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06/10/2024

La frattura ecologica nell’Antropocene

In un'intervista rilasciata alla rivista brasiliana Margem Esquerda, John Bellamy Foster condivide con Fabio Querido, Maria Orlanda Pinassi e Michael Löwy, le esperienze formative che hanno contribuito al suo lavoro di giovane attivista e, successivamente, di autorevole studioso del marxismo ecologico. L'intervista si conclude con un messaggio alla sinistra ecologica in Brasile e altrove: «Quali che siano le soluzioni alla crisi planetaria attuale, esse devono, in termini storico-materialistici, sorgere a partire da formazioni sociali concrete, sulla base delle quali avverranno le nuove trasformazioni rivoluzionarie».

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Fabio Querido, Maria Orlanda Pinassi e Michael Löwy: Per iniziare, raccontaci un po' della tua infanzia e giovinezza. Sei nato a Seattle, giusto?

John Bellamy Foster: Sì, sono nato a Seattle, stato di Washington. Quando avevo un anno, la mia famiglia si trasferì a Raymond, Washington, una città dove si lavorava il legname, dove mio padre faceva l'insegnante. A Raymond c'era una fabbrica di scandole di cedro rosso occidentale, di proprietà della Weyerhaeuser Company, che emetteva acido plicatico – responsabile dell'asma – nella polvere della pianta. Ho sofferto di asma cronica, insieme alle mie due sorelle. Quando avevo cinque anni ci siamo trasferiti a Ficrest, Washington, un sobborgo fuori Tacoma. All'epoca Tacoma era una delle città più inquinate degli Stati Uniti, a causa di una fonderia che rilasciava emissioni tossiche, e delle cartiere. Quando avevo sei anni, mia sorella minore, di tre anni, ebbe un grave attacco d’asma e fu portata d’urgenza in ospedale dove morì la notte stessa. Un paio di settimane dopo, anch'io ho avuto un grave attacco d’asma e sono stato portato d’urgenza in ospedale e ho rischiato di morire. Rimasi in ospedale per due settimane, trascorrendo molto tempo sotto una tenda ad ossigeno. Dovevo essere nutrito per via endovenosa attraverso il piede, e tenerlo sospeso in aria. Successivamente mi furono prescritti così tanti steroidi che raddoppiai di peso. Stando ritto, non potevo vedere i miei piedi. Non mi era permesso di uscire all'esterno o correre, e dovevo avere un insegnante privato. Quando avevo sette anni, fui mandato dai miei genitori in un una casa di cura per bambini affetti da asma a Denver, dove rimasi per più di due anni.

Nel frattempo, mio padre ebbe un esaurimento nervoso e fu ricoverato in un ospedale della Veteran's Administration dove fu sottoposto ad un trattamento con elettroshock. Mia madre, per garantire un po' di reddito alla famiglia, iniziò a vendere cosmetici Avon porta a porta a Tacoma. Il suo distretto era il più povero di Tacoma e a volte mi portava con sé perché diceva che voleva farmi vedere come le persone possono vivere con dignità e generosità pur nella povertà più assoluta. Noi stessi abbiamo vissuto per anni al di sotto della soglia di povertà, con mio padre che era disoccupato per lunghi periodi o vendeva enciclopedie porta a porta. Tuttavia, mia madre, che aveva vissuto la Grande Depressione e il razionamento in tempo di guerra in Inghilterra, riuscì a tenere insieme le cose.

Quando avevo undici anni, mio padre ottenne un posto di insegnante di supporto nella piccola cittadina rurale di Rochester, e ci trasferimmo a Olympia, una piccola città semirurale, ma anche la capitale dello stato. Lì mia madre trovò lavoro come segretaria amministrativa presso la legislatura dello Stato di Washington. Mio padre perse subito il posto di insegnante. Per alcuni anni provò a vendere, senza successo, proprietà immobiliari, e poi lavorò come funzionario sanitario per il governo statale. Olympia era per molti versi piuttosto rurale, in particolare nella zona in cui vivevamo. Si trova sullo stretto di Puget ed è circondata da foreste. Era relativamente incontaminata. Ho trascorso buona parte della mia giovinezza all'aria aperta, facendo escursioni e campeggi.

Entrambi i miei genitori avevano un alto livello di cultura letteraria. Erano ambedue di sinistra. Mia madre era stata affiliata al movimento guidato dal Partito Comunista Britannico che lottava per l'apertura di un Secondo Fronte[1] durante la Seconda Guerra Mondiale (e si era arruolata nell'esercito). Quando arrivò in nave negli Stati Uniti, fu consigliata da un passeggero tedesco di non rivelare la propria storia politica, per via del crescente maccartismo. Mio padre era un socialista del New Deal e sostenitore di Henry Wallace. La mia educazione è stata quindi molto di sinistra. Mio padre mi ha fatto conoscere i classici socialisti, tra cui Il Manifesto del Partito Comunista e la storia radicale, a partire dai miei anni di scuola elementare. Aveva una conoscenza enciclopedica e un profondo senso della storia, delle scienze politiche, dell'economia politica e della filosofia. Anche adesso, mi meraviglio di ciò che ho imparato, quando ero giovane, leggendo i libri che trovavo sugli scaffali della sua libreria.

FQ, MOP e ML: Raccontaci un po' del tuo coinvolgimento giovanile nel movimento contro la guerra. Cosa ti ha spinto ad aderire al movimento?

JBF: Oggettivamente, non ho avuto un ruolo significativo nel movimento contro la guerra, ma quel piccolo ruolo che ho avuto è stato cruciale per il mio sviluppo personale. La guerra del Vietnam era una fonte costante di conversazione nella mia famiglia mentre stavo crescendo. Avevo dodici anni quando Lyndon Johnson aumentò il numero di truppe americane in Vietnam fino a mezzo milione o più. I miei genitori erano infuriati, ma in quegli anni, dove vivevamo, c’erano poche possibilità di azione. Ai tempi della scuola media, la mia attenzione politica si è concentrata sui temi antinucleari e contro la guerra in Vietnam. Ho tenuto discorsi su entrambe le questioni durante la mia lezione di public speaking [discorso pubblico]. Il mio insegnante di discorso era un berretto verde e in classe indossava il suo berretto. Copriva le pareti dell'aula con una palese propaganda sulla ribellione “Mau Mau” (Land and Freedom Army) in Kenya. Non avevo mai visto prima di allora una simile esposizione di opinioni colonialiste/imperialiste nella scuola pubblica. Tuttavia, era razionale a modo suo, e sosteneva che il più grande oratore del mondo fosse Fidel Castro. Ci chiese di scrivere qualcosa in cui credevamo e poi ci disse che dovevamo fare un discorso che sostenesse il contrario. La sua richiesta mi fece infuriare e finii per fare un discorso satirico in stile Jonathan Swift, completo di mappe, su come gli Stati Uniti avrebbero potuto devastare tutte le città dell'Unione Sovietica e ucciderne la popolazione con un primo attacco, alla maniera di Curtis LeMay, il guerrafondaio generale dell'aeronautica statunitense. Il discorso era così profondamente satirico, nel sostenere il contrario, che entusiasmò la classe. Quando si poteva discutere direttamente di qualcosa in cui credevamo, ho tenuto anche un discorso da un punto di vista militare e politico su come gli Stati Uniti avrebbero potuto ritirarsi dal Vietnam, dato che all'epoca questi ostacoli erano spesso presentati come insormontabili. Ma le mie opinioni di allora, guardando indietro, erano troppo ingenue.

