Tutto inizia pressappoco da qui:
Lo spot è tosto, in pochi secondi condensa tutti quei fattori che sì tirano in ballo quando l'obiettivo è far breccia nel cuore della gente, mettere mano alla sensibilità delle persone per tirarle dalla propria parte e convincerle che
Il finale col botto è quel "appartiene a tutti noi" che chiude il cerchio della paternale nella quale sì afferma che la nuova fabbrica raddoppierà la produzione, le esportazioni (anche in America!!!) e le possibilità, che saranno sostenute dal buon padre di famiglia, magari acquistando un'auto italiana.
Applausi a scena aperta! Fossi nella giuria che assegna i Telegatti questo spot lo premierei di corsa perché scalda gli animi senza dire sostanzialmente nulla.
Mi sì potrebbe obiettare che in uno spot, gioco forza, non ci si può soffermare eccessivamente sui contenuti specifici delle questioni, sacrosanto, quindi mouse alla mano vediamo di spulciare nel dettaglio quali sono i piani di FIAT per l'Italia.
A fronte della chiamata a corte di tutti i patri cittadini (visto che la fabbrica dovrebbe appartenere a tutti) il piano industriale reperibile in rete è decisamente meno esaltante e soprattutto puntuale rispetto a quanto era lecito attendersi a fronte della pubblicità televisiva.
Per bocca del duo Elkann/Marchionne, veniamo infatti informati che FIAT, nei prossimi 5 anni, è intenzionata a produrre in Italia 1.650.000 veicoli (a fronte degli 800.000 veicoli/anno attuali) impegnando quasi il 70% degli investimenti del gruppo negli stabilimenti italiani.
Conseguentemente a questo quadro, descritto dal giovane Elkann come "il più straordinario piano industriale che il nostro Paese abbia mai avuto", l'amministratore delegato del gruppo torinese Marchionne, ha messo nero su bianco le proprie condizioni, che prevedono l'erogazione degli investimenti solo quando l'azienda avrà ottenuto la governabilità degli stabilimenti da parte dei sindacati.
In sostanza, sfruttando la storia della mancanza di competitività del sistema italiano, e facendo leva sulla paura e l'insicurezza che ogni crisi economica genera nella gente, Marchionne subordina l'investimento aziendale, all'accettazione da parte dei dipendenti, di un peggioramento delle proprie condizioni lavorative, in deroga a quanto stabilito dalla legge.
Deroghe cui si è opposta solo la FIOM mentre il resto del sindacalismo italiano era impegnato a fare melina (la CGIL di Camusso s'è mossa, ma non ha indetto lo sciopero generale, solo quando era ormai chiaro che non si poteva lasciare eccessiva visibilità a Landini, per il momento l'unico a dire le cose come stanno) o genuflettersi alla corte FIAT (CISL e UIL) accettando pedissequamente le clausole dei contratti di Pomigliano e Mirafiori senza nemmeno prendersi la briga d'illustrarli ai lavoratori, probabilmente con l'intento di tirarli dalla propria parte disinformandoli. Infatti, un conto è far leva sulla paura della disoccupazione affermando genericamente che le condizioni lavorative peggioreranno "perché il ricatto vero lo fa il mondo" (Chiamparino docet al minuto 5:50), altra storia sarebbe far presente a tutti che il contratto FIAT (gestito al di fuori delle "garanzie" previste dal CCNL per i metalmeccanici in quanto FIAT è uscita da Confindustria) prevede:
- il peggioramento strutturale del lavoro in catena di montaggio - riduzione delle pause da 40 a 30 min compensate con 32€ lordi al mese in busta paga, aumento dello straordinario obbligatorio a 120 ore annue, possibilità di turnazione esasperata (18 turni settimanali suddivisi in 3 turni per 6 giorni la settimana) secondo le esigenze produttive, spostamento della pausa pranzo a fine turno invece che a metà dello stesso (al momento solo per Pomigliano), riduzione della mutua per combattere l'assenteismo;
- la riduzione della rappresentanza sindacale - niente più Rsu, cioè delegati sindacali eletti da tutti i lavoratori e titolari anche della contrattazione aziendale, ma ripiego sulle Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali che vengono nominate da ciascun sindacato e che non hanno alcun potere contrattuale.
