come superpotenza. Le filiere internazionali di produzione sono state ristrutturate in modo da garantire alla Cina un controllo crescente sui mercati emergenti e sulle materie prime critiche. La capacità industriale cinese, abbinata a investimenti massicci in tecnologie come l’intelligenza artificiale, il quantistico, la robotica e lo spazio, costituisce oggi il cuore della competizione con gli Stati Uniti.
Nel documento questi ultimi ammettono apertamente di avere perso terreno e annunciano una controffensiva economica e tecnologica su larga scala di cui la ricostruzione dell’industria nazionale Usa diventa un obiettivo strategico, così come la riduzione delle dipendenze critiche dalle filiere cinesi.
L’obiettivo dichiarato è quello di impedire che la Cina raggiunga una supremazia economica e tecnologica tale da rendere inevitabile la sua leadership globale.
Sul piano militare, la strategia statunitense appare ancora più esplicita. La priorità è contenere la Cina e impedire qualsiasi tentativo di alterare lo status quo nel Mar Cinese Meridionale e nello stretto di Taiwan.
La competizione non viene più circoscritta alla sola dimensione militare, ma investe l’intero sistema industriale-militare: produzione, innovazione, logistica, resilienza economica. Il documento non contempla scenari concilianti con la Cina e il confronto tra le due potenze si ritiene inevitabile, continuo e strutturale. Gli Stati Uniti considerano indispensabile mantenere un vantaggio qualitativo nelle piattaforme navali, negli assetti spaziali, nei missili di nuova generazione, nelle tecnologie.
Ma se i governi europei sono andati in tilt, a dover essere ancora più preoccupati dovrebbero essere quelli dell’America Latina.
La Strategia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti afferma infatti che un “Corollario Trump” sarà applicato alla Dottrina Monroe, quella che a partire dal 1820, consolidò l'egemonia statunitense in America Latina, da allora considerata il “cortile di casa” degli Usa e dal quale tenere lontane le potenze europee. In base a quella dottrina gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente decine di volte contro i paesi centro e latinoamericani o hanno organizzato colpi di stato contro governi non subalterni a Washington.
Quello che stiamo vedendo in queste settimane in Venezuela ma anche in Colombia, Messico, Honduras confermano questo tentativo di ritorno all’egemonismo statunitense sull’America Latina.
A tale scopo, è scritto nel documento, Washington riadatterà la sua “presenza militare globale per affrontare minacce urgenti nel nostro emisfero e si allontanerà da scenari la cui importanza relativa per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti è diminuita negli ultimi decenni o anni”.
L’amministrazione Trump vuole anche porre fine alla migrazione di massa e rendere il controllo delle frontiere “l’elemento principale della sicurezza americana” – afferma la nuova strategia per la sicurezza nazionale Usa – “L’era della migrazione di massa deve giungere al termine. La sicurezza di confine è l’elemento principale della sicurezza nazionale”.
La fase storica della concertazione e della globalizzazione è ormai definitivamente alle nostre spalle, siamo entrati pienamente nella fase della competizione globale imperialista fondata su blocchi economici e politici diversi e contrapposti.
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