Al liceo, ho preso parte a un dibattito sul tema nazionale “Il Congresso dovrebbe proibire l’intervento militare unilaterale degli Stati Uniti nei paesi stranieri?”, e ho trascorso più di un anno a studiare senza sosta la storia dell’imperialismo e degli interventi militari statunitensi, leggendo ogni libro che riuscivo a trovare. Contemporaneamente, ho partecipato alle marce e alle manifestazioni contro la guerra che stavano nascendo. Ho preso parte ad uno sciopero della fame/digiuno dei giovani al Campidoglio nel 1970, abbiamo occupato la rotonda e passato, con scarsi risultati, parte della giornata ad avvicinare senatori e rappresentanti dello stato per cercare di convincerli a cambiare posizione opponendosi alla guerra. Mi sono spesso recato a Seattle, dove il movimento contro la guerra era forte e massiccio. Nel movimento generale di quell'epoca, sono stato colpito dal "Black Panther breakfast program"[2] incontrato a Seattle, che lottava contro quello che, ieri come oggi, chiamiamo capitalismo razziale. Tutto questo ha avuto un grande effetto sulla mia personalità e sui miei interessi.

Nell'ultimo periodo della guerra del Vietnam –durante la "vietnamizzazione" della guerra da parte di Richard Nixon e i continui bombardamenti sul Nord – il movimento contro la guerra si affievolì (questo avvenne anche dopo i massacri di studenti alle università statali di Jackson e Kent) e mi sono ritrovato sia arrabbiato che scoraggiato. In parte, sono caduto preda dello stato d’animo cinico e nichilista collegato al senso di sconfitta prevalente nel movimento. Spinto da una sorta di nichilismo e scetticismo, ho iniziato a leggere Arthur Schopenhauer, Søren Kierkegaard e Friedrich Nietzsche. Più o meno nello stesso periodo, però, sono ritornato agli studi su Karl Marx a un livello superiore, e Marx ebbe la meglio. Ho preso parte a un seminario di Herbert Marcuse presso l'Evergreen State College, che comprendeva diversi relatori, alcuni dei quali, come David McNally, sarebbero emersi/affermati come importanti intellettuali marxisti negli Stati Uniti e in Canada. Tuttavia, il punto di svolta per me, è stato, insieme alla crisi economica, il colpo di stato in Cile diretto dagli Stati Uniti. Col mio caro amico Robert W. McChesney e con altri, ho contribuito a organizzare il Northwest National Symposium on Chile. Ho scritto articoli, per il giornale universitario, sul ruolo degli Stati Uniti nel colpo di stato. Ho deciso che da quel momento in poi avrei dedicato la mia vita ad oppormi al capitalismo, indipendentemente dalla questione se l’umanità avrebbe vinto o perso. Fu McChesney, quando eravamo tutti e due studenti all’Evergreen State College, a sottolineare la necessità di concentrarsi sulla Monthly Review e sulla tradizione di studi su Monopoly Capital (Il capitale monopolistico), come parte di uno studio di economia radicale. Un gruppo di noi è andato a sentire il discorso di Paul Sweezy a Seattle, e si è poi recato al meeting dell'Union for Radical Political Economics, presso l'Università dell'Oregon.

FQ, MOP e ML: La sua tesi di dottorato verteva sul capitalismo monopolistico. È stata fatta alla York University di Toronto, giusto? Ce ne parli un pò.

JBF: Quando ho iniziato la scuola di specializzazione alla York University, i miei interessi principali erano l'economia politica marxiana e la teoria critica/dialettica hegeliana: quest'ultima l'avevo studiata approfonditamente, anche se per lo più da solo. Il mio background più solido riguardava l’economia/economia politica, e la maggior parte del mio lavoro continuò a svolgersi in quell’area. Nel mio secondo anno di studi universitari, ho seguito un corso annuale sul Capitale di Marx con l'economista politico marxista Robert Albritton. Avevo già una profonda conoscenza dell'economia radicale/economia politica nella tradizione di studi su Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy, ma nei miei primi anni di specializzazione sono stato affascinato dalla nuova analisi marxista fondamentalista di David Yaffe, Ben Fine e Laurence Harris, derivante dal lavoro di Paul Mattick e, in una certa misura, di Roman Rosdolsky. Ho scritto un articolo sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, influenzato da questi pensatori, ma mentre stavo scrivendo l’ultima pagina mi sono reso conto che, pubblicandolo alla fine del ventesimo secolo, l'articolo era sbagliato: sebbene l'analisi traesse ispirazione dal lavoro di Marx, mancava di qualsiasi rilevanza reale poiché non si occupava del capitalismo monopolistico. Le condizioni erano cambiate a causa della concentrazione e centralizzazione del capitale, una tendenza che lo stesso Marx aveva evidenziato. Poiché questa consapevolezza è arrivata il giorno della consegna del documento, per adempiere ai miei obblighi, l'ho consegnato comunque, con qualche dubbio. Tuttavia, le contraddizioni dell’economia politica marxista fondamentalista e la sua totale incapacità di affrontare i cambiamenti storici e le modifiche del sistema con l’ascesa delle società monopolistiche globali, mi sono state improvvisamente evidenti, come se una bolla fosse scoppiata.

L’anno successivo, piuttosto fortuitamente, ho studiato con il grande storico revisionista statunitense Gabriel Kolko, che fu una delle ragioni per cui avevo deciso di andare alla York University. Ho finito per lavorare faccia a faccia con lui. Kolko aveva appena terminato il suo Main Currents in Modern American History, che si basava fortemente sulla struttura di Maturity and Stagnation in the American Economy di Josef Steindl del 1952, pubblicato poi in un'edizione aggiornata, dalla Monthly Review Press nel 1976. Kolko mi ha introdotto non solo al lavoro di Steindl, ma anche ai dati empirici e ai dibattiti sull'eccesso di capacità dell'economia statunitense. Questo mi ha fatto comprendere e apprezzare in modo più approfondito Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e mi ha spinto a studiare il lavoro di Michał Kalecki, che ha ulteriormente trasformato la mia comprensione dell'intera tradizione di studi Kalecki-Steindl-Baran-Sweezy. Ho scritto un lungo articolo per Kolko nel 1979-1980, intitolato "The United States and Monopoly Capitalism: The Issue of Excess Capacity" e, per capriccio, ho inviato una copia a Sweezy la cui risposta, con mia sorpresa, fu che era la cosa migliore che avesse letto nella tradizione di studi su Il capitale monopolistico sin dall'apparizione del libro. Poi siamo diventati amici e Sweezy ha assunto il ruolo di mio mentore, con continui scambi di comunicazione. L'ho incontrato a Ottawa e poi nei frequenti viaggi a New York. Il mio primo articolo per Monthly Review, nel settembre 1981, è stato "Is Monopoly Capitalism an Illusion?". Sweezy mi ha messo poi in contatto con il sociologo ed economista politico polacco Henryk Szlajfer ed abbiamo co-curato The Faltering Economy: The Problem of Accumulation under Monopoly Capitalism (1984). La mia tesi, The Theory of Monopoly Capitalism: An Elaboration of Marxian Political Economy (1984), era un tentativo di difendere la tradizione di studi sul capitale monopolistico dalle critiche dell’economia politica marxista fondamentalista, evidenziando, allo stesso tempo, come le differenze tra le due tesi avrebbero potuto essere conciliate giungendo ad una sintesi più forte e rilevante per il presente. È stato pubblicato come libro nel 1986 e poi ripubblicato nel 2014 con una nuova introduzione.

FQ, MOP e ML: Nel 1989 lei è entrato a far parte di Monthly Rewiew. Come è avvenuto? Quanto è importante la rivista nella sua carriera?