- la limitazione del diritto di sciopero che diviene un "comportamento" passabile di sanzione disciplinare che l'azienda può "punire" in misura estrema con il licenziamento.
A fronte di questa parzialità nell'informazione, quanto è trapelato grazie all'azione della FIOM, è stato minimizzato dal resto del sindacato e dalla politica come male necessario per salvaguardare il lavoro e soprattutto concretizzare "un investimento necessario per Torino e l'Italia, auspicando che i lavoratori abbiano anche la forza di accettare il peso di questo scambio" (parole di Bersani che richiamano alcuni infauste esternazioni del più illustre Berlinguer nella seconda metà dei '70).
Il vuoto pneumatico della politica e degli organi volti a sviluppare e tutelare il lavoro, stanno tutto nelle parole pronunciate dal segretario del Partito Democratico.
E' infatti vergognoso che la politica scarichi sulle spalle dei lavoratori la totale assenza di pianificazione industriale, argomento avulso dall'attività di ogni governo degli ultimi 20 anni (chi ha memoria dell'epoca delle privatizzazioni, con lo smembramento e la svendita delle aziende legate all'IRI e la rovina di ex fiori all'occhiello del Paese come Alitalia, Olivetti e Telecom sa a cosa mi riferisco) e prenda come dato di fatto il ricatto di una FIAT sopravvissuta fino ad oggi grazie al costante apporto finanziario del contribuente italiano (qualcuno ha calcolato un totale di 7,6 miliardi di Euro).
La mancanza di un piano di sviluppo industriale, però, non è appannaggio della sola politica. Marchionne, infatti, pur avendo espugnato Pomigliano (e quasi certamente Mirafiori) non ha ancora comunicato alcun dettaglio reale sul progetto di Fabbrica Italia e sulla sorte dei 5 stabilimenti presenti nel Bel Paese (Mirafiori, Cassino, Melfi, Pomigliano d'Arco e Termini Imerese che quasi certamente sarà chiuso). A sua discolpa, indica la necessità di non mettere a disposizione dei concorrenti informazioni sensibili sui piani FIAT. Come al solito, a pensar male si fa peccato ma spesso ci sì prende, quindi proviamo a pensar male...
Com'è noto, FIAT da maggio 2009 è in joint venture con Chrysler e punta a fondersi con la casa di Detroit entro il 2013. L'operazione è frutto della crisi internazionale che ha portato sul lastrico il produttore americano, commissariato dall'amministrazione Obama, che sul salvataggio del settore auto USA ha costruito una parte consistente del proprio successo elettorale.
Il governo americano, all'atto di muoversi sul mercato alla ricerca di qualcuno disposto a rimettere in piedi l'ex colosso, ha dettato le proprie condizioni, imponendo all'eventuale partner lo svecchiamento di tecnologie e prodotti commercializzati da Chrysler (in sintonia con il concetto di economia "verde"), l'incremento della percentuale di autoveicoli venduti fuori dall'area Nafta (Canada, USA, Messico) e la restituzione al Tesoro americano e canadese dei circa 7 miliardi di dollari (e relativi interessi che pare viaggino intorno al miliardo di dollari all'anno) che i due paesi nord americani hanno sborsato per salvare Chrysler dalla bancarotta.
FIAT è entrata in Chrysler con una quota azionaria del 20%, attraverso l'innesto nell'azienda americana di tecnologia motoristica moderna (cioè in linea con i più recenti standard EURO del vecchio continente), la sua quota è salita al 25%. Al Lingotto sono però convinti di poter giungere agevolmente al controllo del 35% di Chrysler avviando produzione e distribuzione nel mercato USA di un'automobile pensata per i bassi consumi che, di conseguenza, permetterebbe a Chrysler di competere e quindi esportare nei mercati extra americani.
