Capodanno col botto o come al solito? Sulla possibilità di metter fine alla guerra in Ucraina si è alzata una brezza ottimistica davvero stramba, che assume connotazioni molto differenti a seconda della collocazione di protagonisti e comprimari.
Partiamo da chi conta. Trump ha convocato Zelenskij, stavolta direttamente a casa sua, in quel di Mar-a-lago, in Florida. Lo stesso presidente ucraino ha dato il la alle ipotesi più speranzose, parlando del piano in 20 punti su cui stanno lavorando i rappresentanti degli Stati Uniti e dell’Ucraina come «pronto al 90%». «Il nostro compito è garantire che tutto sia pronto al 100%. Non è facile e nessuno dice che sarà pronto al 100% subito. Ma nonostante ciò, dobbiamo avvicinarci al risultato desiderato con ogni incontro, ogni colloquio», ha affermato.
I due nodi ufficialmente ancora da districare sarebbero il destino delle parti di Donbass ancora non riconquistate da Mosca e la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Tutto il resto, a cominciare dai territori perduti, non ci sarebbe più un contenzioso plausibile… Ma non è proprio così, come stiamo per vedere.
Sui territori del Donbass il governo di Kiev vorrebbe partire dall’attuale linea del fronte per disegnare una zona smilitarizzata in parti uguali sui due lati, mentre Mosca ufficialmente pretende di arrivare al confine dell’oblast di Donetsk.
Sulla gestione della centrale nucleare – fisicamente nelle mani dei russi da quattro anni – Trump vede un menage a trois con Ucraina, Usa e Russia, mentre Zelenskij sogna ancora di escludere Mosca, la quale ovviamente non ne vuole neanche sentir parlare, ammettendo al massimo una compartecipazione statunitense.
Sulle “garanzie di sicurezza” invece la nebbia è fitta, anche perché la junta ucraina parla di solito soltanto di quelle che pretende da Mosca ma non di quelle che la Russia vuole dall’Occidente. La questione è sempre quella dell’ingresso, oppure no, di Kiev nella Nato, che si porta dietro quella della presenza o meno di truppe Nato sul territorio ucraino, a diretto contatto con quelle russe.
È sempre da ricordare che questo è stato il principale motivo della guerra, per Mosca. E qualunque soluzione che permetta alla Nato di ammassare truppe e basi da quelle parti non può trovare nessuna approvazione dal Cremlino.
Il quale però – evidentemente in possesso delle bozze “vere” del piano statunitense – sembra a sua volta cautamente ottimista. La portavoce del ministero degli esteri, Maria Zakharova, lo ha detto in modo estremamente chiaro: “Siamo pronti a firmare un patto di non aggressione [con la Nato e l’Ucraina, ndr]. Nero su bianco, giuridicamente vincolante“. Niente più giochetti come per Misnk 1 e 2, stipulati dall’Occidente solo per avere il tempo di riarmare i neonazisti in fregola per la guerra, che hanno continuato per otto anni ad attaccare le due repubbliche autonomiste del Donetsk e di Lugansk.
Messa così sembrerebbe quasi fatta. Al 90%, diciamo...
E invece chi non conta prova ancora a mettere ostacoli seri su un percorso comunque non facile.
Sentite come se ne è uscito ieri Manfred Weber, capogruppo tedesco del Partito Popolare Europeo a Strasburgo: «Vorrei vedere soldati con la bandiera europea sulle uniformi, lavorare a fianco dei nostri amici ucraini per garantire la pace». Ossia soldati tedeschi, francesi, placchi, ecc, direttamente al fronte. «Dopo un cessate il fuoco o un accordo di pace, la bandiera europea deve sventolare lungo la linea di sicurezza».
Siamo sicuri che Weber non ignora il fatto, piuttosto semplice, che “l’Europa” ha agito fin qui come parte in causa nella guerra e quindi non può pretendere nessun ruolo “fintamente neutrale”. Ossia la condizione minima per selezionare – eventualmente – quali paesi potranno mandare soldati a garantire la pace interponendosi tra i contendenti.
È quello che fa l’Onu, insomma, quando forma i contingenti Unifil. Pretendere invece di mandare “alleati” significa voler riprendere la guerra appena possibile (dopo aver ricostruito strade, ferrovie e un po’ di esercito ucraino, ormai agli sgoccioli.
Persino il rozzo fascistone che guida l’Ungheria, Viktor Orbàn, sembra quasi un essere ragionevole quando commenta questa “esternazione” tedesca: «Die Zeit ha pubblicato un’intervista in cui Manfred Weber dichiara apertamente che vorrebbe vedere i soldati tedeschi in Ucraina sotto una bandiera Ue. […] In realtà, questa non è pace, è una chiara escalation verso la guerra».
Coerentemente, la sedicente “coalizione dei volenterosi” prosegue nell’organizzazione di altri vertici “per l’Ucraina”, già in gennaio, con Macron tuttora impegnatissimo nel mediare il “dispiegamento di un contingente multinazionale deterrente” in Ucraina.
La pace ha molti nemici, a quanto pare. Deve essere per questo che “i volenterosi” restano esclusi dalle trattative vere e proprie.
«Sarò in contatto costante con loro, vorremmo [noi ucraini, ndr] che gli europei fossero presenti», ha detto Zelenskij ammettendo che Trump non li vuole in presenza. «Come minimo, ci collegheremo online e i nostri partner saranno in contatto». Così forse prenderanno atto di quanto sono inutili… Anzi. Dannosi.
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