JBF: Come indicato, la mia identificazione con Monthly Review risale agli anni '70 ed ha influenzato il mio punto di vista generale. A partire dai primi anni ’80 sono stato molto coinvolto nella rivista, anche se in modo non istituzionale. Il cambiamento avvenne nel 1989, quando i redattori di MR, entrambi sulla settantina, decisero di istituire, per la prima volta, un comitato editoriale informale che potesse sollevarli da alcuni degli oneri editoriali. Così mi fu chiesto di essere un membro del comitato editoriale. Allo stesso tempo, decisero di aggiungere due persone al consiglio di amministrazione della Monthly Review Foundation, ed io fui una di queste. Nel frattempo, avevo assunto un posto di ruolo come professore di sociologia all'Università dell'Oregon.

Quanto sia stata importante Monthly Review per la mia carriera è difficile dirlo. Per quanto riguarda la mia carriera puramente accademica, si potrebbe addirittura dire, con franchezza, che è stata dannosa. Essere marxisti comporta delle conseguenze soprattutto se si sceglie di andare oltre l'accademia in quanto tale, assumendo il ruolo di intellettuale pubblico legato al movimento. Essere così identificati rende difficile essere assunti come professore. Sono stato assunto all'Università dell'Oregon a metà degli anni '80 solo a seguito di una situazione molto particolare; la morte improvvisa di un professore marxista, Al Szymanski, che aveva attirato un numero considerevole di studenti laureati, costrinse il dipartimento a sostituirlo con un altro radicale. La descrizione della posizione per la quale ero stato assunto era “Marxismo, economia politica, analisi di classe e imperialismo”, non certo una posizione standard nell'accademia statunitense, e oggi del tutto impensabile. Quando ho chiesto la cattedra, sono riuscito a superare tutti gli ostacoli fino a raggiungere il più alto livello amministrativo, ma poi c'è stata una mossa ai vertici, a livello del presidente, per bloccare la mia cattedra con la motivazione politica che ero un marxista, anche se quello era il settore in cui ero stato originariamente assunto per insegnare. Solo una rivolta all'interno dell'amministrazione – con conseguenze disastrose per la carriera della persona che era intervenuta in mio favore, minacciando di rendere pubblica la cosa – ha impedito che mi venisse bloccata la cattedra per motivi politici. In seguito, sono stato mantenuto con lo stipendio più basso, con il carico di corsi più pesante e sono stato emarginato per quasi un decennio. Per diversi anni ho dovuto tenere dieci corsi all'anno, alcuni dei quali volontari e solo parzialmente retribuiti, pur di ottenere un piccolo reddito aggiuntivo al fine di sostenere la mia famiglia. In vari momenti sono anche stato attaccato e definito pubblicamente come uno dei "professori più pericolosi" degli Stati Uniti, in virtù del mio lavoro in Monthly Review. In seguito la mia situazione nell’università è migliorata grazie al mio lavoro sull'ambiente, un ambito che aveva acquisito influenza ed era considerato non direttamente correlato al marxismo e quindi non censurato nello stesso modo.

Quindi, la mia associazione con MR, sebbene cruciale nello sviluppo della mia analisi critica, teorica e pratica, è stata, almeno secondo i criteri standard, più dannosa che benefica ai fini della costruzione di una carriera accademica. Allo stesso tempo, ha dato al mio lavoro un significato, un’ispirazione, uno sfondo e un’importanza assenti nella maggior parte del lavoro di sinistra nell’università. Non sono mai stato semplicemente – o principalmente – un accademico, ma ho mantenuto un piede al di fuori, consentendomi una prospettiva critica molto più coerente e una relazione con i movimenti sociali radicali. Dire tutto questo, però, significa definire la "carriera" in un modo completamente diverso, cioè in termini di teoria e pratica socialisti.

FQ, MOP e ML: È stato in quello stesso periodo, alla fine degli anni '80, che ha iniziato a lavorare su questioni legate all'ecologia? Come è avvenuto questo incontro con l'ecologia?

JBF: Durante la mia infanzia ho frequentato l'ecologia da entrambi i lati: da un lato, avendo sviluppato un'asma cronica a causa dell'inquinamento industriale (anche se la causa effettiva non è risultata immediatamente chiara), e dall’altro, essendo cresciuto in una regione semirurale, ricca di foreste e montagne, vicino all'oceano. Le questioni ambientali sono state quindi centrali per me fin dalla più tenera età, rafforzate soprattutto da mio padre, che aveva fatto parte dei Civilian Conservation Corps di Franklin D. Roosevelt. In gioventù però, la guerra del Vietnam e l'imperialismo statunitense sono stati gli interessi prioritari. Ho partecipato alle attività, in cui mi identificavo fortemente, legate al primo Earth Day e alla moratoria ambientale introdotta in quel periodo, ma la situazione ambientale del Pacifico nord-occidentale sembrava relativamente buona a quei tempi. Ritenevo che finché il Pentagono sganciava il napalm sui bambini in Vietnam, questioni come l'inquinamento negli Stati Uniti dovessero passare in secondo piano.

Mi sono riavvicinato alle questioni ecologiche quando frequentavo la scuola di specializzazione alla York University di Toronto, discutendo con un mio amico che sosteneva che non solo alcuni marxisti, ma anche Marx stesso, potevano essere considerati anti-ecologici. Non riuscivo a capirlo, poiché la mia lettura di Marx era completamente diversa. Nel movimento ambientalista degli anni '70, molte delle figure di spicco, come Barry Commoner, erano state influenzate dalle idee ecologiche di Marx. La tradizione di studi sul capitale monopolistico era stata coerente nella sua opposizione allo spreco economico ed ecologico. In effetti, già nel maggio 1974 su MR, Harry Magdoff e Paul Sweezy, si erano espressi esplicitamente, per la prima volta, a favore di quella che oggi chiamiamo decrescita, ovvero l'opposizione alla crescita economica infinita per motivi ambientali e sociali. Ciò aveva influenzato lo sviluppo dell'analisi neo-marxista all'interno della sociologia ambientale negli Stati Uniti – a partire dalla metà degli anni '70 e dall'inizio degli anni '80 – e risultava evidente nel lavoro di teorici ambientalisti come Charles H. Anderson, che ha sollevato la questione della sopravvivenza ecologica, e Allan Schnaiberg, che ha introdotto il concetto di treadmill of production (meccanismo della produzione)[3]. Tuttavia, negli anni '80 e '90, all’interno della New Left è nata una corrente di pensiero definita ecosocialismo di prima fase, che imputava le debolezze dell’ambientalismo socialista alla presunta incapacità di Marx di affrontare le tematiche ambientali, e che cercava di fondere l'economia politica marxista (con le sue tendenze neo-malthusiane) con la teoria green mainstream.

All’inizio tutto questo non mi era completamente chiaro e mi occupavo principalmente di economia politica. Ma quando ho assunto un incarico presso l'Università dell'Oregon, ho scoperto che il problema ecologico nel Pacifico nord-occidentale era molto più grave di quando, un decennio prima, ero partito per Toronto. Il fiume Columbia era il fiume più radioattivo della Terra; le persone stavano in cima agli alberi per proteggere le foreste secolari dall'abbattimento; gruppi locali si stavano organizzando contro l'uso diffuso dei pesticidi, comprese le irrorazioni aeree; ed erano emerse crisi globali relative all'estinzione delle specie, all'esaurimento dello strato di ozono e al cambiamento climatico. Di conseguenza, mi sono occupato del problema ambientale, riconoscendo che questi cambiamenti erano tutti radicati nell'economia politica del capitalismo e che era necessario sviluppare un'analisi marxista. Il mio primo libro sull'ecologia, The Vulnerable Planet (1994), aveva molte delle caratteristiche dell'ecosocialismo di prima fase. Ma, nel giro di pochi anni, sono giunto alla conclusione che la critica ecologica proveniente dal materialismo storico classico, in particolare dall'opera dello stesso Marx, era dal punto di vista teorico/metodologico di gran lunga superiore a qualsiasi altra, e così il mio lavoro cominciò a concentrarsi su quella base fondamentale e su come essa potesse informare le lotte odierne.

