Il caos strategico in cui Netanyahu ha infilato Israele non lascia, paradossalmente, spazio a marce indietro. Quindi, nonostante tutto – l’isolamento internazionale mai così ampio, seppure più a parole che nei fatti, i problemi nell’esercito (i vertici contrari, i riservisti disertori e i suicidi tra i veterani), le manifestazioni sotto le finestre – la scelta è quella di radere al suolo ciò che resta di Gaza.
Il resto sono chiacchiere che certamente rivelano la contraddittorietà degli intenti e delle soluzioni, ma che chiacchiere restano.
La prima è relativa alla “non annessione” della Striscia. “Solo un’occupazione temporanea, per consegnarla poi a forze arabe che la governino” è una barzelletta che non fa ridere nessuno. Manca persino una indicazione vaga su quali potrebbero essere queste “forze arabe”, e il quadro indica che nessuno si farà carica di gestire una bomba come due milioni di sfollati ridotti alla fame al cui interno operano comunque diverse forze combattenti che non hanno nessuna intenzione – né possibilità realistica – di cessare la lotta.
Una barzelletta anche l’intento di “eliminare Hamas”, che è solo una di queste forze, anche se la maggiore. Allo stesso tempo, infatti, l’ex “testa di cuoio” che dirige il paese dice che potrebbe fermare l’invasione ulteriore “se Hamas accetta le condizioni poste”. Il che implicherebbe l’accettazione di una sopravvivenza dell’organizzazione islamista.
Ignorate – apparentemente – le preoccupazioni del capo di stato maggiore, Zamir, circa il costo di questa “ultima avanzata” su Gaza City, dove un milione di persone non ha vie di fuga, gli ostaggi ancora in vita sono probabilmente detenuti, non entra cibo se non per via aerea e saltuaria, le trappole esplosive pronte a scattare sono presumibilmente migliaia.
A pensarci un attimo, è straordinario che “l’esercito più efficiente del mondo” – così viene da sempre dipinto dalla propaganda occidentale – quello che riusciva a piegare Egitto e Siria in soli “sei giorni”, da quasi due anni non riesca a venire a capo di una resistenza armata praticamente solo di fucili, qualche mortaio, qualche arma anticarro e un po’ di esplosivi.
Ma è altrettanto straordinario che i servizi segreti “più efficienti del mondo” non siano praticamente riusciti a trovare autonomamente neanche uno degli ostaggi catturati il 7 ottobre 2023. Quelli che sono tornati a casa lo devono solo a uno scambio di prigionieri, non alle leggendarie “azioni mirate” da film.
Quel che emerge è insomma una direzione politica israeliana sempre più preda delle visioni millenaristiche della sua ala più estrema e del bisogno del “capo” di sfuggire a un possibile arresto per la più banale e vergognosa delle corruzioni. Una direzione che, come detto, non sa e non vuole tornare indietro anche se non sa bene come andare avanti. Ovvero quale sia “l’obiettivo politico” di questa guerra genocida.
L’unica cosa chiara è che il genocidio, nelle prossime settimane, sarà più grave ed evidente. E che la complicità dell’Occidente collettivo – Usa ed Unione Europea, con qualche lodevole eccezione – sarà uno stigma perenne da cui faticheremo ad uscire, anche rivoluzionando completamente i paesi in cui viviamo.
Una sozzura di queste dimensioni non potrà essere mai dimenticata e pulita del tutto. Anche solo per questo i gruppi dirigenti del capitalismo occidentale vanno maledetti, combattuti e dispersi.
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