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31/08/2025

Guerrafondai senza un soldo: “l’Europa” che straparla e nessuno se la fila

Anche a vederla da lontano l’ostinazione con cui i principali paesi dell’Unione Europea si sforzano di far proseguire la guerra in Ucraina sembra decisamente illogica. Se infatti è pur vero che il capitalismo, in genere, quando arriva alla crisi comincia a produrre guerra, bisogna comunque ricordare che questo insieme – l’Europa a 27 – non è affatto al centro del sistema imperialista, ma piuttosto in una posizione secondaria e strategicamente molto debole. Il che consiglierebbe molta prudenza e molta meno esaltazione propagandistica.

Sono gli Stati Uniti, in effetti, l’epicentro mondiale della crisi in atto, al punto che all’interno di quel paese si va assistendo ad un clamoroso scontro – di classe, ovviamente, ma anche di egemonia tra i diversi settori in cui è frammentata l’economia statunitense, con colossi in ognuno di essi: industria, finanza, piattaforme di quella che un tempo veniva definita new economy.

Uno scontro che va cancellando non solo i pilastri fondamentali dell’“ordine internazionale” fondato proprio dagli Usa nel secondo dopoguerra (irrobustito poi dal crollo dell’Urss e quindi dall’instaurazione di un “ordine unipolare” globalizzato), ma anche e forse soprattutto gli architravi dell’ordine liberale: tripartizione dei poteri, relativa indipendenza della magistratura, diritti di cittadinanza, libertà civili e di opinione, libertà politiche in senso stretto, laicità delle istituzioni, ecc.. 

Trasformazioni rapide che accomunano anche l’Europa, lasciando vedere in modo chiaro quanto sia ormai avanzato il superamento della fase “democratica” dell’Occidente.

Anche avendo la consapevolezza di questa accelerata corsa verso il baratro, comunque sorprende – nel caso della classe dirigente continentale – la clamorosa separazione tra elaborazione delle politiche interne, lasciate tuttora a quel “pilota automatico neoliberale” che ha creato la crisi in cui ci troviamo, e focalizzazione sulla politica internazionale, segnata da una pretesa quasi ridicola di “porre condizioni ultimative” ad autentici colossi della geopolitica mondiale (Usa e Russia nel caso della guerra in Ucraina, a Cina e India nel caso del commercio globale), oltre che a paesi ed aree certamente meno potenti, ma non per questo trascurabili (l’intera Africa, l’America Latina, ecc.).

E dire che di segnali inquietanti, anche volendo usare soltanto il metro di misura neoliberista, ce ne sono ormai a bizzeffe. Una classe dirigente seria se ne preoccuperebbe in modo prioritario, prima di lanciarsi in avventure militaresche ormai quasi solitarie (se gli Usa di Trump confermeranno l’intenzione di ridurre il proprio impegno alla sola vendita di armi all’Ucraina, qualora i membri europei della Nato saranno davvero disposti a pagarle).

E qui la contraddizione fatale esplode senza mediazioni.

“Facciamo debito per riarmare l’Europa”, dicono all’unisono, mentre sembrano stanziare altre cifre mostruose in favore di Kiev. Contemporaneamente accettano dazi Usa del 15% sulle proprie esportazioni, mentre cancellano quelli esistenti sulle merci statunitensi; e in più prometto di acquistare armi ed energie, e fare anche investimenti oltreoceano, per oltre 1.000 miliardi in quattro anni. Un suicidio economico causato da subordinazione strategica... 

Ma in verità, ora, devono fare i conti con la stagnazione e/o la recessione economica, la crisi del debito pubblico (anche in paesi “virtuosi” che fin qui bacchettavano le “cicale del Sud”) e il conseguente venir meno di quei meccanismo che avevano garantito per quasi 80 anni una relativa coesione sociale.

Qualche dettaglio, e qualche cifra.

Secondo l’ONS (Office for National Statistics) il Regno Unito ha il livello di debito più alto dai primi anni ’60. L’ultima volta che il Regno Unito aveva avuto 3 anni di fila un debito superiore al 90% del PIL era stato quando Harold Macmillan era Primo Ministro (1957-1963).

Qui molti istituti del welfare erano già stati distrutti da Margaret Thatcher e poi da Tony Blair (il “faro” del Veltroni in trip da “vocazione maggioritaria”), venendo a quanto pare sostituiti da una microcriminalità di massa (poco pericolosa per il potere, ma corrosiva per la tenuta sociale).