FQ, MOP e ML: In Marx's Ecology, lei difende l'esistenza di una dimensione ecologica nel pensiero materialista di Marx, basata sulla nozione di frattura metabolica. Quanto è rilevante oggi questo concetto di Marx? Come è nata una rete di autori che condividono questo tema?

JBF: Il recupero e l'elaborazione dell'analisi della frattura metabolica di Marx sono stati sviluppati per la prima volta nel mio articolo "Marx's Theory of Metabolic Rift", pubblicato sull'American Journal of Sociology nel settembre 1999. Marx's Ecology è stato pubblicato l'anno successivo. Sebbene Marx's Ecology sia stato influente soprattutto per il suo capitolo sulla frattura metabolica, in realtà è stato scritto per affrontare una questione più ampia: come ha fatto Marx a sviluppare un'analisi ecologica così penetrante; ovvero, quali erano le vere fondamenta della critica ecologica di Marx? Non poteva essere attribuita all'influenza della chimica agraria di Justus von Liebig che, pur esplorando alcuni aspetti del problema in termini di rottura del ciclo dei nutrienti del suolo e impiegando il concetto di metabolismo, mancava dell'integrazione degli aspetti socioeconomici ed ecologici del problema, presenti in Marx.

Ho quindi deciso che la risposta alla domanda sulle origini del pensiero ecologico di Marx andava ricercata nello sviluppo del suo materialismo, che non poteva essere visto semplicemente in termini economici, come era diventato consuetudine nel marxismo occidentale. Ho quindi ripreso la sua tesi di dottorato su Epicuro, l'antico filosofo materialista, e poi ho rintracciato il filo materialista, nella sua evoluzione, nell'analisi di Marx. Questo ha costituito la base per Marx’s Ecology.

La frattura metabolica è stata spiegata in termini di rottura del ciclo dei nutrienti del suolo, e quindi del metabolismo del suolo, causata dal trasporto di cibo e fibre a centinaia e migliaia di miglia, verso le nuove città industriali del capitalismo dove cresceva la popolazione residente. I nutrienti del suolo, contenuti negli alimenti e nelle fibre, inquinavano le città anziché tornare al suolo. Questo ha portato a ciò che Marx, nel Capitale, ha chiamato la «frattura irreparabile nel processo interdipendente del metabolismo sociale». L'analisi ecologica di Marx si basava su tre concetti: il metabolismo universale della natura, il metabolismo sociale e la frattura metabolica. Il metabolismo sociale è il processo di lavoro e produzione, esaminato dal punto di vista dei suoi aspetti riproduttivi-naturali. Il metabolismo sociale alienato del capitalismo entra in conflitto diretto con il metabolismo universale della natura, dando origine a una frattura metabolica.

Questa analisi è oggi significativa perché, in generale, l'ecologia dei sistemi è stata costruita sulla base di queste relazioni metaboliche, compresa la teoria degli ecosistemi, la nozione di biosfera e l'attuale concetto di Sistema Terra. Oggi, nell'analisi della crisi ecologica planetaria, gli scienziati parlano di "frattura antropogenica" nei cicli biofisici del Pianeta e di interruzione del metabolismo del Sistema Terra. Tuttavia, ciò che rende la trattazione di Marx particolarmente significativa, in questo contesto, è che vede l'economia politica dell'accumulazione del capitale e la frattura metabolica nel rapporto umano-sociale con l'ambiente, come un'unica questione: due facce della stessa medaglia.

Per quanto riguarda il modo in cui è nata la rete di studiosi che lavorano sulla frattura metabolica, penso che ci siano stati alcuni momenti cruciali. In primo luogo, il nucleo dell'analisi è emerso quando lavoravo a stretto contatto con Paul Burkett, l'autore di Marx and Nature. Abbiamo più o meno deciso una divisione del lavoro in cui lui si sarebbe concentrato sull'analisi ecologica della forma-valore nella teoria di Marx ed io avrei affrontato la storia, le scienze naturali e la filosofia materialista. Così, Marx and Nature e "Marx's Theory of Metabolic Rift" sono stati pubblicati entrambi nel 1999, e Marx's Ecology nel 2000, contribuendo ad un unico progetto coordinato. Anche Fred Magdoff, un ecologista (scienziato del suolo) ed economista politico, strettamente legato a Monthly Review, ha svolto in quel periodo un ruolo formativo significativo nello sviluppo di queste idee.

Il secondo momento fu l'arrivo di Brett Clark e Richard York all'Università dell'Oregon. Clark era arrivato all'università come dottorando, mentre io stavo ancora lavorando a Marx's Ecology, e da quel momento in poi è diventato un importante collaboratore. York fu assunto come professore di sociologia, specializzato in ambiente, subito dopo la pubblicazione di Marx's Ecology, portando il suo talento nella teoria, nella metodologia e nella statistica. È stato l'autore di un importante articolo, "Footprints on the Earth", pubblicato nel 2003 su American Sociological Review, che ha per primo reso operativo il concetto di frattura metabolica. Clark e York avrebbero poi unito i loro sforzi per applicare la teoria della frattura metabolica al cambiamento climatico, in una nuova analisi del metabolismo del carbonio introdotta nel 2005 in un articolo per la rivista Theory and Society. Questo articolo è stato poi inserito nel libro The Ecological Rift, pubblicato nel 2010 e scritto da noi tre insieme.

Un altro dei primi studenti di sociologia ambientale dell'Università dell'Oregon è stato Jason W. Moore, che ha lavorato a stretto contatto con me a partire dagli anni universitari, quando il mio obiettivo principale era la pubblicazione di The Vulnerable Planet, e ha seguito successivamente il mio corso di laurea specialistica in sociologia ambientale, nel contesto delle discussioni sulla frattura metabolica. Moore si è specializzato, nella prima fase del suo pensiero, nella relazione tra la teoria dei sistema-mondo e la frattura metabolica, sebbene il suo successivo Capitalism in the Web of Life (2015) abbia respinto il concetto come dualista.

Tra gli altri studenti dell'Università dell'Oregon, in quel periodo, figuravano Hannah Holleman, che ha scritto Dust Bowls of Empire (2018), Stefano Longo e Rebecca Clausen, che, insieme a Clark, hanno scritto The Tragedy of the Commodity: Oceans, Fisheries, and Aquaculture (2015); Mauricio Betancourt, che ha svolto un lavoro straordinario su Cuba, l'agroecologia e la frattura metabolica, confrontando i risultati ottenuti da Cuba in questo ambito, con il resto dell'America Latina.

Il terzo momento è consistito in nuovi importanti contributi non provenienti dall'Università dell'Oregon, come nel caso di Political Economy of Global Warming (2014) di Del Weston, Facing the Anthropocene (2016) di Ian Angus, il lavoro strettamente correlato di Andreas Malm con Fossil Capital (2016), Karl Marx's Ecosocialism (2017) di Kohei Saito, e l'analisi di Brian Napoletano su Henri Lefebvre e la frattura metabolica, che fa parte di un progetto di collaborazione in corso con me, Brett Clark e Pedro Urquijo. Rob Wallace con Dead Epidemiologists (2020) e Sean Creaven con Contagion Capitalism (2024), hanno applicato il concetto al COVID-19 e ad altre pandemie; Eamonn Slater ha svolto un lavoro sulle fratture metaboliche irlandesi; Michael Friedman ha esplorato la relazione tra la frattura metabolica e il microbioma; Carles Soriano, vulcanologo e geologo ha collegato, nella sua introduzione alla nozione di Età capitaliniana, la frattura metabolica alla scala temporale geologica. Per molti versi, il concetto si è sviluppato globalmente a tal punto – sia nella teoria che nella pratica dei movimenti ambientalisti – che è difficile seguirne il percorso. Ad esempio, in Cina sono apparsi nuovi importanti lavori sul marxismo ecologico che si confrontano con queste idee.

