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05/12/2025

Primi colloqui diretti tra Libano e Israele ma cresce il rischio di escalation

Il 3 dicembre si è svolto l’incontro diretto tra funzionari civili libanesi e israeliani, un momento importante perché era qualcosa che non succedeva dal 1983, ovvero da quando i sionisti invasero il sud del paese dei cedri. L’incontro si è tenuto presso il quartier generale delle forze UNIFIL, nella città di Naqoura, all’interno della cornice del meccanismo di monitoraggio del cessate il fuoco.

Un cessate il fuoco che è cominciato ormai oltre un anno fa, ma che è violato sistematicamente da Israele, mettendo pressione su Beirut affinché proceda al disarmo di Hezbollah. La preoccupazione è quella che il gruppo sciita si stia riarmando, mentre il governo libanese sa che finché Tel Aviv continuerà i suoi attacchi, non può far passare presso l’opinione pubblica l’idea che il paese sia in grado di proteggere la propria sovranità, una volta messo fuori gioco Hezbollah.

Il dialogo si è perciò svolto in un clima di estrema tensione e diffidenza reciproca. La delegazione libanese è stata guidata dall’ex ambasciatore negli Stati Uniti, Simon Karam, nominato dal Presidente della Repubblica, Joseph Aoun, dopo consultazioni con i vertici dello Stato. Per Israele era presente Uri Resnick, in rappresentanza del Consiglio di Sicurezza Nazionale. A supervisionare i lavori vi era l’inviata statunitense Morgan Ortagus.

Secondo la legge libanese, le sue autorità non possono intrattenere rapporti diretti con funzionari israeliani, ma questo scoglio è stato superato col tecnicismo di un dialogo interno all’ambito del cessate il fuoco. Il premier libanese Nawaf Salam ci ha tenuto a ribadire ai giornalisti che quelli in atto non sono negoziati di pace “politici”.

Washington aveva fatto pesanti pressioni su Beirut affinché entrasse in contatto con Tel Aviv, o in maniera diretta o tramite il meccanismo guidato dagli Stati Uniti nel monitoraggio del cessate il fuoco dello scorso novembre. L’obiettivo era anche quello di imporre una normalizzazione de facto dei rapporti tra i due paesi, elemento cardine della politica trumpiana in Medio Oriente.

L’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto l’evento come “un primo tentativo di creare una base per una relazione e una cooperazione economica tra Israele e Libano”. Hezbollah aveva invece in passato definito momenti come quelli del 3 dicembre quali “trappole negoziali” che “garantiranno solo ulteriori guadagni al nemico israeliano”.

Hezbollah ha consegnato armi e posizioni all’esercito libanese a sud del fiume Litani, ma afferma che il completo disarmo può avvenire solo nell’ambito di una strategia di difesa libanese in cui le armi siano incorporate nell’esercito e rimangano disponibili per la difesa del paese.

“Non prevediamo che Hezbollah rinunci alle sue armi in base ad alcun accordo, quindi non ha senso proseguire. Stiamo andando verso un’escalation e decideremo quando, in base ai nostri interessi”, avrebbe detto un funzionario israeliano dopo incontri con l’inviata stelle-e-strisce Ortagus a Gerusalemme.

Il Dipartimento di Stato americano sta preparando un rapporto per il Segretario di Stato Marco Rubio sullo smantellamento dell’arsenale di Hezbollah, mentre emergono indiscrezioni inquietanti: secondo il canale israeliano Channel 14, la stessa Ortagus avrebbe suggerito di bombardare il funerale dell’ex segretario di Hezbollah, Hassan Nasrallah, un evento che ha radunato centinaia di migliaia di civili.

Anche secondo l’emittente pubblica israeliana Kan, Israele si starebbe preparando a una “significativa escalation”, ritenuta inevitabile nonostante gli sforzi di Washington. Se il disarmo di Hezbollah non avverrà entro il 2025, è questo lo scenario ad ora più probabile, con un sostanziale lasciapassare statunitense.

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