Il numero di furti nei negozi nel Regno Unito ha raggiunto un livello senza precedenti: nei 12 mesi terminati il 31 marzo, sono stati registrati 530.643 casi in Inghilterra e Galles. “Nei negozi” significa che la quasi totalità sono furti “per bisogno”, per placare la fame, vestirsi, ecc..

In Francia, il primo ministro Francois Bayrou ha chiesto un voto di fiducia da parte dell’Assemblea Nazionale per l’8 settembre, dichiarando il rapporto debito/PIL in forte rialzo (114%) un’emergenza nazionale.

Parigi sta in effetti spendendo in questo momento di più per “servire il debito” (gli interessi sui titoli di stato) che per molti programmi pubblici, un segnale di allarme per la seconda economia più grande d’Europa.

Secondo lui, per ridurre il deficit di bilancio del paese, che nel 2024 ha raggiunto il 5,8% del PIL, è necessario tagliare il bilancio di circa 44 miliardi di euro. Le sue proposte includono il congelamento dell’indicizzazione della spesa per la sicurezza sociale e le pensioni (riduzione della spesa sociale), nonché aliquote fiscali più alte.

Bayrou è il terzo Primo Ministro in un anno, senza una maggioranza parlamentare. Se fosse sfiduciato aumenterebbe la pressione sulla presidenza Macron (che costituzionalmente non sarebbe costretto alla dimissioni, ma difficilmente potrebbe trovare la quadra per un nuovo governo “ai suoi ordini”). L’incertezza sul futuro a breve rischia di agitare i mercati e potrebbe approfondire la crisi di credibilità internazionale proprio mentre la Francia lotta con alti costi del denaro e una crescita debole.

I sindacati e la sinistra radicale (La France Insoumise, più altre formazioni minori) si preparano a una mobilitazione adeguata alla minaccia, con ovvie conseguenze sulla produzione e l’antagonismo sociale.

Dell’Italia è quasi inutile parlare, perché l’aderenza ai diktat del “pilota automatico” è più forte oggi che ai tempi del governo Monti o Draghi, ma di crescita economica non si può trovare traccia e i successi sull’occupazione possono essere vantati sono fino a quando non si vanno a vedere contratti e salari (gli unici in Europa ad essere diminuiti).

Il clima sociale è per ora ancora addormentato, ma il tempo non lavora a favore del governo e dei “prenditori”. Prima o poi la società si sveglierà o collasserà in forme imprevedibili, ma non certo da guardare con ottimismo.

In Germania, Merz ha recentemente scioccato molti con la sua ammissione che “lo stato sociale non è più sostenibile” proprio mentre la spesa pubblica tedesca ha superato di 47 miliardi il record stabilito l’anno precedente e vengono stanziati centinaia di miliardi per costruire “il più forte esercito d’Europa”.

Gli esperti ritengono che la Germania sia ormai in recessione, soprattutto dopo che sia il 2023 che il 2024 hanno registrato una crescita del PIL negativa per la prima volta dai primi anni 2000, ma che il secondo trimestre di quest’anno è stato rivisto in negativo (-0,3%).

Anche un paese non europeo, ma strettamente collegato alle stesse alleanze, come il Canada, versa in una situazione simile. Nel 2° trimestre l’economia canadese si è contratta dell’1,6% in termini annualizzati, peggio del -0,7% che era stato previsto.

Questi paesi, insieme, hanno stanziato 50 miliardi di euro per l’Ucraina, nonostante siano tutti in crisi di bilancio. Non hanno soldi – dicono – da spendere per far vivere dignitosamente le rispettive popolazioni, ma si indebitano per armare se stessi e il proxy ucraino. Anche a costo di rischiare la terza guerra mondiale. Nucleare, peraltro... 

Vero è che le “opposizioni parlamentari” – tranne il caso della Francia, entro certi limiti – sono indistinguibili dalle coalizioni al governo, ma prima o poi questo “doppio binario” (“non abbiamo un soldo per sanità e pensioni, ma facciamo debiti per le armi per noi e da regalare a Kiev”) dovrebbe far deragliare anche la pazienza di popoli che sembrano seduti in attesa della fine.

Il resto del Mondo – quello che si è dato appuntamento in questi giorni a Pechino – ha già sciolto gli ormeggi a questa zattera pena di guerrafondai senza un soldo né gente da arruolare.

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