FQ, MOP e ML: Nell’attuale dibattito pubblico, la questione ecologica è diventata un tema essenziale. Tuttavia, ci sono tentativi di proporre una "ecologia di mercato", come se fosse possibile affrontare la crisi ecologica senza mettere in discussione i pilastri stessi dell'attuale società capitalista. Come vede questo processo?

JBF: Ci sono numerose forme di negazionismo che mirano a difendere il sistema capitalista e a gettare fumo negli occhi della popolazione. Un buon modo di riferirsi a tutto ciò si trova nel capitolo "The Right Is Right" (La destra ha ragione), del libro This Changes Everything di Naomi Klein. Lei è stata molto chiara nel dire che se si gratta via la superficie della negazione del cambiamento climatico espressa dalla destra, ciò che si scopre è un riconoscimento del fatto, alquanto realistico da parte loro, che per risolvere il problema sia necessario superare l'attuale regime politico-economico del capitalismo, motivo per cui sono così impegnati a negare del tutto il cambiamento climatico. Tuttavia, l'argomentazione di Klein non era rivolta ai negazionisti di destra, quanto alla tradizione liberale mainstream, che secondo lei è più pericolosamente immersa nella propria, semplicistica, forma di negazionismo. Sebbene riconosca formalmente la realtà del cambiamento climatico, la tradizione liberale mainstream sostiene un riformismo utopico, nell'illusione che l'intero problema possa essere risolto dal mercato capitalista e dalla tecnologia orientata alla crescita, con un piccolo aiuto da parte dello Stato. Vale a dire che nel modello capitalista la "soluzione" dovrebbe venire dalle stesse forze che hanno creato la frattura del carbonio. Inoltre, la maggior parte di queste analisi separa le varie crisi ecologiche l’una dall’altra, e non si focalizza sul fatto che contemporaneamente vengono superati più limiti planetari. La teoria della frattura metabolica dà un taglio a queste illusioni e si focalizza sull'interrelazione tra accumulazione di capitale e crisi ecologica.

FQ, MOP e ML: Nel suo libro del 2022, Capitalism in the Anthropocene, l'alternativa delineata nel sottotitolo è quella tra "rovina ecologica" o "rivoluzione ecologica". Quale sarebbe questa "rivoluzione ecologica"?

JBF: Nell’occuparsi della crisi del suolo nell'Irlanda coloniale del diciannovesimo secolo, Marx parlava di "rovina o rivoluzione". Il concetto di "rovina ecologica o rivoluzione ecologica" è l'applicazione di questa prospettiva al rischio planetario in cui oggi viviamo, derivata dalla teoria della frattura metabolica. I limiti di abitabilità umana dovuti alla frattura antropogenica nel metabolismo del Sistema Terra, che sta mettendo in pericolo, su scala crescente, la vita di tutti gli abitanti del pianeta, è un prodotto del sistema di accumulazione del capitale. La rivoluzione ecologica necessaria per contrastare la rovina ecologica che l'umanità intera sta affrontando, deve invertire la rotta, andare immediatamente contro la logica del capitale e superare infine il sistema capitalista. Richiede pertanto una rivoluzione sociale, ma in una forma più ampia rispetto a quella pensata nel passato, che necessariamente coinvolga sia gli aspetti sociali che quelli ecologici della produzione. Come sosteneva István Mészáros, attingendo ai Grundrisse di Marx , è necessario affrontare l'intero ambito della riproduzione socio-metabolica, tenendo conto, per la prima volta, di tutte le dimensioni del cambiamento rivoluzionario. Ciò significa ridefinire l'idea della transizione al socialismo nel ventunesimo secolo, che deve concentrarsi sullo scambio comunitario, sulla struttura dei bisogni umani e sulla relazione sociale con la natura, nonché sulla produzione in quanto tale. Sono molto colpito dalle comuni venezuelane, che costituiscono un modello per questo cambiamento nelle relazioni sociali.

FQ, MOP e ML: Come è avvenuto il processo di trasformazione di Monthly Review, nel diventare la principale rivista eco-marxista degli Stati Uniti?

JBF: Monthly Review ha sempre avuto una profonda attenzione per le questioni ambientali. Per decenni, negli anni '50 e '60, Scott Nearing, uno dei principali ambientalisti socialisti degli Stati Uniti, collegato al movimento per il ritorno alla terra, teneva una rubrica mensile sulla rivista. Quando fu pubblicato Silent Spring di Rachel Carson, Nearing scrisse una recensione molto forte, positiva e di ampio respiro. Per molti anni l'approccio di MR all'ambiente è stato ispirato dal lavoro di Commoner. La tradizione di studi sul capitale monopolistico è stata, fin dall'inizio, estremamente critica verso lo spreco economico ed ecologico. Come ho già indicato, Magdoff e Sweezy hanno insistito, fin da mezzo secolo fa, sulla necessità di invertire la dinamica di crescita infinita del capitalismo radicata nel processo di accumulazione. Relativamente a ciò che era necessario dal punto di vista economico ed ecologico – anche se non lo era in merito al processo di cambiamento o ai suoi aspetti socio-rivoluzionari – il punto di vista di MR era per certi versi simile a quello di Herman Daly, con il quale avrei poi avuto rapporti molto amichevoli. Gli scritti di Daly sull'economia di stato stazionario [4] erano profondamente influenzati da Marx, sebbene egli stesso fosse ben lontano dall'essere un marxista.

Negli anni ‘70, i primi lavori di MR in merito alle questioni ambientali hanno contribuito alla creazione di apporti marxisti alla sociologia ambientale. Un aspetto determinante di MR è stato il suo stretto legame con le scienze naturali, e in particolare con studiosi come Richard Levins e Richard Lewontin, oltre che con David Himmelstein e Steffie Woolhandler. Nel luglio-agosto del 1986, è stato pubblicato un numero speciale della rivista intitolato Science, Technology and Capitalism, che includeva tutti questi autori, ed altri come Steven Rose e Nancy Krieger. L'attenzione principale era rivolta alle questioni ecologiche, ed ha rappresentato una sorta di punto di svolta per la rivista. Nel 1989, Sweezy ha pubblicato su MR due importanti articoli, "Capitalism and the Environment" e "Socialism and Ecology". Qualche anno dopo, io ho pubblicato The Vulnerable Planet, con la Monthly Review Press.

Ma MR rimase per tutto il ventesimo secolo una pubblicazione prevalentemente politico-economica e l'ambiente, pur essendo riconosciuto come fondamentale, è rimasto per anni al di fuori della sfera d’interesse principale della rivista. Quando, nel 2000, sono diventato co-direttore della rivista, il mio primo compito è stato quello di rafforzare la critica economica e la critica dell'imperialismo, divenute entrambe un po’ inattive, a causa dell'invecchiamento di Magdoff e Sweezy che non erano più in grado di contribuire come in precedenza. Poiché gli Stati Uniti stavano dichiarando una "guerra al terrorismo" senza limiti, mentre la finanziarizzazione stava crescendo a dismisura, nei primi anni di questo secolo ci siamo concentrati soprattutto sull'imperialismo e sul malessere economico che si stava sviluppando.

