Ora è ufficiale: 18 mesi dopo la sospensione del titolo, la borsa di Hong Kong ha ufficialmente cancellato dal proprio listino Evergrande, il colosso delle costruzioni cinese la cui crisi nel 2021 diede inizio a un lungo terremoto nell’economia della Repubblica Popolare, mostrò la criticità della sua bolla immobiliare e avviò una delle più ampie operazioni di ingegneria finanziaria della storia recente.
Evergrande è espulsa dalla borsa del Porto Profumato e questo significa che è davvero arrivata la fine per un gruppo che nei fatti aveva terminato la sua corsa già nel gennaio 2024, quando le contrattazioni sul suo titolo erano state sospese, mentre Evergrande collassava sotto il fardello di un debito da 300 miliardi di dollari accumulato per gestire una serie di progetti immobiliari riguardanti quasi 46 milioni di metri quadri di terreno in tutta la Cina.
L’azienda fondata dal magnate Hui Ka Yan a Guangzhou, nella Cina meridionale, nel 1996, è stata protagonista degli anni ruggenti della crescita del Dragone. Come uno dei maggiori gruppi privati cinesi, è diventato un conglomerato di grande peso: da Wuhan a Chongqing, da Xi’an a Tianjin, era l’egemone dell’immobiliare nei centri ad alta crescita dell’economia industriale e della conoscenza.
Divenuta nel 2018 la società immobiliare più capitalizzata al mondo, nota in Occidente principalmente per aver associato il suo nome a quello della squadra di calcio di Guangzhou, guidata dall’ex allenatore della nazionale italiana Marcello Lippi alla conquista della Champions League asiatica nel 2013, Evergrande è andata in crisi sotto il peso del suo debito a settembre 2021. La causa? Una stretta del governo cinese sull’urbanizzazione selvaggia e sulla corsa delle autorità locali a usare il real estate e le costruzioni come leva per raggiungere i target di crescita del Pil attesi.
Nel 2020, infatti, il governo di Xi Jinping fece propria la linea guida del Segretario del Partito Comunista Cinese che, nel quadro della ridefinizione della politica economica nazionale per il post-Covid sottolineò che “la proprietà è fatta per essere abitata, non per essere oggetto di speculazione”, ribaltando un trend trentennale.
La stretta della Cina sulla speculazione immobiliare
Il governo di Pechino obbligò tra il 2020 e il 2021 i gruppi immobiliari a conformarsi alle cosiddette “tre linee rosse” volte a frenare la speculazione immobiliare.
Gli operatori del real estate dovevano contenere al 70% il rapporto tra i debiti contratti e asset detenuti, un indebitamento netto non superiore al capitale di rischio dei soci e una liquidità sufficiente a coprire l’intera somma tra debiti finanziari e debiti verso i fornitori.
Questa stretta, che contrasse di un terzo l’immobiliare cinese nel 2021, fu orientata alla ricerca di una spinta maggiormente qualitativa e meno quantitativa sulla crescita, ma causò lo schianto di Evergrande. Nel settembre 2021 il crollo del titolo in borsa, presto tagliato da 45 a 1 miliardo di dollari di valore, aprì la strada a una crisi di liquidità della borsa cinese e al declino del colosso privato più noto in Cina.
Il resto è la storia di un declino: nel 2022 Evergrande dichiarò debiti pari a 340 miliardi di dollari, quasi cinque volte il fatturato, e il 17 agosto 2023 Evergrande ha presentato istanza di fallimento negli Usa dopo che diversi processi di ristrutturazione del debito promossi a Hong Kong erano risultate inefficaci. Il fatto che il 90% degli asset fosse stanziato in Cina rendeva difficile un pignoramento volto a ripagare le passività accumulate negli anni, e inoltre il governo di Pechino intendeva regolare i conti col settore immobiliare. Evergrande fu accusata di aver manipolato i dati finanziari e i ricavi, la Cina procedette alla “demolizione controllata” del gruppo per evitare uno schianto del settore immobiliare.
La “demolizione” di Evergrande
Progetti in corso sono stati dati ad altri costruttori e l’idea di un default immediato lasciata cadere, ma ciononostante l’escamotage della sospensione temporanea poi divenuta definitiva oggi, 18 mesi dopo, da Hong Kong, equivaleva a una condanna all’oblio per l’ex colosso. La Cina ha subito danni dal caso Evergrande: il Financial Times ricorda che “su 150 miliardi di dollari di obbligazioni immobiliari in default emesse al di fuori della Cina continentale, è stato recuperato meno dell’1%” in un contesto in cui “il settore immobiliare continua a pesare sul sentiment nella Cina continentale, dove gran parte della ricchezza delle famiglie è detenuta nel mattone” e “i prezzi delle nuove case sono stati sotto pressione negli ultimi mesi”.
La stretta di Xi, 5 anni dopo, influenza ancora un Paese in cui la spinta a una crescita più sostenibile ha prodotto crisi e travagli inevitabili nel passaggio di Pechino allo status di economia pienamente moderna. La fine di Evergrande è stato un passaggio forse necessario ma indubbiamente doloroso. Capace di svelare una pagina critica della corsa allo sviluppo della Repubblica Popolare.
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