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28/12/2025

Caso Baud, l’UE cancella anche lo Stato di diritto

Sottolineiamo spesso lo scarto enorme tra i “valori dichiarati” dal neoliberismo occidentale e la realtà delle su azioni pratiche. Il “doppio standard” seguito in tutte le vicende internazionali, e ora anche interne, fa collezionare ormai una infinità di casi.

Quello delle sanzioni “europee” erogate contro un colonnello svizzero – giuridicamente fuori dall’Unione Europea, ma certo non appartenente ad un paese “nemico” come gli oligarchi o i generali russi – è però più una prova della rottura totale della UE con i fondamentali di uno “Stato di diritto”. Quindi anche con la pretesa di essere una struttura “democratica”. In generale il varo di “sanzioni” è una iniziativa illegittima secondo il diritto internazionale.

L’unico soggetto che potrebbe erogarle è infatti l’Onu, un organismo “super partes” che tiene insieme tutti gli Stati del Pianeta. L’abitudine degli ultimi decenni, da parte euro-atlantica, è stata ovviamente molto diversa, imponendo l’arbitrio basato sull’uso della forza e “condito” con formulazioni da legulei a digiuno di giurisprudenza.

Ma è chiaro che ormai la foia guerrafondaia è tale da far perdere il senno a dei minus habens come gli attuali “vertici” europei. Abituati – insieme agli Usa – a decidere atti unilaterali contro persone e popoli considerati “inferiori”, procedono con la stessa supponenza anche al proprio interno, “rottamando” in un attimo il quadro “narrativo” e giuridico che dicono di voler imporre come “giusto”.

Lasciamo su questo volentieri la parola a chi se ne è occupato da un punto di vista rigorosamente democratico.

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di Francesco Sylos Labini

Nelle democrazie costituzionali, come l’Italia, vige un principio fondamentale: nessuno può essere punito o privato dei propri diritti senza una decisione di un giudice, pronunciata in seguito a un giusto processo. Questo è garantito dagli articoli 24 e 25 della Costituzione italiana, nonché dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Fin da piccoli ci è stato insegnato che la democrazia liberale si fonda sulla separazione dei poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – sulla tutela delle minoranze contro l’arbitrio della maggioranza, sul pluralismo politico e sul pieno rispetto delle libertà individuali e collettive, a partire da quella di espressione.

Una democrazia costituzionale non può esistere senza Stato di diritto, cioè senza il principio per cui tutti, cittadini e istituzioni, sono soggetti alla legge che dev’essere chiara, accessibile, prevedibile e applicata in modo imparziale da un potere giudiziario indipendente. Per questo motivo, lo Stato di diritto dovrebbe costituire un pilastro essenziale dell’Unione Europea, fondamento del suo funzionamento democratico e garanzia concreta dei valori di giustizia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani.

La vicenda delle sanzioni contro Jacques Baud, ex colonnello dei servizi segreti svizzeri, evidenzia con chiarezza il cedimento dell’architettura dello Stato di diritto in ambito europeo. La Commissione europea lo ha inserito in una lista di sanzioni individuali senza alcuna accusa formale, senza processo, senza possibilità di difesa. Una decisione in aperta violazione dei principi fondamentali che dovrebbe garantire ogni ordinamento democratico.

Il motivo è di aver espresso opinioni critiche sulla Nato e sulla guerra in Ucraina, citando – tra l’altro – una dichiarazione del 2019 di un funzionario ucraino. In sostanza, è accusato di “propaganda filorussa”.

Leggendo i suoi libri non solo ho trovato un’analisi informata e rigorosa dei conflitti in corso, ma ho anche compreso il senso più profondo del lavoro di intelligence: un’attenta analisi delle fonti, dei fatti, e delle loro conseguenze strategiche. Le lezioni sono semplici ma essenziali: per risolvere un conflitto occorre comprenderne le cause profonde, e trovare una strada in cui le ragioni di entrambe le parti vengano riconosciute e affrontate. Esattamente ciò che si è cercato in ogni modo di evitare nel conflitto russo-ucraino.

Nel caso Baud non c’è stata alcuna accusa legale di violazione di una legge specifica, nessun giudice, nessun processo, nessun diritto alla difesa, nessuna trasparenza. Ventisette ministri europei, o loro delegati, hanno votato a porte chiuse a Bruxelles per annientare la vita di una persona colpevole solo di aver espresso opinioni sgradite.

Baud risiede attualmente a Bruxelles, ma non può rientrare in Svizzera, non ha accesso ai propri conti bancari, non può acquistare cibo o medicine, né ricevere assistenza da terzi: anche se l’accesso ai beni di prima necessità sarebbe un diritto umano fondamentale in questo caso è negato.

Una simile punizione non esiste in nessun ordinamento democratico: si tratta di un atto politico arbitrario, privo di ogni garanzia, che ha cancellato da un giorno all’altro ogni possibilità di sostentamento per una persona. Stabilire se un cittadino ha commesso un reato e comminare una pena è responsabilità esclusiva del potere giudiziario, che deve agire in modo indipendente e secondo la legge. Non dell’esecutivo. E tanto meno sulla base delle sue opinioni personali dato che nessuna legge vigente sembra essere stata violata.

Persino Mussolini, pur nel pieno del suo autoritarismo, si preoccupò di istituire “tribunali speciali” per dare almeno una parvenza di legalità alle sue repressioni. Oggi l’UE nemmeno finge: le sanzioni vengono comminate per via esecutiva, senza alcun controllo giudiziario.

Il caso Baud rappresenta dunque un pericoloso spartiacque. Non solo per il trattamento riservato a un singolo individuo, ma per ciò che implica sul piano dei principi. Segna un cambio radicale nell’approccio dell’UE verso il dissenso e la libertà di espressione, e soprattutto sancisce la dissoluzione dello Stato di diritto, uno dei pilastri su cui si fondava il progetto europeo.

E quando la separazione dei poteri viene meno, e l’esecutivo si arroga il diritto di punire individui senza processo, non siamo più di fronte a una democrazia liberale, ma stiamo scivolando verso un regime autoritario centralizzato. Un sistema in cui sopravvivono solo elementi formali di democrazia, ma in cui manca il reale pluralismo politico, le libertà civili sono compresse, e il potere si concentra nelle mani di un’élite non direttamente legittimata dal voto.

In un simile contesto, la paura delle idee non è solo un cattivo segnale: è l’indicatore più chiaro della fine del confronto democratico.

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