All’epoca, negli Stati Uniti, c'erano anche altri settori dell'ecologia marxista che erano fondamentali in termini di sviluppo dell'ecosocialismo, il che rendeva superfluo che MR si dedicasse prioritariamente all'argomento. Capitalism Nature Socialism (CNS) fu fondata nel 1988 da James O'Connor. Facevo parte del comitato editoriale, insieme a Burkett, Moore, Victor Wallis e altri collaboratori, collegati a MR. Tuttavia, nel 1998 sono stato rimosso dal comitato senza preavviso, poiché il lavoro che stavo svolgendo su Marx e l'ecologia è stato giudicato in contrasto a quella che era la direzione principale di CNS. Quando è stato pubblicato Marx's Ecology, sono usciti cinque articoli su CNS – tutti di membri del comitato editoriale, e futuri membri del comitato editoriale – che condannavano duramente il libro e l'intero approccio. Burkett e Moore scrissero entrambi delle risposte a questi attacchi e poi, per principio, si dimisero dal comitato editoriale.

Nel frattempo, nel 1996, John Jermier e io avevamo fondato la rivista accademica Organization and Environment, pubblicata da Sage, con l'obiettivo di riunire Organization and Natural Environment (ONE), la parte radicale dell'Academy of Management, ed Environmental Sociology, una sezione dell'American Sociological Association, che costituivano le due basi istituzionali principali della rivista. Organization and Environment ha avuto molto successo nel rafforzare lo status professionale della sociologia ambientale marxista, producendo un’incredibile serie di articoli innovativi. Ha dato l’impulso a molti giovani studiosi. Nel 2000 mi sono dimesso da co-redattore di Organization and Environment poco dopo essere diventato co-redattore di MR, ed in seguito York mi ha sostituito, come co-redattore, con Jermier. Dopo qualche anno, la Sage, proprietaria della rivista, decise di cederla ad un gruppo europeo di business/management, nonostante l'ampia opposizione dei sociologi ambientali statunitensi.

In seguito a tutti questi sviluppi, ci fu la tendenza a rivolgersi sempre di più a MR come sbocco per l'ecosocialismo, e in particolare per l'emergente ecosocialismo di seconda fase, che ha tratto le sue basi dal materialismo storico classico. Allo stesso tempo, con l'accelerazione della crisi planetaria, si rese necessaria un'attenzione sempre maggiore verso l'ambiente, a tal punto da sostituire, in parte, la tradizionale preminenza di MR verso l’analisi delle crisi economiche. Uno sviluppo importante lo ha dato la fondazione e la cura del sito web "Climate and Capitalism" da parte di Ian Angus, che è indipendente da MR, ma strettamente vicino ad essa.

FQ, MOP e ML: Alcuni episodi della recente storia brasiliana, come lo smantellamento neoliberista della politica sociale, il progetto "neo-sviluppista" del Partido dos Trabalhadores (Partito dei lavoratori) di Lula, l'ascesa della destra estremista di Jair Bolsonaro, la riprivatizzazione dell'economia e il crescente degrado ambientale di tutti i nostri biomi, sembrano confermare il posto coloniale che il Brasile occupa nell'attuale divisione internazionale del lavoro e il suo ruolo di fornitore di materie prime legate all'agroindustria e all'estrazione mineraria. In che modo la sua teorizzazione dell'imperialismo ecologico potrebbe aiutarci a riflettere su questo problema?

JBF: La teorizzazione dell'imperialismo ecologico è sempre stata difficile, poiché tutto ciò che riguarda lo scambio è reso in termini di lavoro, prezzo e denaro, che sono le basi della comparabilità in termini economici, ma che escludono i valori d'uso dei materiali naturali. Sebbene l'imperialismo ecologico sia sempre esistito, come è stato chiaramente evocato in Le vene aperte dell'America Latina di Eduardo Galeano, il problema è stato quello di sviluppare un'analisi sistematica, poiché si ha a che fare con elementi incomparabili. La natura complessiva del problema, tuttavia, è chiara. Così come l'imperialismo economico è – come spiegava Marx – il caso di un paese che nel processo di scambio ottiene più lavoro con meno [costi, N.d.R.], così l'imperialismo ecologico è il caso di un paese che ottiene più natura/risorse/energia con meno [costi].

Ci sono tre percorsi che abbiamo seguito nell'affrontare questo aspetto nella teoria della frattura metabolica. Seguendo Marx (e anche Galeano), abbiamo individuato il commercio del guano, che era direttamente legato alla frattura del metabolismo del suolo nell'Europa e negli Stati Uniti del diciannovesimo secolo, come caso storico su come funziona l'imperialismo ecologico. Esiste un'enorme quantità di informazioni su questo commercio e su come ha condizionato sia l'accumulazione e il suolo in Europa, che la dipendenza e il debito in Perù (dato che le isole Chincha erano la fonte più importante di guano). Clark ed io abbiamo condotto una serie di studi su questo caso nel corso degli anni. La questione riguardava anche il razzismo, poiché i lavoratori che raccoglievano il guano sulle isole Chincha erano per lo più braccianti cinesi a contratto, o ciò che il colonialismo britannico designava come "coolies", una forma di lavoro schiavistico, anche se si trattava formalmente di lavoratori a contratto. Secondo il Times londinese, alla fine del diciannovesimo secolo non c'era prova che un singolo raccoglitore di guano fosse sopravvissuto sulle isole Chincha; vale a dire che il cento per cento dei lavoratori erano probabilmente morti sul lavoro. L’opera più recente sulla frattura metabolica relativa al commercio del guano nel diciannovesimo secolo, è la tesi di laurea di Mauricio Betancourt, presentata all'Università dell'Oregon, che credo verrà pubblicata da Routledge, in una collana di libri sul marxismo curata da Marcello Musto. Betancourt ha esaminato archivi in ​​Francia, Inghilterra e Perù, ed è riuscito a scoprire le complesse relazioni dell'imperialismo ecologico in questo contesto. Ciò che resta ancora da fare in merito a ciò – sebbene il lavoro di Betancourt si avvicini – è la determinazione di quale sia stata la perdita ecologica netta per il Perù e il guadagno ecologico netto per l'Inghilterra, e come ciò abbia favorito l'accumulazione in Inghilterra e la dipendenza nel Perù. Il commercio del guano si è poi trasformato in commercio dei nitrati e nella Guerra del Pacifico in America Latina[5] e in ulteriori sviluppi, che hanno avuto un ruolo centrale nello studio di Andre Gunder Frank: Capitalism and Underdevelopment in Latin America. Dal punto di vista storico, questo lavoro è una ricca miniera per comprendere la logica dell'imperialismo ecologico.

Un secondo approccio all'imperialismo ecologico è quello indirizzato a misurare le perdite ecologiche effettive ad ogni livello. Il lavoro fondamentale in questo senso è stato svolto da Howard Odum, il pioniere dell'ecologia dei sistemi, che ha elaborato una teoria dell'imperialismo ecologico in grado di analizzare i trasferimenti storici di energia incorporata o emergia (scritta con una m)[6]. L'approccio di Odum si rifaceva anche all'economia politica marxiana. Però, nella grande battaglia all’interno dell’importante rivista Ecological Economics, Odum e altri scienziati naturalisti furono espulsi da Robert Constanza, allora direttore della rivista, che invece adottò l'impostazione di valutare la natura semplicemente in termini di prezzo, sviluppando il quadro che è oggi alla base dell'intera finanziarizzazione della natura perseguita dal capitale internazionale. L'analisi di Odum era logicamente ed empiricamente rigorosa, ma richiedeva finanziamenti per svolgere gli studi statistici, poiché dipendeva da dati grezzi ed era esclusa dal supporto governativo e privato. Ci sono piccoli gruppi che stanno ancora lavorando per sviluppare questo approccio. Nel 2014, Holleman ed io abbiamo scritto un articolo per The Journal of Peasant Studies sull'imperialismo ecologico e sulla sintesi di Marx e Odum in questo settore.[7] In sostanza, l'approccio di Odum ci consente di comprendere teoricamente come l'imperialismo ecologico si basi sull'espropriazione dell'"ambiente libero", delle nazioni più povere, ricche di risorse naturali, che vengono sistematicamente derubate nel processo di scambio. [L’approccio di Odum] ha la possibilità di mostrare tutte le dimensioni del problema. Questa è un'altra base da cui partire per criticare la nozione capitalista di vantaggio comparato nel commercio, che è stata utilizzata nei secoli per giustificare il commercio ineguale.

