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27/12/2025

Le società pubbliche fanno speculazione finanziaria. Il caso di Poste italiane

di Alessandro Volpi

Il valore complessivo delle società partecipate pubbliche quotate in Borsa era a luglio di quest’anno pari a quasi 264 miliardi di euro di cui lo Stato e Cassa Depositi e Prestiti possedevano quasi 90 miliardi.

In un anno il valore di questa partecipazione dello Stato solo per effetto dell’aumento del valore dei titoli di tali società è salito di quasi dieci miliardi. Tutto bene allora? Non proprio. Il Governo Meloni, infatti, ha deciso un piano di privatizzazioni di oltre 20 miliardi di euro, di cui ha già messo in atto una parte con dismissioni tra Eni, Mps e altri per cinque-sei miliardi, ceduti a grandi fondi Usa o al salottino buono della finanza nostrana (Delfin e Caltagirone in primis).

Questo piano sta proseguendo: è in rampa di lancio la cessione di un ulteriore 14% di Poste italiane, a cui potrebbe seguire quella di Ferrovie dello Stato, magari attraverso lo strumento di uno spin off dedicato. Intanto si parla di imminente cessione della Banca del Mezzogiorno, naturalmente dopo averla risanata a spese dei contribuenti e dopo che è tornata a distribuire dividendi, di una quota parte di Enav, l’ente che gestisce il traffico aereo civile, e persino della Zecca di Stato dopo averla portata in Borsa.

In estrema sintesi, la presidente del Consiglio e il suo ministro dell’Economia scelgono con cura le società che garantirebbero maggiori introiti allo Stato in termini di utili e ne vendono pezzi crescenti a privati -grandi fondi statunitensi e “grandi famiglie”- in modo da trasferire loro gli utili pubblici.

In quest’ottica emerge un altro dato, costituito dalla crescente finanziarizzazione delle partecipate pubbliche. Un caso davvero eclatante è quello costituito da Poste che ha preso parte alla nota operazione di acquisizione da parte del fondo americano Kkr della rete fissa Tim. In quell’operazione la quota dei francesi di Vivendi è stata sostituita da Poste che ha raggiunto il 27% della società, per effetto anche dell’acquisizione del 10% posseduto da Cassa depositi e prestiti, e si è legata al processo di ridefinizione del perimetro delle attività della stessa Tim.

È interessante notare che oggi Tim ha una capitalizzazione di quasi 12 miliardi di euro, più del doppio di luglio, e che tale aumento ha, assai probabilmente, molto a che fare con la presenza nell’azionariato proprio di Poste, a cui si affianca la quota conservata dal ministero dell’Economia. In altre parole, le società pubbliche fanno “speculazione” finanziaria comprando pezzi di società che erano in passato monopolistiche e ora sono diventate private, contribuendo al successo della speculazione con la garanzia della presenza dello Stato proprietario visto che i settori di cui si occupano sono “regolati”. Naturalmente dal momento che ragionano in termini finanziari tali società pubbliche, come avviene per Poste, abbandonano ogni altra attività che riguardi il loro core business e la loro natura di servizio pubblico per cercare la remunerazione a breve del capitale, la cui massimizzazione è poi propedeutica alla dismissione di porzioni significative di quello stesso azionariato.

Un esempio analogo proviene da Eni che ha realizzato in nove mesi 2,5 miliardi di utili e ha deliberato un’operazione di buy-back, cioè di riacquisto delle proprie azioni, per 1,8 miliardi di euro. In pratica un regalo senza alcuna tassazione agli azionisti che si troveranno con azioni dal valore decisamente accresciuto. È bene ricordare che lo Stato ha il 31,8% di Eni, mentre il secondo e il terzo azionista sono BlackRock e Vanguard, a cui si aggiungono altri fondi battenti bandiera statunitense per una quota proprietaria non lontana dal 10%.

Il problema è che questi utili dipendono in buona parte anche dalle bollette dell’energia pagate da italiani e italiane; circa il 48% della bolletta dipende dal costo della materia prima e in questo ambito Eni, tramite Plenitude, di cui ha ceduto di recente il 20% a un fondo, ha un grande rilievo. Di nuovo, dunque, le partecipazioni pubbliche si inoltrano in continue operazioni finanziarie, godendo della natura monopolistica delle attività di cui si occupano, e traducono la loro azione in dividendi che sono il vero elemento in grado di rendere possibile la loro privatizzazione. Finanza e privatizzazioni non possono andare disgiunte.

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