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18/01/2011

FIAT: le conseguenze



Scorrendo gli umori di penna e pancia che hanno percorso questo Paese negli ultimi giorni, pare che l'Italia sia diventata un macro palcoscenico per una tragicommedia di Goldoni.
L'andazzo recente sì presta più che mai a quella perla di saggezza popolare che recita "tira più un pelo di figa che un carro di buoi" perché ogni meandro della vita personale e sociale dell'italiano pare incentrata sul frutto del piacere femminile.
Intendiamoci, parlare di donne va benissimo, ma se diventa l'unico argomento, le cose iniziano a complicarsi, la banalizzazione è dietro l'angolo e il rischio di mandare ogni discussione in vacca perché argomentata come si farebbe al bar diviene una certezza.
Accade così che nel fine settimana forse più topico degli ultimi mesi, la cronaca italiana sia inchiodata sugli affari di Berlusconi (prima la sorte del legittimo impedimento poi l'inchiesta sul giro di mignotte ad Arcore con le relative implicazioni) mentre il resto del mondo conosciuto continua a incrinarsi pericolosamente nella disattenzione generale.
A livello internazionale, la Tunisia è stata messa talmente a ferro e fuoco dai propri cittadini da costringere il dittatore Ben Ali alla fuga, mentre lo spettro di una guerra civile sì fa sempre più concreto; nella penisola di Corea prosegue l'opera poco stabilizzatrice dell'amministrazione americana, che insieme alla Corea del Sud, pare stia facendo di tutto per inasprire gli attriti che rendono la regione una delle polveriere più instabili al mondo e NESSUNO in Occidente ne parla.
Come abbiamo scritto più volte, anche a casa nostra non sì sta proprio bene... e le questioni d'affrontare non mancherebbero, a cominciare dal caso FIAT, che continua a essere preso eccessivamente sottogamba, a chiara dimostrazione della sua cruciale importanza per gli assetti economico-sociali dell'Italia di domani. In concomitanza con il già citato legittimo impedimento, infatti, nello stabilimento FIAT di Mirafiori, sì è consumato il referendum in cui i lavoratori erano chiamati a decidere tra la minaccia della disoccupazione e il salvataggio dell'impiego a scapito del peggioramento delle proprie condizioni lavorative.
Come successo a Pomigliano, anche a Mirafiori, le previsioni più ottimistiche (per i lavoratori) contemplavano una vittoria del attestata intorno al 70% circa, con la possibilità di un "assenso" all'accordo-vergogna ancor più plebiscitario. Terminate le operazioni di voto, tuttavia, inizia a prendere forma il risultato inatteso, poi sancito dallo spoglio delle schede, che rivelano il passaggio del con appena il 54.7% delle preferenze.
A dispetto del dato numerico, che in senso assoluto consegna la vittoria a Marchionne, è bene spendere due parole sul mancato botto dei sì.
La consultazione a Mirafiori ha rimesso prepotentemente al centro della scena l'operaio, un soggetto dato per estinto da 20 anni di globalizzazione, schifato da società ed economia perché simbolo della fatica insita in ogni sistema che contempli produzione e consumo. Una condizione, quella dell'operaio, che l'ha portato a essere sempre in prima fila nella rivendicazione di diritti per non soccombere sotto il peso di un sistema di cui costituisce l'iniqua struttura portante, rivendicazione che, inaspettatamente, è rinata a Mirafiori, dove già morì il 14 ottobre 1980.
Lo strappo degli operai torinesi ha mostrato anche che il nostro, continua a essere un popolo sostanzialmente classista. E', infatti, (de)merito degli impiegati di Mirafiori, gli eredi dei 40mila dell'ottobre '80, se l'accordo è passato. Un applauso dunque all'individualismo corporativo di quei soggetti per aver mostrato come le differenze sociali siano ancora considerate infamanti in questo Paese; la nostra società, ammesso che ne sia in grado, ha ancora decenni di progressi da compiere prima di definirsi rispettabile e coesa.
Oltre al risvolto sociale, Mirafiori ha ovviamente segnato il passo anche nella politica. La vicenda ha, infatti, dimostrato che il lavoro è una questione che in questo Paese non si vuole dipanare e governare per precisa scelta politica. La motivazione è presto detta. Per fare opera di buon governo nel mondo del lavoro non è possibile porre al centro delle proprie scelte la sola tutela del settore industriale e finanziario, declassando il benessere sociale a conseguenza dello sviluppo di mastodontici imperi imprenditoriali. E' questa la causa che ci ha condotti al pauroso vuoto di rappresentanza politico-sindacale che ha contraddistinto fino a oggi tutta la vicenda FIAT, vicenda che registra uno straordinario spreco di potenzialità umane (che hanno trovato parziale sintesi solo nella FIOM, unica struttura uscita vincente dal confronto) e mette alla berlina una politica vergognosa, fatta di teatrini e puttane che hanno svenduto ogni bagaglio ideologico, soprattutto a sinistra, basti pensare che nell'80 ci andava Enrico Berlinguer a solidarizzare con i pichetti operai, venerdì scorso invece s'è materializzato il parolaio Vendola, che a Torino fa il proletario mentre la sua giunta regionale in Puglia autorizza la costruzione degli inceneritori del gruppo Marcegaglia.
Oltre che viziati da conflitti d'interesse mascherati da fiera sponsorizzazione all'autodeterminazione "libera", politica e sindacalismo sì sono dimostrati pericolosamente miopi nella sottostima di questo vuoto. Come ci insegna il passato, i vuoti tendono comunemente a riempirsi da se, oggi con forse un po' più difficoltà organizzativa di ieri, ma siccome la storia si ripete in tutto e per tutto con notevole facilità, a buon intenditor poche parole...

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