Se la UE ha raggiunto il proprio punto di non ritorno, riguardo alla trasformazione in una democratura in cui vige la legge della guerra, l’amministrazione Trump ha fatto un passo avanti con le ultime sanzioni da “caccia alle streghe” nella transizione verso una fase nuova della competizione globale, in cui lo scontro è ormai esplicito tra aree macroeconomiche con interessi contrastanti.
Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a cinque personalità europee. Non si tratta di provvedimenti economici, né di sanzioni ad personam devastanti come quelle decise dalla UE contro chi considera “amico di Putin”, ma del divieto di ingresso sul territorio statunitense. Tutti i colpiti sono in un qualche modo legati al campo della cosiddetta “lotta alla disinformazione” e/o alla regolazione delle attività dei giganti del web. Ma il caso assume un peso particolare, poiché tra i sanzionati c’è l’ex Commissario UE Thierry Breton.
Responsabile per il Mercato interno e i Servizi del primo mandato von der Leyen, Breton è considerato l’architetto del Digital Services Act (DSA), che ha definito il quadro entro cui operano le Big Tech del digitale. Il politico francese è stato anche protagonista delle indagini su X, Meta e TikTok, per la presunta diffusione di “notizie false” e “discorsi di odio”.
Per Marco Rubio si è invece trattato di una serie di operazioni progettate per danneggiare gli States. Il Segretario di Stato USA ha scritto su X: “per troppo tempo, gli ideologi europei hanno condotto azioni concertate per costringere le piattaforme americane a sanzionare le opinioni americane alle quali si oppongono”.
La sanzione appare in maniera evidente una ritorsione immediata alla multa da 120 milioni di euro comminata proprio a X, che è anche la prima decisione di non conformità adottata sotto il DSA. Sempre a X anche Breton ha affidato la sua risposta: dopo aver ricordato che il 90% del Parlamento Europeo ha votato quella normativa, si è chiesto se fosse “tornata la caccia alle streghe di McCarthy”. Dimenticando che quella era una “caccia ai comunisti”, mentre questo scontro è tra banditi ex complici...
Von der Leyen e un portavoce di Londra hanno difeso la “libertà di parola”, mentre Macron ha parlato “di intimidazione e coercizione nei confronti della sovranità digitale europea”. Ma altri commenti sono il sintomo dell’estrema difficoltà con cui le capitali europee stanno affrontando questa accelerazione delle tensioni internazionali, anche nel fu campo euroatlantico.
Il ministro degli Esteri tedesco ha scritto su X che l’obiettivo deve essere “chiarire le divergenze di opinione con gli USA nel quadro del dialogo transatlantico, al fine di rafforzare la nostra partnership”, mentre il suo omologo spagnolo ha parlato del provvedimento contro Breton come di una “misura inaccettabile tra partner e alleati”.
Alcuni vertici europei continuano a invocare una parità con gli USA che Washington non intende affatto permettere neanche a parole, come la seconda amministrazione Trump ha chiarito esplicitamente, ma che nei fatti era già evidente, ad esempio sulla questione ucraina, sul Nord Stream, e così via, anche ai tempi di Biden. O si è vassalli piegati in due, o si è avversari. In un mondo multipolare, non c’è interesse ad avere un alleato che rappresenta solo una spesa, e che tenta persino di diventare un competitor alla pari in alcuni settori.
Difatti, la preoccupazione per la “libera informazione” non è davvero nell’agenda né di Washington né di Bruxelles, come dimostra anche la recente stretta sulla libertà di parola che è stata osservata in Europa sia ai livelli nazionali sia a quello comunitario. È pura e semplice propaganda per legittimare la specificità del modello europeo nella sua aspirazione a diventare un impero retoricamente “al servizio di buoni propositi”, come ebbe a dire un altro ex ministro francese, Bruno Le Maire.
È da anni che la UE tenta di limitare lo strapotere delle Big Tech statunitensi, non per bontà di privacy e libertà di pensiero, ma perché è uno di quei settori su cui davvero non c’è nessuno che possa competere. La burocrazia e l’estrema inflazione di regolamentazione tipica della UE è stata quindi usata come arma per limitare in qualche misura le operazioni delle grandi piattaforme nel Vecchio Continente.
La negazione del visto a Breton, per quanto non possa avere risvolti politici immediati su questo quadro regolatorio, è un segnale molto duro rispetto al fatto che i vassalli europei hanno raggiunto il limite, anche in questo ambito. Il messaggio è “fatela finita”, in vista del Digital Omnibus e del pacchetto Cloud, AI and Development Act, che è previsto in arrivo nel 2026. Altrimenti, le ritorsioni potrebbero essere peggiori.
L’insegnamento che però va tratto da queste sanzioni è uno soltanto: siamo in una fase storica completamente nuova, in cui l’illusione euroatlantica è finita. UE e USA hanno interessi contrastanti, ed esprimono linee strategiche che fanno sempre più fatica a procedere in maniera complementare. Nel multipolarismo, sarà una corsa in cui non verrà risparmiato nessun colpo per affermare la propria egemonia. La UE, però, è ancora un vaso di coccio tra vasi di ferro.
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