Un terzo approccio risiede nella critica dell'estrattivismo coloniale/imperiale, come quello presente nel lavoro del teorico uruguaiano Eduardo Gudynas. Questo caso riguarda lo sviluppo di una modalità di espropriazione nelle economie coloniali/imperiali che è direttamente in contrasto con forme di sviluppo umano sostenibile. Ne ho scritto, in proposito, nel mio libro The Dialectics of Ecology.

L'economia brasiliana, nonostante i suoi progressi in vari aspetti dell'industrializzazione, è preminentemente un'economia estrattivista che è sfruttata dal capitale straniero e dall'agroindustria, in un contesto neocoloniale e neo-imperiale. Nel 2019, la quota di materie prime nel commercio di esportazione di merci brasiliane era del 67 %. Il Brasile è uno dei principali obiettivi della finanziarizzazione della natura, un fenomeno che è cresciuto a dismisura nell'ultimo decennio, anche sotto la copertura del cosiddetto ambientalismo capitalista. Il futuro del Brasile – il suo ruolo nel futuro dell'ecologia planetaria, poiché l'Amazzonia è cruciale – sta nella possibilità che diventi un'economia più autocentrica, in cui il territorio naturale non venga derubato per volere di paesi stranieri e in cui si possano perseguire processi di sviluppo umano sostenibile. Ma questo richiede un forte movimento verso il socialismo. Per me, una delle principali fonti di ispirazione è stato il Movimento dei lavoratori senza terra (MST).

Per quanto riguarda il fascismo, esso sta crescendo ovunque in questo momento a causa della stagnazione economica dei principali paesi capitalisti e dell'indebolimento del sistema mondiale imperialista guidato dagli Stati Uniti. In queste circostanze, le strutture già compromesse della "democrazia liberale" stanno passando dal neoliberismo (legato alla finanziarizzazione) al neofascismo. Oggi esiste persino un'alleanza neoliberista-neofascista, che è parzialmente mascherata da una sorta di scontro tra fratelli. Il neofascismo assume forme diverse nel Nord globale, rispetto al Sud globale, dove, come diceva Marx, il capitale opera più crudelmente in un contesto coloniale/imperiale. Bolsonaro è stato sostenuto da un intero sistema imperialista che aveva messo gli occhi sulle vene aperte del Brasile.

Ci sono delle differenze, come ha spiegato Samir Amin, tra i movimenti fascisti del Nord e del Sud del mondo. Ma ciò che è chiaro è che essi coinvolgono sempre il grande capitale, che mobilita la piccola borghesia/classe media sulla base di ideologie reazionarie e pericolose normalmente radicate in quel settore della società. La maggior parte degli approcci al fascismo presenti nella sinistra di oggi è radicata puramente nell'analisi ideologica, derivata non dal marxismo ma dal liberalismo, e affronta la questione come se il fascismo fosse caduto dal cielo. Tuttavia, le prime critiche al fascismo classico – che un tempo erano preminenti – provenivano dal marxismo che lo interpretava come un fenomeno di classe. Credo che solo vedendolo in questo modo, si possa combatterlo efficacemente. Ho scritto di tutto questo nel mio libro Trump in the White House (2017).

FQ, MOP e ML: Il sistema socio-metabolico del capitale ha cercato di esercitare un enorme controllo sulle popolazioni più vulnerabili: gli indigeni, i quilombolas[8], i senza terra e i lavoratori precari nelle campagne e nelle città. La frattura [rupture] metabolica dei potenziali soggetti rivoluzionari sembra essere completa. Che possibilità vede rispetto a una via d’uscita da questo processo?

JBF: Subito dopo la Guerra Civile negli Stati Uniti, Marx scrisse nel Capitale, con parole celebri, che «il lavoro in pelle bianca non può emanciparsi dove è marchiato in pelle nera». La divisione razziale del lavoro, sosteneva Marx, doveva essere eliminata affinché il lavoro potesse migliorare. Se il capitale cercava una strategia di accumulazione volta a dividere la classe lavoratrice e le comunità marginalizzate attraverso la creazione di gerarchie e divisioni interne che li mettevano l’uno contro l’altro su basi razziste, nazionaliste, sessiste e simili, il compito del movimento che mirava al socialismo era creare unità tra gli oppressi, sostenendo sempre, preferibilmente, la causa di questi ultimi. In verità non c’è altra via, e qualsiasi deviazione da questo principio può rivelarsi fatale. L’esclusione di parti della popolazione e una politica basata sul divide et impera, sono i mezzi che il capitale ha utilizzato per espandere il proprio potere; l’inclusione a partire da una società di eguali è lo strumento di lotta di coloro che resistono al suo potere.

A mio avviso, è sempre stato un errore vedere il proletariato esclusivamente in termini strettamente economici o industriali. In realtà, la concezione del proletariato di Marx e Engels era molto più ampia, e includeva l’intero ambiente della classe lavoratrice, come traspare dal libro di Engels La situazione della classe operaia in Inghilterra. Oggettivamente, le condizioni attuali ci stanno riportando a una concezione materialistica più estesa e ad un concetto più ampio di proletariato. In questo contesto, il proletariato o classe lavoratrice non è più confinato strettamente all’ambito economico in cui siamo abituati a vederlo, ma trova la sua base oggettiva anche nelle condizioni di sviluppo urbano, degli alloggi, di inquinamento, di rifiuti, di qualità e disponibilità del cibo, di diritti fondiari e di proprietà, di agricoltura, di estrazione mineraria, di salute comunitaria, di riproduzione sociale della famiglia, di lavoro domestico, di sussistenza, e così via. È soprattutto l'onnipervasiva crisi ambientale che ci sta spingendo in questa direzione, come si può vedere chiaramente nel contesto del Sud Globale. Ciò è conforme al modo in cui Marx ed Engels vedevano le condizioni e le lotte della classe lavoratrice, come una battaglia diretta anzitutto contro ciò che Engels chiamava “omicidio sociale”.

Nella misura in cui è rivoluzionaria, la classe lavoratrice ha sempre assunto la forma più ampia di un proletariato ambientale. Vedere le cose in questo modo – in cui, per esempio, sia la “terra che il pane”, cioè sia i mezzi di produzione (inclusa la terra stessa) che il sostentamento umano, sono fondamentali – porta a dissolvere molte delle distinzioni tra i lavoratori proletari, i contadini e gli indigeni. Stiamo entrando, sempre di più, in quella che sarà una lotta comune, poiché il superamento dei limiti planetari ci pone in condizioni simili, di rovina o rivoluzione. Non solo queste condizioni oggettive gettano le basi per una maggiore unità tra i “dannati della Terra” (anche se esistono, ovviamente, numerose varietà di contraddizioni e controtendenze), ma la divisione tra il capitale mondiale sterminista e il proletariato ambientale mondiale sarà sempre più evidente man mano che la sopravvivenza diventerà una preoccupazione prevalente per la stragrande maggioranza delle persone. Lo sviluppo umano sostenibile diventerà inevitabilmente il grido di battaglia degli oppressi, in particolare tra i giovani.

