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28/12/2025

Israele, profilo di un paese suprematista. Pena di morte, censure e divieti a Ong e media

A una settimana dall’inizio del 2026, può essere utile fare il punto sul profilo delle forme di organizzazione politica che ha assunto Israele negli ultimi due anni, in concomitanza con l’aver messo allo scoperto il suo intento genocidiario. Prima la pulizia etnica avveniva più “silenziosamente”, ma ora il sionismo è uscito allo scoperto, e con esso la sua fisionomia coloniale.

Con coloniale, qui, bisogna intendere tutto il portato storico del colonialismo: le razzie, le violenze, i genocidi, il tutto tenuto insieme da una cultura suprematista che giustifica tutto e legittima ogni azione con il “destino manifesto” del popolo ebraico in Terrasanta, dicono da Tel Aviv. Non a caso, la legge fondamentale israeliana già garantisce solo agli ebrei il diritto all’autodeterminazione, separando cittadini di serie A e di serie B.

Eppure, la continuano a chiamare “democrazia”, e gli eredi del colonialismo storico, le potenze occidentali, pensano quello stato in guerra continua come unico rappresentante della civiltà nel Vicino Oriente. Del resto, ne rappresenta l’ultimo baluardo della propria costruzione, fatta su milioni di corpi del Sud Globale, ne condivide l’atteggiamento verso il resto del mondo.

Questi corpi continuano ad ammassarsi. Con omicidi e le illegali colonie in Cisgiordania, vera e propria occupazione secondo il diritto internazionale. Continuano con gli attacchi perpetrati nella Striscia da quanto è scattato il “cessate il fuoco”, e con la mancata protezione dalle tempeste, dalle alluvioni e dal freddo che sta uccidendo, così come i soldati israeliani.

Contemporaneamente all’approvazione in prima lettura di una legge che prevede la pena di morte solo per i palestinesi accusati di aver condotto atti terroristici contro Israele, Tel Aviv ha dato il primo via libera anche all’estensione in maniera permanente della cosiddetta legge “Al Jazeera”, introdotta nel maggio 2024 per dare al governo il potere straordinario di chiudere i media stranieri senza mandato di alcun giudice.

Questo succedeva più di un mese fa, e non si sono sentiti i soliti stretipi mediatici tipici delle nostre latitudini, quando si parla di diritto di informazione, nonostante un provvedimento del genere rappresenti una colpo mortale all’informazione libera e indipendente. E non si sentono nemmeno ora, che la legge è stata definitivamente e velocemente approvata, estendendo i poteri censori del governo fino alla fine del 2027.

La proibizione di un’informazione libera è quello che sta poi succedendo anche all’interno di Israele. La rivista indipendente +972 Magazine ha riportato che la censura militare ha raggiunto il suo picco dell’ultimo decennio nel 2024, con una media di 21 notizie ritirate o modificate al giorno. È stato un giornalista di Haaretz, Nir Hasson, a dire che i media israeliani non si occupano della situazione umanitaria a Gaza, perché “sono parte dello sforzo bellico”.

Dal 1 gennaio del 2026, inoltre, è proprio l’attività umanitaria che, di nuovo contro ogni norma internazionale, così come era successo per le Flotille, verrà colpita pesantemente dal meccanismo genocidiario israeliano. Il nodo della questione è il nuovo criterio di registrazione imposto dal governo israeliano per le organizzazioni internazionali che operano a Gaza e in Cisgiordania.

Tutte le ONG devono ottenere l’approvazione dal Ministero della Diaspora e della lotta all’antisemitismo, un ministero esplicitamente ideologico e che affibbia l’etichetta di “antisemitismo” e “terrorismo” a chiunque esprima dissenso per le politiche israeliane.

Le nuove regole sono, in sostanza, anche un nuovo strumento di profilazione: richiedono liste dettagliate dei donatori e dati personali di tutti i dipendenti palestinesi. Ma il criterio più controverso è l’obbligo di dimostrare di non “lavorare per la delegittimazione di Israele”. Tra le 14 domande respinte delle 100 presentate, spicca Save the Children.

Mentre a quest’ultima è già stata notificata l’ingiunzione per il ritiro del personale internazionale entro 60 giorni, altre 50 organizzazioni attendono ancora una risposta. Tra queste anche Medici Senza Frontiere (MSF). I numeri del sostegno fornito sono una prova del carattere imprescindibile dei suoi servizi.

MSF ha investito a Gaza circa 100 milioni di euro, ha somministrato 45 mila vaccini, assistito 10 mila parti e aiutato nella gestione dei danni provocati alla salute mentale dalla morte e dalla distruzione prodotta dalle IDF. Ha inoltre prodotto quasi 100 milioni di litri d’acqua grazie a un desalinatore, che è piuttosto raro nella Striscia.

Tutto questo potrebbe scomparire da un giorno all’altro, perché del resto, pur nel “politicidio” della causa per l’autodeterminazione della Palestina e della resistenza contro un occupante che impone una politica di apartheid, gli aiuti umanitari hanno ancora quel “difetto” di far rimanere in vita i palestinesi. Anche se Israele sta facendo di tutto per cancellare ogni possibilità di informarsi al riguardo, vero punto debole dei crimini che ha commesso negli ultimi due anni, e che hanno prodotto una forte reazione internazionale.

Basterebbe la pena di morte “razziale” in discussione per giungere a questa conclusione, ma con l’intero quadro davanti bisogna dire che delle due l’una: o Israele non ha nulla a che vedere con la “democrazia”, neanche nel caso del simulacro vuoto che con questo termine gli occidentali designano le proprie forme di governo, o le potenze del capitalismo maturo, insieme alle loro propaggini e alleati, sono la rappresentazione plastica che esistono tranquillamente le democrazie genocidiarie.

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