Avviato e consolidato questo processo, per raggiungere quota 51%, gli sforzi andrebbero poi concentrati nella restituzione del debito ai governi americani e qui casca l'asino, perché con un settore auto in contrazione del 6,7% a livello globale e del 27% per FIAT (nell'area Euro) l'obiettivo pare piuttosto difficile da raggiungere con la semplice produzione industriale, ecco quindi che a Torino s'inventano qualche soluzione "spregiudicata".
La prima riguarda la possibilità di girare, a parziale copertura del debito, i fondi speciali stanziati dal governo USA per ricerca e sviluppo (3 miliardi di dollari). A questo punto FIAT avrebbe ancora 4 miliardi da restituire. La liquidità necessaria potrebbe trovarsi a seguito della scorporazione dei veicoli industriali da quelli automobilistici.
Il 2 gennaio, infatti, il gruppo torinese si è presentato alla borsa in veste rinnovata, da una parte la "vecchia" FIAT Spa per il mercato dell'auto, dall'altra FIAT Industrial specializzata nella produzione di autocarri e macchine agricole.
Quelli con l'occhio lungo hanno subito intuito che la mossa del Lingotto potrebbe essere il necessario passo azionario per avviare la vendita del ramo industriale del gruppo (che per altro ha sempre garantito ottimi ritorni) e forse qualcosa di più. Da tempo si vocifera, infatti, anche della probabile cessione di Alfa Romeo che, sommata alla vendita di FIAT Industrial, consentirebbe a FIAT Spa di ottenere la liquidità necessaria a scalare in tempi brevi Chrysler.
Nel caso questo scenario si concretizzasse (le condizioni e motivazioni ci sarebbero) sì porrebbe il problema della produzione in Italia.
La FIAT, infatti, obbligata dal governo americano ad incentivare le esportazioni e quindi la produttività degli impianti Chrysler e impoverita dall'eventuale cessione di Alfa Romeo, che cosa produrrà nella fantomatica Fabbrica Italia?
Al momento non l'ha capito nessuno e cosa ancora più grave nessuno, FIOM esclusa, ha avuto il coraggio di domandarlo a Marchionne impegnato a spandere propaganda di terzo livello in diretta televisiva (agevolo l'intervista rilasciata dall'AD FIAT a un mellifluo Fazio - link 1 e 2 - e un'intelligente serie di considerazioni in merito alle parole dell'intervistato link 3).
Sono le 18:45, tra meno di un'ora il referendum tra i lavoratori di Mirafiori volto a determinare la sorte dello stabilimento sarà terminato.
A mio parere, a prescindere dall'esito del voto, la sorte del settore automobilistico italiano è segnata, non solo per la palese volontà di FIAT di passare all'altra sponda dell'Atlantico, ma soprattutto perché la mobilità di cui è espressione il gruppo torinese è superata ormai da 20 anni. Industrialmente parlando, pensare di poter stipare ancora il mondo e le città occidentali in particolare di veicoli, già presenti in ogni dove, è criminale prima ancora che anacronistico.
Se avessimo una classe dirigente serie, gli stabilimenti FIAT sarebbero nazionalizzati e riconvertiti a lavorazioni metalmeccaniche improntate a concetti di mobilità e più in generale sviluppo che sì concilino con la sostenibilità ambientale, con buona pace di tutte le cazzate sulle quotazioni di borsa e il liberismo che è più morto del comunismo all'indomani della caduta del muro di Berlino (e l'89 torna sempre...).
Complimenti, aspettavo da tempo un articolo lucido sulla situazione, anche perché non l'avevo seguita granchè, ora è tutto molto chiaro.
RispondiEliminaNel frattempo, per nove schede e con l'aiuto degli "impiegati" (cioè i dirigenti), il padrone Marchionne ha portato a casa i diritti di 5'000 persone. Solo proiettili nel cranio per quelli come lui dio cane.
"il liberismo che è più morto del comunismo all'indomani della caduta del muro di Berlino"
RispondiEliminaChapeau...qua ci stiamo tutti rendendo conto di essere entrati nel 1989 d'Occidente...gli unici che non lo hanno ancora capito sono i ricchi, rinchiusi nei loro fortini...quando li andremo a prendere per portarli alla ghigliottina si guarderanno intorno spauriti e non capiranno nemmeno il perché