FQ, MOP e ML: Qual è il suo messaggio per la sinistra ecologista in Brasile?

JBF: Ci sono due principali strategie ecologiche che sono emerse nella sinistra mondiale. Una di queste è la decrescita pianificata, che riguarda principalmente i paesi imperialisti, finanziariamente ricchi e sovrasviluppati in termini ecologici e che devono decrescere significativamente se l’umanità vuole sopravvivere. Attualmente, se il mondo intero avesse il consumo ecologico pro capite degli Stati Uniti, avremmo bisogno di tre o quattro pianeti Terra. È importante comprendere che la decrescita in quanto tale riguarda principalmente, e in modo diretto, il Nord Globale. A livello mondiale, ciò che è necessario è un processo di contrazione e convergenza, in cui i paesi più ricchi, più esosi, più spreconi economicamente ed ecologicamente, invertano il loro attuale percorso di degradazione ambientale, mentre molti dei paesi più poveri, che necessitano ancora di sviluppo economico, possano perseguirlo ma in forme più sostenibili rispetto al passato. Questo si può vedere chiaramente in termini di consumo energetico, laddove un paese come gli Stati Uniti utilizza sessanta volte più energia pro capite rispetto al Nepal. In questo contesto, il Brasile si trova in una posizione intermedia, con un consumo di energia primaria pro capite paragonabile a quello dell’Italia, che si avvicina a ciò che viene considerato come l’equilibrio globale. Il Brasile ha bisogno, ovviamente, di una propria contrazione e conversione, per ridurre le enormi differenze di classe nell'uso dell'energia. La cosa più importante è la protezione dell’Amazzonia e dell’ambiente brasiliano nel suo insieme, sia per la popolazione locale che per tutta l’umanità. Questo significa realizzare una seria conservazione dell'ambiente, anche socialista, cioè, orientata verso il popolo, e quindi combattere l’estrattivismo rampante. Per me, una fonte costante di ispirazione, come ho scritto altrove, è stato il MST [Movimento Sem Terra] brasiliano.

L’altra strategia che si sta sviluppando a sinistra è caratterizzata dalla promozione, da parte della Cina, della civiltà ecologica (una nozione che ha avuto origine con gli ambientalisti sovietici negli anni ‘80). Si tratta di una questione complicata, perché nella stessa Cina ha assunto una forma di modernizzazione ecologica, data la posizione della Cina come economia di transizione di medio livello e la forte sottolineatura di Pechino sullo sviluppo espansivo. La traiettoria economica cinese – rapida crescita economica e uso delle risorse in costante espansione – non può, ovviamente, essere mantenuta a lungo in questo secolo. C’è anche la questione della continua dipendenza della Cina dalle centrali a carbone. Ma Pechino sembra ora prendere sul serio la civiltà ecologica come misura della trasformazione delle relazioni sociali e ambientali, associate allo sviluppo del completo socialismo. C'é posto per lo scetticismo, e ci sono tutti i tipi di contraddizioni interne, comprese quelle di classe, ma i loro notevoli successi in molteplici aree ambientali sono troppo grandi per essere ignorati, e forniscono una reale base di speranza, poiché vanno contro la tendenza principale del capitale.

Questi successi sono stati possibili solo perché la Cina è una società post-rivoluzionaria, che, sebbene parzialmente capitalista nei suoi mezzi, sta cercando una strada alternativa, d’impronta socialista. L’impulso per il cambiamento ambientale è venuto sia da movimenti di massa dal basso che dalla leadership del Partito Comunista Cinese. La domanda è allora: potrebbe il Brasile, guidato da ecosocialisti, costruire la propria versione di una nuova civiltà ecologica rivoluzionaria, superando il capitalismo, cambiando le attuali relazioni socio-metaboliche? Ciò significa una lotta completamente diversa, e un vocabolario rivoluzionario diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto finora.

È utopico? Non credo, se guardiamo al problema odierno come un’alternativa tra ecosocialismo o sterminismo. La civiltà ecologica, come la decrescita pianificata, è chiaramente qualcosa di incompatibile con il capitalismo, e in questo senso può essere ritenuta un possibile percorso ecologico per il futuro dell’umanità, precluso al sistema capitalistico.

Quali che siano le soluzioni alla crisi planetaria attuale, esse devono, in termini storico-materialistici, sorgere a partire da formazioni sociali concrete, sulla base delle quali avverranno le nuove trasformazioni rivoluzionarie. Ciò che è comune a tutte queste strategie è l’attenzione rivolta a un percorso verso uno sviluppo umano sostenibile, in cui l’accumulazione di capitale non sia più la forza determinante della società. La stessa definizione di socialismo nel XXI secolo è quella di una società di sostenibilità ecologica e uguaglianza sostanziale. Anche qui troviamo le condizioni per la massimizzazione della libertà in generale.

Note

[1] N.d.T. Con il termine "Secondo Fronte" si intende, nella storiografia della Seconda Guerra Mondiale, il lungamente atteso, e ripetutamente rinviato, nuovo teatro bellico in Europa occidentale.

[2] N.d.T. Il Black Panther breakfast program, fu il primo e più riuscito programma comunitario dell'organizzazione politica afroamericana. Poiché i membri della comunità nera chiesero aiuto per affrontare problemi economici e sociali, il Black Panther Party avviò dei progetti di autodeterminazione tra cui il Free Breakfast Program, che si diffuse rapidamente in 23 città degli Stati Uniti e che sfamò più di 20.000 bambini.

[3] N.d.T. «Il concetto di treadmill of production (Schnaiberg 2008), è probabilmente la teoria più visibile e duratura emersa in tre decenni di sociologia ambientale. Questa teoria afferma che il costante sviluppo industriale determina una crescente domanda di risorse naturali e quindi causa un crescente impatto ecologico, dal momento che lo sviluppo è guidato da imprese capitalistiche alla continua ricerca di profitto, che non tengono in considerazione costi e benefici delle loro azioni nella società». Camilla Pigozzi, tesi di laurea, 2021-2022, p. 2.

[4] N.d.T. L'economia di stato stazionario è un sistema economico dimensionato in modo relativamente stabile. Una condizione in cui la crescita economica, della produzione e dei consumi è pari a zero, e la popolazione e il tasso di occupazione sono costanti per evitare fratture sociali.

[5] N.d.T. La guerra del Pacifico fu combattuta tra il Cile e le forze alleate di Bolivia e Perù dal 1879 al 1884; è anche conosciuta come guerra del salnitro.

[6] N.d.T. L'emergia è una grandezza fisica definita come l'energia disponibile di un solo tipo utilizzata, direttamente o indirettamente, per produrre un bene o un servizio.

[7] John Bellamy Foster e Hannah Holleman, La teoria dello scambio ecologico ineguale: una dialettica Marx-Odum, Antropocene.org, 10/05/2023.

[8] N.d.T. Il trasferimento forzato di circa tre milioni di africani, costretti a lavorare nelle miniere o nelle piantagioni in Brasile è durato circa 250 anni. Durissime condizioni di lavoro e un elevato tasso di mortalità portarono i più coraggiosi a fuggire e rifugiarsi in comunità autogestite e inaccessibili ai colonizzatori bianchi. Hanno così origine le comunità che oggi si riconoscono come Quilombolas. Si può definire quilombo ogni gruppo che si riconosca come tale e abbia «una discendenza africana connessa a una storia di resistenza o di oppressione». Decreto 4.887, del 2003, istituito dall'allora presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva. Vedi anche qui.

Fonte

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